Pittore che racconta, Raoul Dufy (Havre 1877 – Forcalquier 1953) elude il soggetto per una sorta di indeterminatezza quando il segno si posa sul colore con svagata semplicità, pura gioia di dipingere. Nell’estetica di Dufy, pittore, ceramista, decoratore, la forma viene prima del contenuto e questo forse lo relegò al ruolo di “charmant petit maitre” in un periodo in cui l’impegno dichiarato era imperativo.
La pittura per la pittura, un limite se si pensa all’arte coeva di Picasso, al suo impegno riassunto nella celebre frase “La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti“. A scavare però oltre l’apparente semplicità della forma, che ha fatto spesso attribuire a Dufy la patente di superficialità, disinvoltura, mondanità, si scopre un’elaborazione minuziosa, un’attenzione ed una sensibilità che fanno riflettere. Amava, soprattutto, la musica, in particolare Mozart, Bach, Chopin, Debussy. Un post-romantico, nato e cresciuto all’ombra dell’intuizione baudeleriana del suono che suggerisce il colore e il colore una melodia. Rimbaud aveva intuito il colore delle vocali (chi non ricorda l’A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu, del “vagabondo dalle suola di vento”?), Verlaine aveva teorizzato la parola come musica.
L’inizio secolo, periodo di formazione del pittore di Havre, porta il segno di un rinnovamento profondo, di una ricerca gravida di risultati avvenire. Il segno di un’arte icastica, che si affida soprattutto alle immagini, all’invenzione di un verbo poetico accessibile a tutti i sensi: che cos’era, se non questo, ciò che i “maudits” avevano cercato nella parola e nel verso? Il Fondo Dufy è raccolto soprattutto al Musée des Beaux Arts Chéret sulla collina delle Baumettes di Nizza, grazie alle generose donazioni della moglie dell’artista, Emilienne Brisson, una nizzarda che aveva sposato nel 1911. La collezione comprende un numero cospicuo di opere fra olii, acquerelli, guazzi, disegni, progetti di tessuto per Paul Poiret, molte stampe, ceramiche, tappezzerie.
Il percorso, antologico, documenta l’intero iter creativo dell’artista, dalle prime esperienze impressioniste, anni in cui si ispira a Monet, Pissarro, Boudin, Manet, all’ammirazione per Matisse e l’adesione al Fauvismo. Fu un viaggio all’Estaque in compagnia di Georges Braques e lo choc visuale del “Midi” a confermarlo nella sua vocazione coloristica; il colore diviene sempre più tramite di stati d’animo e di emozioni. Scrive: “Nella pittura l’elemento essenziale è il colore. Il colore è un fenomeno della luce. Per i colori la natura si serve della luce. Per captare la luce il pittore si serve dei colori”. Come Matisse, Derain, Renoir, giunge sulla costa mediterranea per vivere una sua personale esperienza del colore.
Sono gli anni 1903-40: Dufy soggiorna a Marsiglia, si avvicina, rielaborandola e ripensandola, alla ricerca di Cezanne; la violenza cromatica del paesaggio di Provenza gli fa scoprire sempre di più il ruolo fondamentale del colore puro. Finirà con lo stabilirsi definitivamente nel Sud della Francia: Vence, Antibes, Nice sono i luoghi e i paesaggi, che assieme alle sale da concerto e le corse di cavalli (fu un assiduo frequentatore dell’ippodromo di Cagnes -sur-mer), l’artista predilige e dipinge con autentico trasporto poetico. L’atelier de l’artiste à Vence (1945), Le Casinò de la Yetée Promenade à Nice (1950), Le porte de Marseille (’50-52) sono le opere che meglio documentano le sue emozioni attraverso eleganti variazioni cromatiche di una semplicità solo apparente.
Un “corpus” consistente di opere di questo artista solare, grande cantore di Nizza e della Costa Azzurra, si riferisce al suo rapporto con la musica. Ecco allora i colori caldi stemperati nel giallo ocra de Le grand concert, (la sala è quella degli Champs Elisées, l’Orchestra la Societé des concerts del Conservatorio), le nuances acquatiche dell’Omaggio a Debussy, le magie monocromatiche dei Mozart-Concerts. Già nel 1902 inizia la serie con L’orchestre du Theatre du Havre, un filone che ritroveremo spesso verso la fine della sua vita, quando, torturato dall’artrosi, chiede sollievo alla musica per gli atroci dolori della malattia.
La musica di Mozart, soprattutto, esercitava un fascino irresistibile sui suoi nervi, certi concerti per violoncello lo esaltavano con i loro accenti sublimi. Dare corpo alla melodia, coglierne le sfumature, esprimere i sentimenti palesi e segreti, la girandola dei fuochi d’artificio: la pittura di Raoul Dufy fu spesso un tentativo, riuscito, di trascrivere metaforicamente la melodia ed il ritmo, si pensi a Les musiciens mexicains del ’51, in cui i blu, la violenza dei rossi sembrano sposare i ritmi indiavolati dell’orchestra. Ottimo disegnatore, colorista di grande fattura, non va dimenticata, fra le diverse facce della sua poliedrica attività, quella di creatore di xilografie su stoffa, improntate alla grazia miniaturistica dell’arte orientale.