Marco Tonelli, direttore del museo di Palazzo Collicola a Spoleto, risponde a Giancarlo Politi sulla scena artistica umbra
Caro Politi, mi ha fatto piacere leggere le tue osservazioni in risposta alle mie considerazioni su arte di serie A, ricchezza e via dicendo. Punti di vista che accendono il dibattito e ci danno un po’ di adrenalina in tempi così difficili. E a noi piace il dialogo (magari a Covid passato ne facciamo uno pubblico a Spoleto sul tema). Voglio solo dissentire su un punto, quando scrivi: “Caro Tonelli, mi sei simpatico, perché per dirigere un Museo a Spoleto ci vuole coraggio. Perché l’arte contemporanea in Umbria è cordialmente odiata e fuori contesto… Cercare di portare l’arte contemporanea dove non è desiderata è un criminale atto di colonialismo”. E paragoni Spoleto alla tua pur virtuosa (ma fallita) situazione del Flash Art Museum e alla “scena” artistica di Trevi.
Spoleto non è però Trevi, lo sai meglio di tutti noi. Spoleto dal 1953 è la scena dell’arte contemporanea per antonomasia in Umbria. Solo per citare a caso: Premio Spoleto (1953-1968), le mostre durante il Festival dei Due Mondi (disegni del MoMa, artisti americani tra cui Rauschenberg, personali di De Kooning, Leoncillo, Moore, Balthus e poi Mochetti, Gnoli, Gallo), performances di Ceroli, Cintoli, la costruzione permanente della Geodetica di Buckminster Fuller, per non dire della celebre mostra Sculture nella città del 1962 (un caso ancora oggi studiato all’estero). E le mostre organizzate dagli Incontri Internazionali con interventi in città di Daniel Buren o l’impacchettamento di Christo del Fortilizio dei Mulini presso il Ponte delle Torri. E ancora la mostra 420 West Broadway, con opere delle prestigiose gallerie Leo Castelli, Sonnabend ed Emmerich.
E poi Filmperformances a cura di Bonito Oliva e Corà con, tra i vari, Acconci, Beuys, Boltanski, Nauman, Mattiacci, Smithson, Weiner, entrambe del 1972. O quella celebrativa dei 30 anni dell’Attico del 1987. E la presenza costante di Sol LeWitt a Spoleto, le sue opere sparse per la città (certo non sempre ben conservate) e l’immenso wall drawing presso l’Hotel Albornoz, la figura di Giovanni Carandente cittadino onorario di Spoleto, galleriste come Marilena Bonomo e ora la figlia Alessandra che fanno sentire la loro presenza, le attività ipercontemporanee degli Studi Mahler-LeWitt con giovani artisti, scrittori e registi di ogni parte del mondo, le mostre organizzate da Franco Troiani con opere di Kounellis e Nagasawa. Inutile continuare…
Da quando dal febbraio 2019 sono direttore di Palazzo Collicola, contrariamente a quanto dici, di umbri ne sono passati pochi, a parte Ceccobelli e Raspi, se vuoi considerare umbro Canevari (che però è nella collezione del MoMA), ma di certo non lo sono Loris Cecchini, La Pietra, Griffa, Notargiacomo, Asdrubali, Pistoletto, Plessi (una mostra programmata di Mark Francis è stata rimandata causa Covid) e prossimamente Penone o Di Stasio.
Devo poi dire della collezione della Galleria d’Arte Moderna “G. Carandente” di Palazzo Collicola? Ci sono importanti opere di Richard Serra, Dibbets, LeWitt, Accardi, Dorazio, Lo Savio, Burri, Pascali, Leoncillo, Calder, Nunzio, Tirelli, Ontani, Ceroli, Pepper, David Smith e via dicendo… Devo poi aggiungere della presenza in città di monumentali sculture di Calder, Pepper, Chadwick, Franchina, Pomodoro, Consagra, Noguchi?
E ovviamente non entro nel merito dei grandi scenografi, musicisti, compositori, registi teatrali di fama internazionale che hanno animato la città durante le edizioni del Festival: la nuova direzione di Monique Veaute sta già portando ventate di novità e di contemporaneità molto promettenti. Non so se tutto questo sia avvertito come un “criminale atto di colonizzazione”, come scrivi, certo le resistenze a volte ci sono, gli errori, i fuori tema. Ma a Spoleto, nonostante le difficoltà, sembra che tutto sia ancora possibile e “felice nella vita dell’arte”. O almeno così vogliamo sperare….
Marco Tonelli
https://www.palazzocollicola.it/