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L’arte contemporanea italiana è (quasi) fallita? Ecco perché

Arte italiana alle Biennale d’Arte di Venezia 2017 Arte italiana alle Biennale d’Arte di Venezia 2017
Arte italiana alle Biennale d’Arte di Venezia 2017
Arte italiana alle Biennale d’Arte di Venezia 2017

Marco Tonelli riprende il filo del nostro (paradossale) discorso sulle cause della scarsa presenza di arte italiana a livello internazionale

Vorrei rispondere in modo del tutto colloquiale al recente articolo di ArtsLife sul supposto fallimento dell’arte contemporanea italiana. Non so se l’assenza di artisti italiani alla Biennale di Shangai o alla Triennale del New Museum di New York (ma a proposito: non lo dirige un curatore italiano?) siano motivi sufficienti per decretarne il fallimento (forse dovremmo tener conto di molte altre realtà sparse per il mondo per dare un giudizio più complessivo). Ma di certo sono dei sintomi. Soprattutto se penso al numero vistoso di artisti cinesi e americani presenti nelle rispettive rassegne (come l’articolo giustamente sottolinea), quello degli italiani invitati alla Biennale di Venezia, in effetti, è risibile.

Per paura di essere sovranisti e populisti (ma poi che vorrà dire?) ci decolonizziamo da noi stessi. Per paura di quella che chiamate “partigianeria”, abbiamo timore a proporre un made in Italy che non sia il solito cibo, moda e automobili di lusso… Difetto tipico italiano? Non so poi se stendere un velo pietoso o impietoso sulla gestione di politica culturale del sistema dell’arte italiana, piuttosto mi chiederei che cosa abbiano apportato alla visibilità dell’arte italiana, dopo vari anni, i bandi dell’Italian Council, o il più recente programma della Quadriennale Q-International. Volti a far conoscere, promuovere, esportare artisti italiani nel mondo. Non dovrebbe essere difficile fare un calcolo di costi e benefici. E quantificare le azioni realizzate e gli effetti scaturiti, basta un revisore dei conti intelligente e la solita commissione di esperti per capirlo. Sempre che abbia senso farlo.

Ora le alternative sono varie: o la presenza degli artisti italiani internazionali e alla moda non è più convincente come qualche anno fa, o guardiamo solo da una parte del sistema, quella più mediatica ma non necessariamente la più valida, o le occasioni in cui l’Italia mostra il meglio di sé non espongono sempre il meglio di sé (Padiglioni Italia della Biennale, mostre promosse dagli IIC, da alcune fondazioni pubbliche o dai musei pubblici di arte contemporanea più attrezzati e all’avanguardia in termini di risorse, relazioni e spazi). Dulcis in fundo, l’interesse dei curatori italiani più internazionali per gli artisti italiani, sia che si muovano dall’Italia o che vivano all’estero.

Io certo non voglio difendere nessuna forma particolare d’arte per principio. Né quella italiana, né quella di gender maschile o femminile, etero o omo. Né quella degli artisti di colore (ma poi di quale, se ad esempio negli USA scopriamo che gli ispanici si sentono una minoranza sociale e politica già rispetto ai neri?) e via dicendo. Promuovo, scrivo, ammiro quell’arte di cui sono capace o di cui i miei interessi mi hanno portato ad occuparmi, per limiti o ispirazioni personali. Senza preclusioni, ma anche senza forzature ideologiche o di tendenza.

E dico: se l’arte prodotta in Italia o da artisti italiani residenti all’estero è fallimentare, non è detto sia colpa di qualcuno. Come afferma Denzel Washington nel film The Equalizer II, rivolto a un giovane di colore a rischio di entrare a far parte di una gang e messo sulla retta via dal protagonista (lo stesso Washington ovviamente): “… e niente cazzate sull’ambiente, su tua madre che ti trascura o sui bianchi che non t’hanno dato l’occasione…”. Insomma in arte si potrebbero premiare di più le qualità dei singoli, chiunque essi siano, e non le pari opportunità a prescindere; si potrebbero fare rassegne d’arte italiana all’estero meno ritagliate sulla figura dei curatori e più su quella degli artisti; si potrebbero fare Padiglioni Italia selezionati da figure professionali e non da Ministri nelle stanze della politica. Senza diffondere pubblicamente i progetti che hanno presentato i curatori esclusi; e via dicendo.

 

Marco Tonelli, foto Aldo Marrone
Marco Tonelli, foto Aldo Marrone

Certo rimarrà sempre un fatto, anche chiamando il super commissario dell’arte italiana (ovviamente una boutade, quella proposta dall’articolo, ma chissà…): chi lo sceglierà?

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