Manifesta 13 Marseille The European Nomadic Biennial ha dovuto chiudere le porte in anticipo, lo scorso 29 ottobre, a causa della pandemia. Abbiamo intervistato Bianca Cerrina Feroni, curatrice assieme a Melania Rossi, di uno dei due progetti italo-francesi inclusi nel programma ufficiale. L’esposizione Real Utopias, promossa nella sezione chiamata Parallèles du Sud, è stata parte degli 86 progetti selezionati tra 360 candidature. 16 artisti internazionali, fra i quali molti italiani -Giulia Andreani, Josè Angelino, Francesco Arena, Yuval Avital, Jean Bedez, Elisabetta Benassi, Michele Ciacciofera, Jan Fabre, Maurizio Finotto, Giuseppe Gallo, Sophie Ko, Fabien Mérelle, ORLAN, Pietro Ruffo, Delphine Valli e Antonello Viola- sono stati messi a confronto rispondendo all’invito delle curatrici di pensare alle Utopie Reali.
Da Venezia a Marsiglia, Utopia capitolo secondo. Relazioni e corrispondenze con la tappa lagunare?
Real Utopias è il secondo capitolo di Looking for Utopia, la prima collaborazione tra me e Melania durante la 58a Biennale di Venezia nel 2019. Nello splendido decoro dell’Hotel Novecento, avevamo mostrato la ricerca dell’utopia, concentrandoci sui sogni che gli artisti non avevano realizzato, i progetti rimasti nel cassetto. Per Manifesta 13 ci siamo invece confrontate al tema generale della biennale che era “Traits d’union”. Con l’idea di proseguire l’avventura veneziana, abbiamo dunque proposto a un gruppo di 16 artisti di pensare al punto di contatto tra l’utopia e la realtà per fare emergere tutte le questioni con le quali ci confrontiamo quotidianamente. Gli artisti sollecitati, benché di generazioni e origini diverse, vivono in questa società in continua evoluzione immersi nelle questioni sociologiche, antropologiche, politiche che tutti noi conosciamo. Cercano dunque costantemente di immaginare nuovi modi di abitare il mondo, il corpo, di ripensare il rapporto tra uomo e natura, la trasmissione dei saperi, l’identità religiosa, culturale, la ridefinizione dei confini…
La città di Marsiglia è stata la prima fonte di ispirazione per sviluppare questa tematica proprio in virtù della sua natura metamorfica e dinamica: una città dove diverse ondate migratorie si sono sovrapposte e dove i sogni di costruzione di nuove realtà non sono mai mancati.
Come avete sviluppato il tema con gli artisti?
L’utopia è qualcosa di intrinseco alla creazione. Per gli artisti si tratta di un linguaggio immediato. Qualcosa che scorre nel loro sangue. L’idea di pensare l’utopia alla prova della realtà li ha entusiasmati. Noi cercavamo qualcosa di più tangibile del sogno. Volevamo cogliere l’aspetto più vicino alla realtà e mostrare come l’utopia possa essere un motore senza il quale nessun cambiamento sarebbe possibile. Pur rimanendo in un ambito esclusivamente estetico, volevamo mostrare l’importanza dell’immaginazione nel formarsi di nuove idee, di nuovi modi di pensare il mondo.
Considerazioni e annotazioni riguardo la biennale itinerante di quest’anno a Marsiglia. Che Manifesta hai visto e vissuto?
Abbiamo cominciato l’allestimento della mostra a metà settembre proprio quando Marsiglia è diventata zona rossa. C’erano molte incognite. Le misure sanitarie erano vincolanti sia per il numero di persone che potevano partecipare che per le misure d’igiene da rispettare, ma ci siamo adeguate. Abbiamo dovuto sospendere il programma di performance previsto nel Parco Longchamps ma abbiamo incluso l’opera Human Sign di Yuval Avital che è un progetto globale di performance online che dà voce a 180 performers di 48 paesi diversi. (ancora visibile sul sito). I primi live-streamings sono stati creati durante il primo lockdown e ci hanno permesso di entrare nelle case degli artisti e di mostrare la potenza della loro attività in un momento complesso dato dall’isolamento lavorativo.
Sicuramente è stata una biennale un po’ sotto tono ma c’erano proposte interessanti in molti luoghi e la gente finché ha potuto non si è fermata. Noi ci siamo concentrate soprattutto sulla Francia mobilitando un network di collezionisti della regione anche grazie all’aiuto del nostro partner locale, la Maison R&C, che è una casa d’aste molto attiva che svolge in parallelo un’attività culturale di promozione artistica. Nonostante la situazione Marsiglia si è confermata una una città dinamica e stimolante. Dicono sia la Napoli della Francia e qualcosa in effetti c’è. Peccato che Manifesta abbia dovuto anticipare la chiusura.
Vivendo a Parigi e avendo il polso costante della situazione culturale e artistica parigina e francese nel complesso, che città hai vissuto in questi mesi post estivi (in teoria di ripresa)?
Come in altri paesi, si è sperato di poter girare la pagina del Covid dopo l’estate. Fino a metà ottobre le giornate erano “quasi” normali; si è cercato di colmare il vuoto culturale dei 6 mesi precedenti. Avevamo tutti voglia di ritrovare la quotidianità delle visite ai musei, alle gallerie e in parte anche le fiere. ArtParis è stata l’unica ad aver mantenuto l’edizione 2020 (rinviata dalla primavera all’autunno) e ha in effetti avuto successo proprio per la voglia di ritrovare una certa normalità. Anche le gallerie hanno continuato a lavorare seguendo la loro programmazione e cercando di recuperare i mesi persi in primavera. Io stessa ho inaugurato la mostra “La ressemblance” di Simone Pellegrini alla Galerie 24b in collaborazione con Rizzomi Arte di Parma.
Nel contesto ansiogeno che si è creato con l’avvicinarsi del freddo autunnale, non è stata una decisione facile quella di mantenere l’evento, ma l’idea di resistere alla fine ha prevalso. Avevamo tutti bisogno di evadere e l’estetica di Simone Pellegrini mi è sembrata catartica. Le sue opere richiedono un tempo di osservazione calmo, ci fanno ripensare al nostro rapporto con gli altri, con la natura, con le origini. Tutte le figure che Simone ripete fluttuano in un’atmosfera sospesa tra passato e futuro. E’ un tipo di opera che entra facilmente in risonanza con quello che stiamo vivendo a causa del covid e con la necessità che sentiamo di ripensare il nostro “essere nel mondo”.
Tirando le somme… com’è andata? Cosa significa allestire una mostra del genere in una manifestazione del genere in piena pandemia?
L’epidemia obbliga chiunque nel nostro settore a ripensare ai criteri espositivi e a trovare nuove strade di promozione per il lavoro degli artisti. E’una grande sfida in questo momento. Per l’esposizione di Simone Pellegrini chiusa prematuramente a causa del nuovo confinamento stiamo lavorando a un tour virtuale per esempio. Per Real Utopias invece abbiamo scelto di mostrare tutto con le fotografie di Guido Mencari: l’allestimento della mostra, i particolari delle opere, il vernissage. Le visite virtuali non riescono comunque a sostituire il piacere dell’osservazione delle opere dal vivo. Ho dunque privilegiato le visite su appuntamento che si possono anche fissare preventivamente su un calendario online.
Abituarsi a quest’atmosfera di incertezza nella quale è difficile fare progetti non è semplice né per noi curatori, né per gli artisti. Ma l’arte è da sempre anche una forma di resistenza alla realtà , una via di fuga perciò continuiamo a lavorare e immaginare nuovi mondi possibili.