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Voci dal Barco Ducale di Urbania. Temporalità frammentate, la ricerca di Elisa Mossa attraverso il segno

Elisa Mossa, Il Giorno dello Splendore
Elisa Mossa, Il Giorno dello Splendore

Dubbi, incertezze, paure. Ma soprattutto network, confronti, legàmi. A seguito del lockdown da Covid 19, l’esigenza di molti artisti emergenti e operatori nel settore artistico era quella di ripartire. Elisa Mossa e il gruppo OTTN hanno creato BAR.co, un progetto di arte contemporanea presso il complesso storico di Urbania (PU). Abbiamo intervistato i 12 artisti protagonisti della residenza artistica, durata circa due settimane.

Elisa Mossa (Urbino, 1989)

La tua arte è stratificata e include l’impiego di vari media. Qual è la tua formazione artistica e come si svolge il tuo processo creativo?

Mi sono formata come disegnatrice studiando cinema d’animazione sperimentale e poi ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Inizialmente il mio lavoro era strettamente legato al disegno e quindi anche a progetti editoriali che ben si prestano all’impiego di questo medium. La mia ricerca spesso verte sul movimento, che mi ha sempre affascinata. La frammentazione del tempo, la sua destrutturazione, la ripetizione controllata di ogni singolo istante. Disegnare la staticità che su ampia scala porta al movimento.

Elisa Mossa, Pensavo fossero ciliegie e invece era fusaggine

Ho sempre disegnato, per me è un modo analitico per comprendere il mondo che mi circonda. Più che il disegno in sé dunque, a me interessa la spontaneità, l’indipendenza del segno, che in quanto gesto è un movimento. Attraverso il processo di animazione creo un frammento, una possibilità di verità che si astrae dalla dimensione della morte. Creando una atemporalità parallela, strettamente legata al tempo, quindi alla vita, rappresento un ciclo che potrebbe ripetersi, ipoteticamente, all’infinito.

Il tempo che creo lo formalizzo attraverso l’uso dello spazio. Così mi sforzo proiettando i miei lavori in uno spazio che testimoni un attimo, il mio atto, la mia presenza. Anche la documentazione del mio lavoro è per me atto di presenza, testimonianza. Questo processo mi ha portata a vivere il disegno come mezzo e non come fine, pertanto mi sono distaccata dal disegno dopo essermi resa conto che l’opera d’arte, per me, oggi, è consapevolezza. Mi interessa padroneggiare ogni mezzo, perché il mio vero fine è l’atto poetico, l’esperienza che provo a restituire al fruitore. Quello che voglio è cercare – partendo da me e distaccandomi da un processo autoreferenziale – di rendere universale un’idea attraverso l’uso del mezzo, della forma e dello spazio.

Oltre ad essere una delle artiste in residenza, sei anche ideatrice del progetto. Come è nato BAR.co?

Ad un certo punto della mia vita ho sentito la necessità di fuggire dal mio entroterra marchigiano, viaggiando. Una volta tornata ad Urbania ho cercato di costruire una situazione di scambio umano con persone che orbitano attorno all’arte contemporanea, il mio mondo. Così assieme a Giorgia Ori (presidente gruppo OTTN) abbiamo individuato il Barco Ducale di Urbania come luogo in cui sviluppare una residenza d’arte. Questo luogo, così ospitale, di svago per i Duchi e di ritiro spirituale ci è risultato perfetto per le nostre esigenze, mi riferisco in particolar modo alla situazione che tutti abbiamo vissuto in questi mesi di lockdown.

Elisa Mossa

Ci siamo chieste di cosa avevamo bisogno (io come artista, Giorgia come giovane curatrice). Così è nata l’idea di un luogo governato dalla non produzione a cui sono stati chiamati a partecipare gli artisti invitati in questa residenza. Ogni artista è stato invitato a riflettere sul rapporto che ha con se stesso, con l’arte, con gli altri artisti, con le opere, col sistema dell’arte, se un artista può andare in vacanza o prendersi una pausa da se stesso. In questo modo volevamo invitare tutti a comprendere meglio non solo se stessi, ma anche il proprio lavoro e le proprie necessità (serve davvero produrre? A chi e a cosa serve?). A oggi posso dire che è stata una settimana molto intensa quella che abbiamo passato, in cui si sono create connessioni, dialoghi, consapevolezze, a volte produzioni di opere.

Hai dei progetti di futura realizzazione?

Attualmente sto definendo “Il giorno dello splendore” (26 settembre – 25 ottobre presso la Galleria Cavour di Padova durante Photo Open Up), un lavoro che ho realizzato in concomitanza con l’inizio della residenza. È una ricerca, pensata durante i mesi di lockdown che ho sviluppato grazie alla collaborazione delle suore di clausura attive sul territorio. Ho utilizzato la fotografia come mezzo per indagare la loro quotidianità poichè, a differenza nostra, loro vivono una condizione di clausura perenne, che fa parte della loro normalità. In seguito a questo progetto sono stata invitata da Carlo Sala e Alessandra Maccari (che curerà il mio progetto fotografico) a Photo Open Up, un festival di fotografia a Padova.

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