In occasione delle celebrazioni per il terzo centenario della nascita di Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), la Galleria Nazionale dell’Umbria omaggia il grande architetto veneziano presentando, nel giorno del suo compleanno, un film d’animazione dedicato al suo capolavoro, le Carceri d’Invenzione. È la prima di una serie di iniziative dedicate al genio visionario di Piranesi, che si accompagna al restauro delle 137 tavole delle celebri Vedute di Roma di proprietà del museo, alla pubblicazione di un volume nella collana “Quaderni della Galleria Nazionale dell’Umbria” (Aguaplano Libri editore) e a un disco in vinile con le musiche composte da Teho Teardo. Abbiamo incontrato il compositore friulano (PIRANESI, CARCERI D’INVENZIONE. 300 ANNI, di Grégoire Dupond, musica di Teho Teardo).
Com’è nato il suo rapporto con Piranesi?
Da ragazzino curiosavo la vetrina di una galleria d’arte di Pordenone, la città dove sono nato. Le rovine ebbero un forte impatto su di me in quel momento. Una fascinazione gotica che dal passato proiettava nel futuro come certi film di fantascienza lasciano intravedere in quella combinazione in cui nel futuro ritroviamo elementi del passato più lontano.
Mi piacerebbe capire qual è il rapporto che lega l’arte alla musica; per lei, in particolare, cosa la spinge a comporre? E’ più l’emozione di trovarsi di fronte a dei capolavori, o è più l’aspetto concettuale che queste opere comunicano?
Non credo si tratti di un legame, ma di una potenziale connessione, qualcosa in nuce volta a suggerire delle possibilità.
In musica, nel dominio dell’immateriale, il potenziale può essere ancora più affascinante di ciò che è tangibile.
Come se si possedesse la conoscenza che impregna le opere di Piranesi, il tempo che è trascorso in ciò che ha rappresentato nei suoi lavori.
Anche se questo gioco fosse solo un inganno per me sarebbe una magnifica illusione a cui cedere.
Riguardare le opere per anni significa assimilarle, contenerne porzioni, forse siamo noi a comunicare riflettendo parti di quei lavori che sedimentano in noi.
Ci trasformiamo in antenne.
La dissezione operata da Grégoire Dupont, l’ha aiutata a entrare più profondamente nell’opera di Piranesi?
Il mio lavoro era particolarmente riferito a Piranesi la cui opera ho desiderato perché sprigiona una forza a cui non posso sottrarmi.
Prima di stare nelle immagini di Grégoire ho dovuto necessariamente trovare uno spazio tra i segni di Piranesi, una questione di senso che andava risolta: ma io che ci faccio qui?
Nel prossimo futuro, ha in programma di dare voce ad altri capolavori?
Non ho altre commissioni in proposito al momento, ma mi piacerebbe suonare davanti ad una straordinaria opera di Nunzio che si intitola La battaglia e si trova al Maxxi a Roma. Una sorta di parata semicircolare di combustioni su legno dove tra il nero del legno bruciato emergono cellule di colore. Mi farebbe piacere poter suonare davanti a quell’opera per provare a intercettarne ciò che da essa riverbera.