Print Friendly and PDF

L’ermetismo della pittura. In conversazione con Giulio Frigo

Icona (Orbital Debris), 2015 Oil and pigment on canvas 205x205cm, Courtesy Giulio Frigo
Icona (Orbital Debris), 2015 Oil and pigment on canvas 205x205cm, Courtesy Giulio Frigo

Criptici e misteriosi spazi imperscrutabili. Affascinanti territori da esplorare, luoghi depositari di stratificati livelli di conoscenza, che in taluni casi rimane irraggiungibile e che evidenzia l’ermetismo delle opere di Giulio Frigo (Arzignano, 1984). Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera e all’UCLA di Los Angeles, si trasferisce a Milano dove inizia a collaborare con la Galleria Francesca Minini. La sua è una pittura intensa, popolata da personaggi misteriosi, intrisa di riferimenti, frutto di uno scavo profondo intorno all’uomo e alle sue strutture, di una razionalità e di una tecnica precisa, in cui emerge però una sensibilità sottile che si manifesta in opere pittoriche, installative e performative.

Giulio parlami della tua pittura e di come si è evoluta la tua ricerca nel tempo.

Se mi volto a osservare le mie opere in fila, come in una serie, sono tre le cose che mi saltano all’occhio. La prima sono i colori. È visibile un progressivo intensificarsi della saturazione, come un cursore che nel tempo si è alzato fino all’ipersaturazione fosforescente dei pixel. È molto probabile che guardare immagini prevalentemente su schermi retroilluminati influenzi anche la sensibilità pittorica in maniere inaspettate.

In secondo luogo un filo rosso che si svolge lungo tutta la mia opera è l’indagine dello spazio pittorico come soggetto stesso della pittura. C’è un progressivo movimento di apertura da un’idea di spazialità euclidea a una topologica. C’è sempre stata una tensione a problematizzare lo spazio pittorico, forse a eccederlo, senza però trasgredire alle regole del medium che potrei sintetizzare così: rimanere nel campo bidimensionale della superficie e nell’ambito del continuo del colore. Dal “ quadro” concepito come cubo d’atmosfera o stanza, se si preferisce, al dipinto concepito come interfaccia o campo. La parola stessa quadro, il suo stesso campo, con quei quattro lati che ricordano le pareti di una cella, mi suggeriva di pensarlo come un luogo intimo, come a un cubo d’atmosfera, al gesto di appartarsi. Un po’ come quei cubi ortogonali che chiamiamo stanze dei nostri “appartamenti”, che amiamo decorare con quadri euclidei sempre piatti a curvatura nulla. Nelle mie ultime opere e sperimentazioni, sempre mantenendo uno stile pittorico figurativo, le superfici si perturbano come un liquido, oppure si librano sospese, come le volute del fumo di una pipa. La figurazione vi si può adattare, l’umanità è elastica. Sto andando verso un’idea di pittura topologica e intrecciata. È come un sistema di elementi che possono comporsi. Penso, a questo modo, di intendere lo spazio pittorico come una pittura molecolare. Ma ci sto ancora lavorando e magari cambierò idea strada facendo.

In terzo luogo la presenza del filo scorre come un leitmotiv in quasi tutte le mie opere. Il filo usato come disegno nello spazio, oppure sfruttato per profilare un cono ottico di un ipotetico campo visivo nello spazio, o ancora, il filo torna a ibridarsi con la pittura sotto forma di fibra ottica, a creare un piano costituito di puntini di luce. Un puntinismo luminoso. A farci caso il filo torna sempre.

Manifold (2.600cm2), 2019, oil and canvas 44x39x9cm, Courtesy Giulio Frigo
Manifold (2.600cm2), 2019, oil and canvas 44x39x9cm, Courtesy Giulio Frigo

I tuoi quadri sono territori misteriosi, popolati da personaggi eleganti, rimandano a un immaginario borghese, ma sono altresì avvolti in atmosfere cupe e oscure. Producono un senso di fascinazione e spaesamento.

Inizialmente pensavo al quadro come a un cubo d’atmosfera e alla serie delle “stanze” come a un corridoio labirintico privo di logica apparente. Mi piaceva circoscrivere il campo di gioco e pensavo che avrei potuto creare una serie numerata di stanze potenzialmente infinita. Dipingevo principalmente atmosfere. Non appena una di queste atmosfere si distacca dal pennello, immagino che vada ad aggiungersi a un elenco aperto di stanze numerate lungo una serie di corridoi mentali di cui io solo possiedo la chiave. Pensalo come a un hotel mentale, diffuso e distribuito nello spazio e negli spazi. Sono stanze che vanno a posarsi sulle pareti di altre stanze: interni in degli interni. Sono atmosfere che entrano in risonanza con altre atmosfere che non ho previsto, nella casa di chi le colleziona, di chi le custodisce: interni frattali.

Vorrei chiederti come lo spazio della pittura non sia circoscritto in una superficie definita; la tua ricerca si dilati fuori dal quadro, attraverso installazioni e performance.

Spesso utilizzo luci dinamiche, proiezioni, superfici a curvatura differenziale o altri dispositivi installativi perché nella mia visione della pittura, il colore accade all’interno di un regime ecologico di percezione. Per me la pittura accade come una performance. Lo spazio tra la superfice dipinta e la retina dello spettatore è un terreno di gioco in cui un pittore può ancora intervenire. Non esiste una condizione di luce “normale” e nemmeno una condizione di luce “stabile”. La luce all’interno di una stanza cambia in continuazione nell’arco di una giornata. Così come un colore cambia nel tempo all’interno di un’istituzione. I colori delle grandi opere esposte nelle varie pinacoteche hanno squillato in differenti maniere, a seconda dei sistemi di illuminazione che si sono succeduti nel tempo. Uno stesso rosso può essere “suonato” da una luce alogena piuttosto che da lampada fluorescente, oppure a led: origineranno tre rossi differenti. Esiste una storia della luce artificiale e istituzionale. La dilatazione dal quadro avviene principalmente modulando la luce che “performa” il colore, oppure attraverso la curvatura sul quale sono stesi i colori.  Sono molte le modalità con cui lo spazio tra superficie dipinta e retina dello spettatore può essere esplorato.

Presentatori di presenza (pulviscoli Eraclitei), Installation view Impenetrabile, Video Art Sound, Piscina Cozzi 2020, Courtesy Giulio Frigo
Presentatori di presenza (pulviscoli Eraclitei), Installation view Impenetrabile, Video Art Sound, Piscina Cozzi 2020, Courtesy Giulio Frigo

Da umanista, più vicina alle scienze sociali che a quelle formali o applicate, trovo molto affascinate la relazione che emerge in molti tuoi lavori con la razionalità scientifica, i calcoli, gli algoritmi e la matematica. Mi racconti l’evoluzione?

La miglior risposta che posso dare a questa domanda è indicare un nome e un percorso intellettuale esemplare, quello di Michel Serres. È da qualche anno che sto circumnavigando il suo pensiero.
La scissione tra arte e scienza è molto opinabile, si è discusso molto negli anni Sessanta.  Ciò che mi attira della matematica è la sua profonda bellezza intrinseca. Poesia e matematica sono profondamente imparentate, entrambe hanno a che fare con un istinto umano che identifica patterns e configurazioni. Mi piacerebbe esserci portato e saperla fare, ma da pittore quale sono, mi limito a osservare ciò che visivamente esce da quel pozzo profondo di intuizioni, che solo in pochissimi sanno davvero maneggiare. La computazione di oggi rende possibile visualizzare forme complesse che prima erano solo potenziali. Si tratta di forme bellissime, armoniche e affascinanti, una vera e propria estensione delle antiche wunderkammer. Io mi occupo di produrre immagini e in parte provo a raccontare questa sensibilità matematica, ibridando le sue metafore con le mie intuizioni.

Per esempio, nel grande dipinto di Spinoza – In Superfice (Spinoza Topologico – attraversato da fibre ottiche è stato il nome stesso della proprietà ottica di “riflessione interna totale”, che rende la fibra ottica così utile per trasferire informazione, a farmi scattare l’associazione. Mi è sembrata la più perfetta definizione di un filosofo che si occupi di ontologia e di questioni metafisiche. Pensando poi a un filosofo che come mestiere molava lenti, ossia dispositivi atti a concentrare geometricamente la luce, l’associazione ha assunto ulteriori suggestioni poetiche. L’idea che il caos non sia amorfo o informe ma una velocità infinita è davvero un’intuizione affascinante. La classicità profonda espressa da qualunque video, di qualunque evento “caotico” in slow motion, ne è una specie di prova.

Ritratto, Courtesy Giulio Frigo
Ritratto, Courtesy Giulio Frigo

Impenetrabile è il secondo capitolo della X edizione di Video Sound Art Festival, tenutosi presso Piscina Cozzi a Milano da settembre a novembre 2020. Hai realizzato delle opere molto complesse e strutturate per l’area della tribuna della piscina e nel bagno pubblico, riaperto per l’occasione.

È una mostra molto densa in cui ho cercato di far dialogare la natura analogica e fluida della pittura. La sua natura e la sua vocazione fluido dinamico e turbolenta con la struttura discreta e logica implicita nella comunicazione contemporanea. La pittura non ha forma e può assomigliare a tutto, anche a uno schermo luminoso. Siamo immersi in una sorta di ectoplasma di informazioni e abbagliati da un brulicare continuo di “picture elements”, rossi, verdi e blu, fosforescenti. Un magma visivo e iconografico in continua mutazione che ci unisce e insieme ci divide.

La tua ricerca è impenetrabile e enigmatica per certi aspetti. Tu cosa trovi impenetrabile?

I pixel, qui e ora, che non sto notando mentre sto leggendo.

Quali progetti futuri hai in corso?

Stare nel presente.

Still (in) Life, Courtesy Giulio Frigo
Still (in) Life, Courtesy Giulio Frigo

Questo contenuto è stato realizzato da Elena Solito per Forme Uniche.

www.instagram/giuliofrigo_studio

Commenta con Facebook