La Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, nel parmense, rompe il “silenzio” su Modigliani con una mostra che focalizza disegno e pittura
Nella società della relativizzazione social l’”evento” è diventato uno dei tòpoi prediletti nell’affannosa ricerca di una spettacolarizzazione necessaria per emergere nel mare magnum della rete. Tentando di riguadagnare il senso reale del termine, qualcosa – in questo caso una mostra – può meritare la “promozione” a evento anche a prescindere dalle sue caratteristiche intrinseche. Ma perché proiettata in un contesto che ne determina la straordinarietà.
Questa, nel nostro caso, è data intanto dal nome dell’artista dal quale prende le mosse: ovvero Amedeo Modigliani, che non ha certo bisogno di ulteriori puntualizzazioni. Ma ancor di più l’eccezionalità dell’esposizione programmata dalla Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, presso Parma, è data dal momento storico nel quale vede la luce. E qui non ci riferiamo alle ancora stringenti restrizioni pandemiche: le date indicate – dal 27 marzo al 4 luglio – potrebbero, incrociando le dita e riferendoci a quanto accaduto lo scorso anno, in parte coincidere con un fisiologico rallentamento della forza del Covid e delle conseguenti limitazioni negli spostamenti.
Ci riferiamo piuttosto alla determinazione – diremmo quasi al coraggio – di metter mano a un universo come quello di Modigliani, obnubilato dalle gravi conseguenze della mostra di Palazzo Ducale di Genova del 2017. Con accesi scontri fra critici circa le attribuzioni e accuse di falsi. Che hanno portato a un processo che prende il via proprio in queste settimane. Vicenda che ha consigliato moltissimi a tenersi alla larga dall’argomento “Modigliani”, nell’attesa che le nebbie genovesi si diradino. Consiglio accolto pressoché unanimemente, con la virtuosa eccezione di Livorno, che lo scorso anno ha ospitato la bellissima mostra “Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre”.
Ma quel che è più grave, lo abbiamo deplorato con forza noi di ArtsLife, è che la moratoria modiglianesca è stata attuata anche dalle più alte istituzioni culturali italiane. In primis dal Ministero dei Beni Culturali. Che ha fatto trascorrere il centenario dalla morte del grande artista – che cadeva nel 2020 – senza la benché minima iniziativa volta a celebrarlo. E a riscattarlo da una sorte rimasta affidata a molti personaggi assai discutibili, alcuni dei quali coinvolti nel processo a cui accennavamo sopra. Stesso, colpevole, silenzio, dai grandi musei e centri d’arte del Paese.
Un panorama, dunque, che fa brillare per eccellenza anche una mostra piccola come quella presentata dalla Magnani-Rocca. Sia chiaro: “piccola” non è riferito alla qualità complessiva del progetto espositivo, né – ribadiamo – ne vuole ridimensionare lo spessore. Si tratta di una banale considerazione “quantitativa”: visto che fra le opere esposte ci sarà un solo dipinto – ancorché prestigioso – del grande artista livornese, affiancato da cinque importanti ritratti a matita di personaggi della Parigi di inizio secolo. A dare garanzie, in tutti i sensi, al progetto c’è la provenienza delle opere, prestate dal Musée de Grenoble. Per una mostra che vuole sondare proprio il rapporto fra disegno e pittura in Modigliani.
Il dipinto visibile è il celebre Femme au col blanc, olio su tela del 1917, raffigurante Lunia Czechowska, amica di Léopold Zborowski e di sua moglie Hanka. E grande amica e confidente dello stesso Amedeo, che la ritrasse molte volte in tele centrali nella sua parabola creativa. La mostra si svilupperà poi analizzando la fascinazione dell’artista per l’essenzialità stilistica della tradizione trecentesca e quattrocentesca senese. E l’influenza di Paul Cézanne e delle maschere africane. Esponendo importanti esempi della pittura senese e cezanniana accostati ai lavori di Modigliani, come anche una maschera africana. Con opere dello stesso Cézanne, di Renoir, Monet, Matisse, Braque, e di Severini, che in quegli anni viveva a Parigi