Ha inaugurato il 15 aprile negli spazi della B#S Gallery di Treviso e in versione digitale sul sito www.bsidewar.org la mostra collettiva “From a common past”, a cura dell’associazione culturale IoDeposito. L’esposizione sarà visitabile in galleria (su prenotazione) e online fino al 29 maggio.
Una mostra per raccontare la storia più recentee sondare i lascitidegli eventi traumatici del XX° e XXI° secolo nella cultura contemporanea. Protagoniste di “From a common past”sono installazioni – anche sonore – videoarte, pittura, collage e una sezione d’archivio dedicata alla performance art, che con metafore violente o delicate raccontano storie personali, familiari o collettive collegate a guerre, regimi totalitari – con le loro derive più cupe – e alla loro memoria.
Con opere di Dan Allon (Israele), Marcela Avellaneda (Colombia), Manca Bajec, Boris Beja (Slovenia), Mircea Ciutu (Romania), Jason File (USA), Sylvia Griffin (Australia), Katarzyna Pagowska (Polonia), Vasilisa Palanina, Lesya Pchelka e Uladzimir Hramovic (Bielorussia).
“La presenza attraverso le generazioni di traumi antichi o recenti relativi alle guerre ha un’incidenza che pesa nella vita e nelle relazioni, non solo tra i popoli confinanti ma anche all’interno delle società. Per cui riprenderli, rielaborarli e archiviarli, alleggerisce questo peso, che altrimenti si tramanda di generazione in generazione”.
Sono queste le parole dello psicanalista Paolo Fonda, pronunciate in un’intervista del 2015, che spiegano la fondamentale importanza della rielaborazione collettiva di un vissuto traumatico, utile a “neutralizzarne” l’impatto negativo, altrimenti destinato a perpetrarsi. Per la sua “capacità di sondare i luoghi dove non arriva la razionalità, e tirare fuori i contenuti inconsci”, è proprio l’arte, secondo Fonda, a costituire uno degli strumenti più idonei a illuminare gli angoli bui dei bagagli traumatici che l’umanità porta con sé, trasformandoli in una narrazione condivisa e in un insegnamento.
Con i lavori in mostra, 11 artisti internazionali hanno individuato e rielaborato le “zone d’ombra” che questi avvenimenti continuano a proiettare sulla contemporaneità, nodi invisibili e mai sciolti che possono agire – a un livello inconscio – anche sulle nuove generazioni.
DA NON PERDERE:
CANCELLARE LA MEMORIA
Un nucleo tematico di opere in mostra mette in luce la facile rimozione, all’interno della narrazione storica dominante, di persone, storie, luoghi e avvenimenti ad esso connessi. Con i video “No, no, no” e “Maternal palimpsest”, Sylvia Griffin rappresenta il sentimento di frustrazione provato nel corso della sua difficile ricerca d’archivio dei nomi dei suoi familiari, vittime della Shoah.
Con l’installazione “Black Triangle”, Katarzyna Pagowskarende omaggio agli internati più “emarginati” nei campi di concentramento nazisti, contraddistinti da un rettangolo nero, tra cui prostitute, donne che hanno praticato l’aborto, poveri, senzatetto, disabili fisici e mentali.
Nella performance “Fertile soil”, Lesya Pchelka e Vasilisa Palianinarecuperano dall’oblio un’area in Bielorussia dove durante la Seconda Guerra mondiale sorgeva un lager, ma che oggi è destinata a uso agricolo.
L’ANTI MONUMENTO
Il lavoro dell’artista e ricercatrice Manca Bajecsi concentra particolarmente sulla questione della memoria, dei monumenti bellici, della commemorazione pubblica e del revisionismo storico legato alle guerre. Con l’installazione“Witness corner marked”, composta da palloncini argentati che galleggiano nello spazio, l’artista ha costituito un monumento effimero “parlante”, che diffonde le testimonianze orali, invisibili e intangibili, relative a diversi conflitti della storia recente, da lei raccolte.
Discostandosi dall’estetica tradizionale dei memoriali di guerra, Manca Bajec dà forma a un vero e proprio “anti-monumento” transitorio e fluttuante, che si fa cassa di risonanza per le voci registrate di sopravvissuti all’olocausto e di persone che hanno vissuto i conflitti in ex Jugoslavia e Iraq. Discostandosi dall’estetica pesante e immutabile tipica dei monumenti commemorativi bellici, sottolinea la necessità di una “riscrittura” della storia, che comprenda anche punti di vista altri rispetto a quello dominante.
RACCONTARE UN PASSATO MAI VISSUTO
Cemento colato, mozziconi di sigaretta gettati violentemente sul supporto in carta e un pittura espressionista dove la figura umana emerge dal groviglio di segni compongono le opere della serie“Reeducation” di Mircea Ciutu, che portanoin sé l’eco della Rivoluzione romena, che portò al crollo del regime comunista del dittatore Ceaușescu del 1989, anno di nascita dell’artista.
Venuto a conoscenza di una storia ancora poco raccontata nel suo Paese, Ciutu ha deciso di dedicare la serie di opere agli esperimenti di rieducazione messi in atto nel suo Paesedurante il governo comunista, tentativo di “correggere” con metodi repressivi i prigionieri politici, per lo più giovani, per deviare le loro convinzioni politiche e religiose precedenti ed eliminare ogni forma di dissidio.
LA FIGURA DEL DITTATORE. UN ARCHIVIO ONLINE
Rappresentate in mostra, raccolte inarchivio digitale, sono 4performance dell’artista israeliano Dan Allon, realizzate tra il 2014 e il 2016, dove protagonista è la figura archetipica di un dittatore immaginario, di cui l’artista, per diverse volte e per lunghi periodi di tempo (anche fino a un mese) ha letteralmente vestito i panni. Tramite ricerche iconografiche e documentarie, l’artista ha osservato i tratti in comunedi dittatori e generali politici, sia per quando riguarda alcuni “vezzi” estetici, sia per i tratti narcisisti della loro personalità. Facendo particolare riferimento alle figure di Idi Amin Dada (Uganda) e Mu’ammar Gheddafi (Libia), Allon ha riflettuto sul pericoloso potere dei leader carismatici di influenzare le masse, sui regimi totalitari e sui sistemi di repressione politica messi in atto da questi ultimi.
DIPINTI A STRISCE PER LA GUERRA DELL’EX JUGOSLAVIA
“The Hole Truth” è una serie di opere in formato A4 di Jason File,artista e avvocato internazionale, ex procuratore per i crimini di guerra delle Nazioni Unite. Al centro di ciascuna tela si trova un minuscolo pezzo di carta circolare, scarto derivante dall’operazione di foratura dei documenti contenenti le prove presentate al processo dell’ICTY(Tribunale Penale Internazionale dell’ex-Jugoslavia), per archiviarli nei raccoglitori ad anelli. Ogni lavoro corrisponde quindi a uno specifico foglio che è conservato in una cartella presso il Tribunale.
La colorazione a strisce delle tele ricorda quella dei tendoni da circo: alcuni dei primi scavi di fosse comuni in Bosnia-Erzegovina si sono svolti infatti proprio sotto queste strutture, all’epoca l’unico mezzo disponibile per proteggere i siti dalle intemperie.
In ciascuna opera, la superficie è tenuta in tensione in modo da indicare i luoghi dove si trovavano fosse comuni e altri punti rilevanti, come indicato sulle mappe dei siti di indagine utilizzate presso l’ICTY.
NUDA TERRA. LE FOSSE COMUNI
Attraverso materiali effimeri e organici, l’installazione “Vuelos mutilados” dell’artista colombiana Marcela Avellaneda evoca imezzi crudeli e violenti utilizzati dai gruppi sovversivi nel suo Paese, sotto lo sguardo passivo e indifferente dello Stato.Da decenni i cittadini colombiani vivono nell’incertezza, con la paura di essere rapiti, reclusi in condizioni disumane e di scomparire per sempre. L’opera racconta l’orrore delle fosse comuni nascoste nel territorio nazionale che, trovate man a mano, anche tramite scoperte casuali – alcune delle quali molto recenti – riemergono dall’oblio.
FROM A COMMON PAST
15 aprile – 29 maggio
B#S GALLERY – Via Isola di mezzo 3/5, Treviso
Apertura solo su prenotazione
Mostra online:www.bsidewar.org
La mostra fa parte del progetto ArtForRemembrance, guidato dall’associazione culturale IoDeposito, cofinanziato dal programma dell’Unione Europea “Europa per i cittadini”.