L’insieme scultoreo che costituisce la terza esposizione personale di Graziano Folata (Milano, 1982) presso la Marina Bastianello Gallery di Mestre – fruibile fino al 19 dicembre – prende spunto dalle azioni geologiche, fisiche e chimiche della natura.
L’artista di origini sarde costruisce il suo mondo, un nuovo mondo – anche nostro, a dire il vero – intercettando tempo e fenomeni, erosioni e calcificazioni che la terra – la dura terra; la terra madre – produce da sé, senza alcuna imposizione. Quanto accade, ha il sapore dell’evento; come evidenziato dalla curatrice Lucia Longhi nel testo che accompagna la mostra quando dice che Folata «imita», poiché con la terra si ricongiunge cogliendone il metodo, ora riformulato secondo «una pratica squisitamente umana».
Alla fusione in bronzo di Agatos (2020) si accostano materiali più fragili: i cristalli fusi e le lenti ottiche della Foresta fossile – corpi vitrei (2018-2020); la trasformazione di Ondina (2018-2020), ninfa acquatica composta di cime di nave frangiate dal mare, forse memoria di un luogo e di uno “stato”. Folata osserva l’azione creatrice della natura ma non vi è rifugio in essa, né in essa si rischia di perdersi. Non basta l’idea romantica di una separazione incongiungibile: ciò di cui si necessita – forse oggi più di prima, oggi come prima – è la coscienza dell’agire. Guardare sì, e avere cura, non solo preservando ma “mettendoci mano”. Altrimenti cosa rimarrebbe dell’opera? E per di più, cosa rimarrebbe dell’opera che “opera”?
Il vedere di Folata è un vedere generativo. La Dura Madre che dà il titolo all’esposizione, altro non è che la più spessa delle meningi, una membrana fibrosa che avvolge e protegge l’asse cerebro-spinale. Ebbene, l’artista edifica la sua unendo al bronzo un soffio di cristallo temperato (Dura Madre, 2019-2020), conferendo alla materia osservata il “quid” possibile di un rimando e il ritorno di un’immagine che nuovamente si evince. Nel tempo post-umano «lo sguardo protegge» – continua Lucia Longhi – può creare senza dover per forza distruggere. Se da un lato, le immagini sovrapposte di stalattiti millenarie (Caveau Moreau) ripercorrono le processualità degli accadimenti naturali, dall’altro “aprono” in senso hubermaniano alla poetica di una visione. Poiché «aprire è un lavoro…un dispiegamento…aprire significa cominciare, entrare in esercizio. In questo termine c’è la nascita, l’immagine concreta di un corpo che si apre per partorirne un altro».
Ricordiamo – magari impropriamente e nonostante le distanze – Plinio il Vecchio e il suo intellegitur plus semper quam pingitur, le capacità e le possibilità descritte nel XXXV libro della Naturalis Historia di “leggere dentro”, e il fatto che “si coglie sempre di più di quanto sia dipinto”. Dando adito all’abile osservazione che mai sovrasta e mai annichilisce, l’arte di Graziano Folata offre la matrice dalla quale ci si può “spingere oltre”. «Osservare è creare» – conclude la curatrice – e, in questo modo, rendersi conto, mediante un abisso illuminato con lampade di wood (Costellazione degli abissi, 2020), di un’immagine e delle sue origini; poterla intuire senza previe giustificazioni, secondo l’azione prima di una visione che scava finanche gli anfratti più nascosti.
Questo contenuto è stato realizzato da Luca Maffeo per Forme Uniche.
Graziano Folata
DURA MADRE suite
A cura di Lucia Longhi
19 ottobre – 19 dicembre 2020
Marina Bastianello Gallery – Via Giovanni Pascoli 9/C – Mestre Venezia
www.marinabastianellogallery.com
Instagram: marinabastianellogallery