Nel 1929, il giovanissimo Alberto Moravia pubblica il suo romanzo d’esordio, Gli Indifferenti, scritto durante un periodo di convalescenza trascorso in una clinica di Cortina d’Ampezzo. Nella sua prima opera giovanile, sono già presenti tutti i temi che ritorneranno, più o meno sviluppati, nei suoi romanzi successivi: la meschina ipocrisia e l’insincero conformismo della società borghese – a cui Moravia stesso apparteneva; l’incapacità dei giovani di entrare nel mondo e di imporsi con le loro scelte e la loro inettitudine – tema caro alla poetica sveviana; l’indifferenza e la noia, amare e consuete compagne di vita dell’uomo.
E che queste tematiche siano ancora -tristemente e inesorabilmente- attuali e facenti parte della nostra contemporaneità lo dimostra la compiuta realizzazione dell’adattamento cinematografico che il regista romano Leonardo Guerra Seràgnoli ha recentemente tratto dal libro. Dopo la seconda versione cinematografica di Francesco Mastelli (1964), Seràgnoli ha riportato in scena il dramma della famiglia Ardengo, che si consuma tra le pareti del loro appartamento nel ricco quartiere romano dei Parioli.
Cambia l’epoca storica – non più gli anni ‘20 del Novecento ma i giorni d’oggi -, muta il contesto socio-politico – non più l’ascesa del fascismo – ma la condizione umana rimane (sfortunatamente?) sempre la stessa. Questo perché a essere messa in scena – da Moravia così come da Seràgnoli – è la condizione dell’uomo moderno: l’uomo che, dopo aver ormai soddisfatto i suoi bisogni primari, non trova più motivazioni capaci di farlo sentire vivo e umano. La conseguenza di questa incapacità di entrare in contatto con la realtà esterna è il sentimento della noia, cioè la consapevolezza di essere una cosa in questo mondo pur non riuscendo a empatizzare con esso.
Nella realizzazione del film, il lungo e approfondito lavoro di studio e ricerca sul corpus delle opere letterarie di Moravia e sull’evoluzione dei personaggi moraviani si accompagna a una parallela riflessione sul tema della precarietà e dell’indifferenza nella nostra contemporaneità: chi sono gli indifferenti oggi?
Un film che fa pensare e che allo stesso tempo affligge l’animo. E quello che strazia è che è tutto così vero, tutto così reale: dall’infedeltà di ogni personaggio alla crudele oscenità e spietata volgarità dei gesti compiuti.
Da dove viene l’idea di dare vita a un nuovo adattamento cinematografico de Gli Indifferenti di Alberto Moravia?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Dall’osservazione della realtà italiana degli ultimi quarant’anni, dalla frustrazione di non riuscire a sbrigliarsi da nodi del passato che ci tengono stretti, che ci fanno soffocare. Nodi a cui ci aggrappiamo per evitare di andare a fondo, anche a costo di strozzare chi ci sta vicino. Prima di tutto c’è la sopravvivenza. Ma non quella di chi non ha niente… quella di chi ha abbastanza, vuole di più e per ottenere ciò che vuole preferisce sacrificare ogni senso civico in nome di piccoli sotterfugi e imbrogli che trovo raccontati molto bene in Miseria e Nobiltà di Mattoli.
Perché proprio quell’opera tra tutti i romanzi di Moravia?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Per il valore politico e critico dopo quasi cent’anni. Per la modernità di un archetipo familiare costruito mirabilmente per resistere al tempo e parlare oggi come allora.
Avevate già letto Gli Indifferenti di Moravia durante l’adolescenza/il periodo scolastico – o uno dei suoi altri romanzi – o è la prima volta che vi siete approcciati al mondo del romanziere romano?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Ho letto Gli Indifferenti al liceo e all’epoca mi ero molto identificato con Michele… per il senso di claustrofobia che la famiglia può generare e per il senso di impossibilità a cambiare un sistema alla Il Castello di Kafka dove ogni azione invece di generare cambiamento si trasforma in inazione e dove appare impossibile auspicarsi un evoluzione vitale.
Vincenzo Crea: io non avevo mai letto Gli Indifferenti prima di essere coinvolto nel progetto del film.
Chi erano – al tempo di Moravia – gli indifferenti e chi sono oggi gli indifferenti? Quali sono le modalità attraverso cui l’indifferenza si manifesta nella nostra quotidianità?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Ai tempi di Moravia erano ricchi stanchi, decaduti che rattrappavano i buchi dai cui uscivano le ultime consapevolezze di un passato non più esistente. Gli indifferenti vedevano l’arrivo dei nuovi ricchi, del fascismo, vivevano con nostalgia la morale e con fierezza i tabù.
Quelli di oggi sono la reincarnazione abbrutita di quelli di cent’anni fa. Assuefatti fino alla nausea da un egocentrismo che ha spazzato via morale. etica, valori; soggiogati a un lassismo sistematico e incurabile. Sono indifferenti ancora più indifferenti. Indifferenti centenari. Ora più che mai inconsapevoli di quel che li circonda perché non esiste altro oltre se stessi.
Vincenzo Crea: La questione degli indifferenti all’epoca è per me molto curiosa perché loro sono molto coinvolti nelle dinamiche familiari, all’interno dei meccanismi del loro piccolo mondo, ma il mondo esterno sembra quasi non coinvolgerli: quindi quel tipo di indifferenza e straniamento è ciò che mi ha colpito di più. Penso che oggi gli indifferenti siano tutte le persone che non fanno lo sforzo di farsi delle domande e di capire che posto occupano nella nostra società. E penso che tutti siamo indifferenti in maniera diversa quando non prestiamo attenzione, quando non guardiamo verso chi sta dietro di noi, senza arrivare ai nostri scopi, correndo in un mondo che va velocemente come il nostro.
Quanta indifferenza regna oggi nei social? E quanta alienazione i social sono in grado di produrre?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Nei social vedo più voyeurismo – narcisismo che indifferenza e userei la parola inanità per descrivere il sentimento di fondo che si nasconde nell’entusiasmo che i social sembrano darci.
I social creano dei mondi. Delle bolle immaginarie che noi osservatori guardiamo con sentimenti misti tra disgusto e ammirazione con il problema – dovuto principalmente all’alienazione inevitabile del mezzo tecnologico utilizzato (penso alla mancanza di contatto fisico per esempio) di non poter discernere la realtà dalla finzione. Tutto diventa reale e falso allo stesso tempo. Tutto è reale se vogliamo che sia così. Tutto diventa irraggiungibile se solo guardiamo da lontano. Questo processo di alienazione ha una ripercussione sulla nostra fragilità e di conseguenza su quella del mondo intero.
Vincenzo Crea: Per me i social sono una questione curiosa: tanta indifferenza perché sono immagini veloci che danno solo una parvenza di quella che è la verità. L’alienazione che possono dare è molto forte perché sono appunto stimoli molto rapidi che arrivano immediatamente. E quindi quando la risposta dal mondo esterno non avviene immediata come la si aspetta lascia un po’ un vuoto.
Che rapporto avete con i social?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Provo ad avere un rapporto basato sul divertimento, sulla condivisione di quello che vedo con gli altri. Questo non vuol dire che non provo sentimenti contrastanti, che non ne sia a volte assuefatto… – ma provo a viverli nel modo più semplice possibile. Fanno parte del mondo di oggi. Li uso. Provo a non abusarne.
Vincenzo Crea: Non lo so ancora, provo a mantenere il più distacco possibile. Provando a non darci troppo peso.
Altro tema fondamentale nel film è quello dello scontro generazionale – tematica non strettamente presente ne Gli Indifferenti di Moravia ma bensì ricorrente in tanti suoi successivi romanzi come La noia. Nel suo volersi soffermare sulla caparbia incapacità di Mariagrazia di comprendere e accettare le aspirazioni da gamer della figlia Carla, c’è l’obiettivo di mettere in scena l’emancipazione giovanile contemporanea?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Moravia ha scritto Gli indifferenti a 16 anni. L’ha scritto dall’interno con delle idee e delle convinzioni del suo tempo, ma trovando una chiave di rottura alla tradizione dei romanzieri italiani precedenti. È stato uno dei primi – se non il primo in Italia – a scrivere un romanzo esistenziale. Da ragazzo ha scritto un romanzo su un giovane – già adulto ma non ancora maturo – che cerca di rompere la claustrofobia della famiglia e del suo tempo, ma non ci riesce. In ogni romanzo successivo, Moravia fa un passo in avanti e uno di fianco. Si sposta in diagonale verso personaggi più maturi e soprattutto personaggi femminili più definiti, forti, centrali.
Così Carla per me e lo sceneggiatore Alessandro Valenti recupera la forza di Cecilia de La noia e Desiderie de La vita interiore per arrivare all’oggi consapevole di un atto (l’abuso di Leo) che oggi, per fortuna, ha dei mezzi per essere interrotto.
È vero che abbiamo voluto creare una maggiore separazione generazionale tra madre e figli nel nostro adattamento. Gli adulti sono responsabili del futuro dei giovani che cercano – emancipazione nel caso di Carla – altre vie per esprimersi, per rendersi indipendenti. Se gli adulti non si sforzano a comprendere i giovani, la società ha vita breve.
Io sogno una società con più responsabilità ai giovani che prendano il posto di adulti incapaci di guardare aldilà del proprio orgoglio.
Ho trovato molto bella e carica di significato la scena in cui Michele danza, teneramente, con la madre finché interviene Leo: il simbiotico rapporto madre-figlio spezzato dall’arrivo di una terza figura maschile. Quanto è rivelatorio questo ballo e che cosa vuole comunicare?
Vincenzo Crea: Il ballo vuole comunicare un po’ quello: questo rapporto madre/ figlio che non sembra incontrarsi mai teneramente, o comunque guidato da sentimenti così dolci come il ballo. È una scena a cui sono legato molto anche io – anche girarlo con Valeria è stato molto importante. È un rapporto simbiotico, in cui la madre lascia entrare questa terza persona all’interno delle loro vite.
In questo momento storico e sociale, in cui la gente è come costretta, bloccata, a stare tra le mura della propria casa, in compagnia della sua amata/odiata famiglia, quale potrebbe essere il senso di questo film?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Usare l’occasione per confrontarsi e dirsi la verità. Anche quella che ferisce. Usare questo momento come un catalizzatore di cambiamento, un generatore di prospettive nuove.
In un’intervista a “Un autore, una città” (1979), Moravia disse che “la crisi del ragazzo de Gli Indifferenti è la crisi di qualsiasi ragazzo anormale dentro un ambiente normale”, intendendo per anormalità il suo essere artista e per ambiente normale la famiglia borghese a cui Moravia è appartenuto e dove è vissuto e che sentiva come un peso. Che cosa intendete voi – al giorno d’oggi – per normale e anormale?
Leonardo Guerra Seràgnoli: Normale è la libertà. Una libertà che abbraccia il mondo intero nelle sue molteplicità culturali, sociali, emotive, espressive e di genere sessuale che sono la nostra vera ricchezza.
Anormale oggi per me è tutto quello che nega questa libertà o non la rispetta.
Vincenzo Crea: Io sento ancora forte la pressione della normalità, di ciò è normale, soprattutto in Italia secondo me si sente tantissimo. Questo bisogno di appartenenza, di chiarire alla società in cui vivi, dove stai, cosa vuoi: entrare in una sorta di catalogo ben definito. Quindi, in quel senso, mi ci rivedo molto in questa sua considerazione. Anormale è tutto ciò che destabilizza questa sensazione di schemi. Noi dobbiamo vedere l’altro è capire subito dove va messo, invece non dovremmo avere così tanta paura di chi è diverso, di chi non conosciamo, di chi insomma ha delle abitudini o degli ingressi diversi dalla maggior parte delle persone.
Qual è il ruolo dell’artista oggi? Mi rivolgo a te che voi che siete regista e attori.
Leonardo Guerra Seràgnoli: L’artista è vita per il mondo delle emozioni delle persone. Le opere d’arte sono un’occasione per trascendere la propria dimensione quotidiana e immergersi in un viaggio inaspettato.
L’artista per me deve continuare a produrre tutto quello che sente importante raccontare – indipendentemente dai risultati immediati o meno – perché nel mondo ci sarà sicuramente qualcuno, da qualche parte, che lo attende.
Vincenzo Crea: Io penso che il ruolo dell’artista sia quello di avere coraggio e di dare voce alle storie che hanno bisogno di essere raccontate.