Il dibattito aperto si struttura: “solo la bravura e l’intelligenza fanno l’Arte di Serie A. Che poi produce visibilità, successo e ricchezza”, scrive Politi
Caro Tonelli, a leggere (in ritardo perché sono uno sprovveduto navigatore del web) il tuo acculturato intervento in ArtsLife [Caro Politi, sei sicuro che denaro e successo facciano l’arte di serie A?] su un mio Amarcord, penso ai dotti saccenti di filosofia o di sociologia, di fronte ai quali mi tolgo il cappello, che intervengono sulla pandemia, predicendo il futuro dell’Universo sostituendosi ai pur fumosi virologi. E questi filosofi, di fronte alle migliaia di decessi, citano Platone o S. Agostino e in qualche caso Leibniz, precursore dell’algoritmo. Come sempre in Italia e per qualsiasi cosa, una fuga dalla realtà.
Tale mi sembra il tuo intervento, che non avendo troppe argomentazioni sull’arte in genere e sul presente dell’arte, si rifugia nell’eternità. E fai bene mio caro, L’eternità è l’eterno rifugio (scusa il bisticcio) dei quattro quinti dell’umanità. Senza la speranza dell’eternità, quasi tutto l’universo popolato, riempirebbe i fiumi e i mari di cadaveri per disperazione. Rendendo felici i pesci. E a me spiace molto, essendo figlio ortodosso dell’Illuminismo, di aver leggiucchiato qua e là, anziché aver tentato la vita del contadino umbro, oggi felice tra le sue pecore e le dolci montagne fra Trevi e Spoleto. Con buona ricotta e formaggio a voluttà. E saltabeccando da libro a libro, ho perso l’innocenza di mio padre e mia madre, che ora sono in Paradiso, beati loro.
Io invece da seguace di Thomas Henry Huxley, sono un agnostico incallito e mi dibatto tra le insidie neubolse del presente, pensando poco al futuro. Il quale futuro lo lascio a voi più giovani, perché nel 2050, l’Europa sarà cinesizzata. E tra cinesi e fondamentalisti addio alla tua bella civiltà eterna. Purtroppo, lo dico con rammarico disperato, la tua Cappella degli Scrovegni non supererà gli 800 anni di eternità. Lo stesso per il mitico Piero della Francesca, quasi mio conterraneo. In barba a Jeff Koons con i suoi felici diecimila anni di vita. Poi si vedrà. Se conosci un po’ la storia, anche recente, saprai che molte civiltà sono scomparse, sopraffatte da altre, militarmente o demograficamente o economicamente più forti.
In quanto al nostro misero presente, tu, come tutti, hai stravolto il mio punto di vista. Così come fan tutti. Quelli poco informati sull’arte contemporanea o che eleggono l’arte a religione. Jeff Koons, Damien Hirst e Maurizio Cattelan (ma non solo, potrei aggiungere Gerhard Richter, Anselm Kiefer, Rudolf Stingel, ma anche parecchi altri) non sono diventati famosi grazie al denaro, ma diventati famosi perché super bravi e di conseguenza hanno prodotto visibilità, economie e ricchezza per loro e per gli altri. Ma certo che esiste una serie A dell’arte, come esiste della critica, del mercato, dei musei, dei collezionisti, degli avvocati, dei medici, dei ricchi e dei poveri. Cioè della vita. Inutile nascondersi dietro un dito.
Io sono un convinto assertore del darvinismo sociale. Di Ronaldo o di Messi ce n’è uno. Gli altri centomila o un milione (seppur bravi) giocano con lo Spoleto, il Foligno, il Trapani o gli Oristano di tutto il mondo. Altri meno bravi con il Trevi o il Montefalco. Ma alla fine sono tutti bravi, bravissimi e sono loro la vera linfa del calcio, da cui ogni decade oppure ogni anno emergono i super. Come i tuoi artisti, senza cui non ci potrebbero essere i Jeff Koons o i Maurizio Cattelan o i Damien Hirst, che io ho preso come esempio, rappresentando tre diverse tipologie di artista. Di grande artista contemporaneo, specchio della società, come deve essere l’arte. Tutti coloro che dipingono o scolpiscono, o lavorano con i media e si considerano artisti (Duchamp) sono artisti. Ma tanti, tantissimi i chiamati e pochi, pochissimi gli eletti.
Caro Tonelli, non ho mai pensato, come brutalmente pensi tu, che il denaro e il successo producano l’arte di Serie A. Ma che l’arte di serie A produca successo e quindi denaro, questo sì. Ed è giusto che sia così. Se sei bravo devi avere successo (cosa in Italia poco riconosciuta). E il successo di taluni artisti non è opinabile, esiste ed è di fronte a tutti. Categorico e inoppugnabile. Che poi, ognuno di noi, come te, abbia in pectore una lista di artisti bravi, soprattutto umbri, magari di Spoleto, dove operi è oltremodo giusto.
Anche tu tieni famiglia. Nel mondo esistono migliaia e migliaia di graduatorie personali e intime di artisti di serie A. Come di milioni di artisti che pensano che il tempo darà loro ragione. Ma secondo i miei convincimenti, tu sei bravo veramente se giochi nel Bayern Monaco, nel Manchester United, nel Paris Saint Germain e in poche altre squadre. Poi vengono La Juventus, l’Inter, il Milan….
E Burri non era figlio della cultura umbra (di Piero, come diceva lui a me) ma della cultura meticcia delle prigioni del Texas, a contatto con le migliori intelligenze della Sicilia, della Campania, del Centro e Nord Italia, che diventava esplosiva a contatto con la brutalità del grande Texas e delle colonne di camion di aiuti americani dell’ERP, del Piano Marshall. Che trasportavano sacchi di iuta, mal ricuciti, che contenevano il grano americano. Li ricordo ancora questi camion un po’ sgangherati, che trasportavano il grano sbarcato a Civitavecchia e passavano anche davanti a casa mia sulla Flaminia Vecchia e che talvolta perdevano un sacco di grano che noi bambini cercavamo di raccogliere sull’asfalto.
Caro Tonelli, mi sei simpatico, perché per dirigere un Museo a Spoleto ci vuole coraggio. Perché l’arte contemporanea in Umbria è cordialmente odiata e fuori contesto. Ma a ragione. Il mio più grande errore e rammarico (tra i molti), con dispendio di tempo, energie e denaro, fu la creazione del Trevi Flash Art Museum, dove portai alcuni dei migliori artisti italiani e internazionali. Compresi i primissimi Maurizio Cattelan e Vanessa Beecroft. Ma tanti altri, i migliori italiani degli anni 90. Io ne ero quasi orgoglioso malgrado alle inaugurazioni intervenissero i soliti dodici artisti del territorio per la speranza di una mostra.
Un giorno, nella piazza centrale, un pittore locale, Marino Gentilucci, mi fermò e mi disse: caro Politi, ricordati che qui a Trevi non abbiamo bisogno di niente. E se ne andò senza altre spiegazioni. E io a riflettere. Poi pensai che a Trevi c’è la Sagra della bruschetta e del sedano bianco. Con le macchine di tutta l’Umbria in coda per quattro chilometri lungo la strada principale. E per conquistarti una bruschetta o un sedano con dentro una salsiccia devi avere gambe e cuore buoni per farti quattro chilometri di salita. E capii allora e per sempre che l’arte (contemporanea e non) deve essere una conquista, non una imposizione. Cercare di portare l’arte contemporanea dove non è desiderata è un criminale atto di colonialismo.