L’Ospite è la mostra di autunno della OTTO Gallery di Bologna, con opere di Luca Caccioni, Luigi Carboni e Giuseppe Stampone
La fine di settembre sembrava potesse dare nuovo respiro alle gallerie d’arte ed è subito ripresa la programmazione autunnale. Tornata, purtroppo, ad accusare nuove battute d’arresto ma scongiurando le chiusure toccate, invece, a musei e biblioteche, secondo linee di cecità governativa. Le città, tuttavia, possono ancora contare sulla possibilità di dialogare vis à vis – seppur con la mascherina, s’intende – con le scommesse espositive che numerose gallerie hanno portato in auge. È il caso della mostra L’Ospite, presentata a Bologna negli spazi della OTTO Gallery.
Il progetto, nato in collaborazione con Prometeo Gallery, intende indagare sul concetto primigenio di segno, evidenziato tramite una conversazione a tre fra artisti di eterogenea estrazione poetica e idiomatica. Ma accomunati dalla volontà di assegnare alla traccia segnica un valore attoriale principe nella propria rispettiva indagine. Il segno, invero, per Luca Caccioni, Luigi Carboni e Giuseppe Stampone, è inteso come codex grafico ed ontologico in grado di riportare in atto un processo ancestrale ed una traslazione che s’affida ad un sapiente uso della velatura. Ecco, dunque, che essa assurge ad elemento di sapienza antica ma capace di trovare, nelle grammatiche dei tre artisti, una summa di quanto sa ancora esprimere.
Tre artisti, tre esperienze e poetiche differenti capaci di rendersi protagoniste, per affinità e diversità, in maniera magistrale. La superficie su cui lavorano si traduce in dimensione a sé stante, luogo reale pronto ad accogliere traslazione palpabile e percepibile di pensiero. Logos e techné divengono non opposte facce della medesima medaglia, ma flusso continuo di un processo maieutico che abbraccia una corale prospettiva.
La OTTO Gallery dipana tale plurimo dialogo attraverso le sue stanze, inanellando le opere di ognuno dei tre protagonisti, quasi che esse risuonino come eco da una sala all’altra, da uno spazio percettivo all’altro, lasciando allo spettatore l’importante ed affascinante compito di tessere un nuovo filo.
Tale sorta di progressione la si nota, sin da subito, anche nelle scelte formali e segniche, dunque, dei tre. Ad iniziare da Luca Caccioni, le cui opere rintracciano e ritracciano soltanto quanto può ritenersi essenziale, quasi si trattasse di lasciar emergere da dimensione altra quanto è destinato ad affiorare e mostrarsi, per raccontare il principio di verità di visione, secondo un tempo che pare dilatato, in una sorta di lentezza, corrispondente ad una riflessione pacata che elimina il superfluo per trovare nel segno la sua più celata energia, astraendosi persino dal dato reale che, dal segno – umano e di sua descrizione – è pienamente caratterizzato. Caccioni sottrae e sublima, anche per allusione, includendo in ogni dipinto la sottile relazione tra trasparenze e riflessi, filiazione di una evocativa evanescenza tale da suggerire echi che risuoneranno, o che hanno già risuonato, in altri luoghi, in altri pensieri.
Sublimazione che, per via opposta, appare e si configura nelle opere di Luigi Carboni, nelle quali il segno si arricchisce di cromie e s’agita per horror vacui sulle grandi superfici, nel tourbillon di eccessi, di tratti che riferiscono gestualità composite ed estremamente eterogenee, dove all’atmosfera oggettivata da Caccioni si contrappone l’espansione esplosiva che Carboni porta sulle sue grandi tavole che, per effetto domino, calcano le pareti della sala con un ritmo possente, dal piglio narrativo teso ad un passato linguistico non ancora troppo lontano. Il segno è qui ospitato come traccia nera, scuro presagio di presenza le cui radici sono da cercare in un altrove suggestivamente richiamato ma che pur si (con)fonde in un accelerato groviglio di tessitura grafica che stabilisce, in un certo qual modo, una sorta di gerarchia tra segni, tale da divenire codice formale che attraversa le composizioni, dettando il ritmo d’osservazione e di intera impaginazione nello spazio.
Impaginazione che acclama la presenza, in sovrapposizione minuziosa, del segno nello spazio, nelle opere di Giuseppe Stampone. Le sue scelte iconografiche, realizzate con penna Bic su carta, suggellano il rapporto del segno con un passato d’età moderna, per descrivere il reale mediante una figurazione puntuale, precisa ma mai manierista. Al tratto che occupa la scena definendone i volumi e il realismo fotografico, Stampone contrappone una solida ironia filosofica, in cui al noto affianca un suo stravolgimento gnoseologico.
E non è un caso che, peraltro, il titolo della mostra, L’Ospite, faccia riferimento proprio alla presenza di Stampone, invitato a realizzare una personale reinterpretazione di dipinti storici secondo una visione ultracontemporanea. Se ognuno dei tre artisti propone in mostra solo opere inedite, a Stampone è stato chiesto di riconfigurare, con le sue stratificazioni ad inchiostro di penna Bic – elemento universale del quotidiano per antonomasia – un preesistente valore sia mediatico sia d’opere già presenti nella memoria collettiva, riportando il discorso, però, sulla pratica autoriale generata dalla forza del segno. Una forza che, sempre grazie alla “velata” – anch’essa – ironia talvolta è sarcasmo, mentre l’intero processo estetico rivolge una domanda sul ruolo e le posizione dell’arte, rispetto alle dimensioni occupate dal potere, sia oggi che in passato.
“Cominci a presagire la totalità quando abbracci il tuo principio opposto, poiché la totalità poggia su due principi opposti che crescono da un’unica radice. Il giorno non esiste di per sé, e neppure la notte esiste di per sé. La realtà, che esiste di per sé, è insieme giorno e notte. Dunque la realtà è insieme senso e controsenso. Tutto confluisce insieme. […] Gli opposti si abbracciano, si guardano con aria di intesa e si scambiano l’uno con l’altro. Con straziante diletto, riconoscono di essere uniti”, asseriva Jung nel Liber Novus. E il segno cercato e prodotto dalla mostra della OTTO Gallery pare riconoscersi nella espressione delle analogie e delle difformità.
Azzurra Immediato
L’Ospite
Fino al 15 gennaio 2021
OTTO Gallery
Via D’Azeglio 55, 40123 Bologna
www.otto-gallery.it