«Paghi la mossa. Di un’integrazione precaria» di Gianmarco Cugusi è il settimo manifesto di Opera Viva Barriera di Milano, progetto legato alla fiera torinese Flashback
«E questa chi la paga?». La domanda sorge spontanea passeggiando per piazza Bottesini, in Barriera di Milano, uno dei quartieri più difficili di Torino. Perché senza aver bisogno di alzare lo sguardo, ecco apparire un’enorme fotografia che ritrae un gioco di infanzia, detto anche «tondino»: chi guarda, rischia qualche pugno come penitenza.
È «Paghi la mossa. Di un’integrazione precaria», l’opera di Gianmarco Cugusi inaugurata il 25 novembre, che è anche il settimo manifesto di Opera viva Barriera di Milano, il progetto ideato da Alessandro Bulgini, curato da Christian Caliandro e sostenuto dalla fiera d’arte Flashback, una delle anime del weekend dell’arte torinese, che come le altre ha dovuto rinunciare a prendere forma concreta e viva. Almeno nella sua sede d’origine. Quest’anno il progetto, che solitamente terminava con la fine della kermesse in presenza al Pala Alpitour, si estende nel tempo, come fa la manifestazione stessa nella sua versione online.
Il tema è Ludens, ispirato al racconto di fantascienza La variante dell’Unicorno di Roger Zelazny e all’opera di Johan Huizinga: il gioco è inteso come fondamento della vita umana e della creatività, come approccio fondamentale per la ricostruzione continua del mondo e come attività sacra. L’opera di Cugusi, artista di Milano di 29 anni, fa parte di una serie di 45 fotografie scattate con il cellulare, un progetto che è tutt’ora in corso ed è frutto di una collaborazione con l’organizzazione Save the Children e con la comunità del quartiere milanese Giambellino. Da mesi l’autore colleziona immagini dei ragazzi del quartiere che gli fanno il gioco “paghi la mossa”: se guardi nel buco formato dalle dita (ma non devi) ricevi un colpo, paghi cioè per aver fatto una mossa sbagliata. Il “pagare la mossa” diventa così metafora dell’esclusione sociale, del pagare per uno sguardo sbagliato e affonda le radici nella condizione di svantaggio socioeconomico che questi adolescenti vivono; pagano «l’integrazione precaria» che rischia spesso di trasformarsi in vera e propria emarginazione, ma dimostrano comunque la loro volontà di entrare in contatto.
Credo sia giusto, oggi più che mai – spiega Cugusi – che queste ragazze e questi ragazzi non paghino la mossa ma che, anzi, la restituiscano. In questo gioco non vi è violenza ma la voglia adolescenziale di toccarsi, sentirsi, conoscersi. In questo periodo fortemente caratterizzato dal distanziamento sociale, dove queste ragazze e questi ragazzi hanno sofferto la reclusione in spazi stretti e talvolta iperaffollati, credo sia ancora più significativo questo semplice gesto di vicinanza e, in qualche modo, rivincita. Un grande ‘paghi la mossa’ è destinato a tutti coloro che passeranno volontariamente o per sbaglio davanti a quel grande cartellone pubblicitario”.
L’opera diventa così riflessione dedicata a una comunità che, pur conoscendo e abitando il “margine”, ci mostra e ci dimostra che cosa vuol dire amare, stare insieme, vivere con l’altro e gli altri nella diversità: la relazione, nella sua forma più pura, interessante e radicale, significa essere in grado di pensare-con (con-pensare, come scrive Donna Haraway), e di pensare-come-l’altro, di essere l’altro e il suo pensiero, la sua idea, la sua visione del mondo e il suo mondo.
A dicembre toccherà, sempre in piazza Bottesini, all’ottavo e ultimo lavoro di Luisa Turuani, dal titolo ancora sconosciuto.