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Quando va bene giudicare un libro (anche) dalla copertina: il caso Ponzi-Murakami

"Abbandonare un gatto", dettaglio di copertina, credits Emiliano Ponzi "Abbandonare un gatto", dettaglio di copertina, credits Emiliano Ponzi
"Abbandonare un gatto", dettaglio di copertina, credits Emiliano Ponzi
“Abbandonare un gatto”, dettaglio di copertina, credits Emiliano Ponzi

Questo articolo è frutto dell’operato degli studenti del Laboratorio di scrittura, iscritti al Master Post Laurea “Management della Cultura e dei Beni Artistici” di Rcs Academy”, tenuto nel mese di gennaio 2021 da Luca Zuccala, vicedirettore della nostra testata. La collaborazione tra ArtsLife e Rcs Academy ha dato la possibilità agli studenti partecipanti al Master, dopo le lezioni di introduzione, pianificazione e revisione dei contenuti proposti, di pubblicare il proprio elaborato sulla nostra piattaforma.

L’illustratore emiliano recepisce e traspone in immagini i ricordi di un Murakami Haruki diverso, inedito e personale come non l’abbiamo mai letto.

Murakami chiama, Ponzi risponde, e disegna una serie di illustrazioni (21) dalle nostalgiche tinte pastello, come le tinte di certe fotografie sbiadite ma mai dimenticate. Con “Abbandonare un gatto” (Einaudi), Murakami Haruki (Kyoto, 1949) scrive per la prima volta di una storia realmente accaduta: la sua. Lo fa affidando la materializzazione dei suoi ricordi all’arte di Emiliano Ponzi (Reggio Emilia, 1978), in un esperimento che sembra essere perfettamente riuscito nel suo non dichiarato intento di creare una sinergia tra testo e immagini, tanto da rendere difficile capire se sia nato prima l’uno o le altre.

Ma per nostra fortuna ci ha pensato lo stesso Ponzi a raccontare la genesi della collaborazione con lo scrittore, che ritorna con un romanzo inaspettatamente autobiografico in cui ripercorre il rapporto con il padre defunto. La risposta di Murakami è arrivata pochissimi giorni dopo aver ricevuto la prima illustrazione, come rivela Emiliano Ponzi in un’intervista su MOW, ed è stata talmente positiva da spingere lo scrittore a ordinare subito diverse copie del libro senza suggerire alcuna modifica.

Non è la prima volta che le penne dei due artisti si incontrano: Ponzi aveva infatti già realizzato l’illustrazione per l’estratto del romanzo pubblicato sul New Yorker, ma stavolta si è trattato di un vero e proprio racconto per immagini che corre parallelo a quello espresso in parole. La sfida più grande, secondo l’illustratore, è stata quella di tentare di esprimere la stessa delicatezza e la stessa intimità di cui Murakami ha voluto rendere partecipi i lettori. Per riuscirci confessa di aver studiato a fondo l’iconografia e l’arte giapponese, quella stessa arte che influenzò Van Gogh alla fine dell’Ottocento, nel tentativo di accostarsi con rispetto e discrezione alle vicende di una famiglia profondamente legata alla tradizione. I riti, le abitudini, i paesaggi raccontati attraverso gli aneddoti di vita quotidiana scandiscono il ritmo del romanzo, così come i colori tenui delle immagini suggeriscono una semplicità che stupisce per la coerenza con cui si rapporta alle vicende narrate. Il che risulta ancora più sorprendente se si pensa che Ponzi non ha mai incontrato o parlato direttamente con Murakami.

Ripercorrendo la carriera di Emiliano Ponzi, in effetti, ci si rende facilmente conto che catturare e interpretare sentimenti è una parte fondamentale del suo processo creativo: nel pieno della prima ondata di COVID-19 ha raccontato sulle pagine del Washington Post il lockdown milanese, ma già negli anni precedenti si era distinto collaborando con il NYT, Vogue, Repubblica e, soprattutto, Feltrinelli: sono sue tutte le copertine dei romanzi di Charles Bukowski, disegnate in occasione della riedizione dell’Universale Economica. Pur trattandosi di autori decisamente differenti, anche in quel caso Ponzi aveva puntato sull’interpretazione e sul rispetto dello spirito del romanzo, cosa che assume un significato ancora più rilevante se riferita a un autore “d’azione” come Bukowski.

Parlando dell’ispirazione, Ponzi ammette che non sempre tutte le idee gli vengono suscitate dal testo per il quale è in procinto di realizzare le illustrazioni, ma che spesso attinge alla sua storia personale, ai suoi ricordi e alle sue passioni, come quella per le vecchie polaroid scolorite che influenzano le tinte delle sue opere. Così è stato per “Abbandonare un gatto”, dove confluisce anche un’esperienza di viaggio precedente alla pandemia, e così è stato per “Cronichles from the red zone”, il già citato ciclo di illustrazioni che racconta il lockdown milanese agli americani ancora inconsapevoli di cosa li avrebbe colpiti di lì a poco. Quando gli chiedono come mai in Italia le sue illustrazioni non vengano pubblicate quanto all’estero, Ponzi risponde con una certa indulgenza, ammettendo comunque la nostra poca “varietà culturale” specialmente se considerata in rapporto a quella statunitense. Eppure, non tutto sembra perduto.

In un periodo storico in cui le industrie culturali riflettono sulla loro capacità di adattarsi ai cambiamenti, Emiliano Ponzi intravede l’inizio di un altro tipo di cambiamento, puramente concettuale: una diversa considerazione dell’illustrazione come forma d’arte autosufficiente su cui Einaudi ha deciso di puntare, come testimoniato anche dalla pubblicazione di “Tokyo tutto l’anno”, scritto da Laura Imai Messina e illustrato da Igort. Chissà che non abbiano trovato la panacea per l’ormai consolidata crisi della carta stampata.

"Abbandonare un gatto", dettaglio di copertina, credits Emiliano Ponzi
“Abbandonare un gatto”, dettaglio di copertina, credits Emiliano Ponzi

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