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Un bimbo di marmo incatenato a Napoli: la scultura di Jago che guarda ai poveri

Jago, Look down. Getty images
Jago, Look down. Getty images

In Piazza del Plebiscito, a Napoli, è comparsa la scultura di un bambino rannicchiato e incatenato al terreno. L’opera, intitolata Look down dal suo artista Jago, è una riflessione amara sulla difficile condizione che alcuni, forse più di altri, stanno vivendo oggi.

Un bimbo bianco nella notte scura. Poche ora fa è comparsa, sfruttando il buio, una scultura in marmo sui sampietrini grigi di Piazza del Plebiscito, Napoli. Si chiama Homeless e a discapito delle sue considerevoli dimensioni – un metro e sessantacinque per altrettanti centimetri di larghezza, sessantaquattro di altezza – appare tenera e fragile. Diventa addirittura tragica quando lo sguardo cade sulla catena che la ancora al terreno, inchiodandola alla sua condizione.

L’installazione è opera dell’artista Jago – Jacopo Cardillo (Frosinone, 1987) – che la scorsa notte ha depositato il suo dono per la città nel centro della sua piazza più rappresentativa. Non un caso, dal momento che la scultura si configura come una denuncia, un grido d’aiuto a favore dei deboli e dimenticati, o di chi giocoforza è rimasto gravemente danneggiato dall’attuale situazione pandemica. Look down è il titolo della scultura, gioco di parole riferito ovviamente a lockdown, un termine tornato tristemente di stretta attualità in questi giorni.

Jago, Figlio Velato
Jago, Figlio Velato

L’opera assume molteplici significati e sfumature, ma prima di tutto colpisce al cuore di tutti rivelando la nostra condizione esistenziale: siamo nudi, piccoli, indifesi. Anche la catena stessa ricorda un rude cordone ombelicale, che lega la scultura al terreno e ci ricorda la nostra limitata indipendenza. Abbiamo sempre bisogno di aiuto.

Il significato della mia opera? Andatelo a chiedere a tutti quelli che, in questo momento, sono lasciati incatenati nella loro condizione. “Look down” è l’invito a guardare in basso, ai problemi che affliggono la società e alla paura di una situazione di povertà diffusa che si prospetta essere molto preoccupante, soprattutto per i più fragili.

 

Jago

L’opera è stata installata in collaborazione con la Fondazione San Gennaro, ennesima occasione per Jago di lavorare in sinergia con la città. L’anno scorso, per esempio, aveva donato alla chiesa di San Severo alla Sanità la scultura Il figlio velato, omaggio al Cristo velato esposto nella Cappella Sansevero. Ma il legame tra l’artista e la città – dove è arrivato, lasciando New York, proprio dopo lo scoppio della pandemia – si è fatto nell’ultimo anno veramente stretto. Jago ha conquistato la fiducia della comunità, tanto che padre Antonio Loffredo gli ha aperto le porte dell’antica chiesa, ormai chiusa, al culto di Sant’Aspreno si Crociferi, nel borgo Vergini. Così il tempio, in balia dell’abbandono e del degrado, in pochi mesi è stato ripulito e trasformato nel laboratorio dello scultore, che a sua volta lo ha aperto ai ragazzi del rione.

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