Il Ministro della cultura Dario Franceschini ribadisce la propria primaria (se non esclusiva) attenzione verso il mondo dello spettacolo. Arte contemporanea ignorata
“Tutti i settori sono stati colpiti dalla crisi, ma lo spettacolo dal vivo molto di più”. E niente: il Ministro della cultura Dario Franceschini è ormai graniticamente convinto che solo il settore dello spettacolo – cinema, teatro, “spettacolo viaggiante” – meriti le sue attenzioni in questa contingenza pandemica. E di conseguenza, abbiamo constatato, meriti quote spropositate di contributi pubblici. L’ultima conferma – e non poteva essere altrimenti – si è avuta ieri: non poteva essere altrimenti, visto che lo scenario era quello della presentazione del nuovo Annuario SIAE dello Spettacolo 2020.
“I numeri del rapporto SIAE sono crudi e ci danno veramente il segno dell’uragano che si è abbattuto sul mondo dello spettacolo”, ha commentato Franceschini. “E questo conferma le ragioni del forte impegno economico con cui il Governo è intervenuto a sostegno del settore sin dai primi giorni della pandemia. Gli aiuti continueranno anche in presenza di riaperture parziali. E stiamo definendo un nuovo intervento normativo per ampliare le tutele dei lavoratori anche rendendo permanenti alcune delle protezioni introdotte in emergenza”.
Ribadiamo quanto ci è capitato già di dire in altre occasioni: siamo assolutamente soddisfatti dell’impegno delle istituzioni a sostegno di una fetta importantissima della scena culturale italiana. Ma riaffermare che il settore dello spettacolo è colpito “molto di più” di altri significa soltanto non avere un’idea chiara della materia che ci si trova a governare. Franceschini si è mai preso la briga di indagare in quali mortali difficoltà versano le galleria d’arte, e tutto un sistema di critici, curatori, uffici stampa, editoria di settore, e gli stessi artisti visivi? Probabilmente no, altrimenti le sue deduzioni non avrebbero questa incauta sicumera.
Quali le cause di questo indiscriminato oblio? Perché proprio di oblio si deve parlare: basta verificare il piano per le ripartizioni dei 6,6 miliardi di euro del recovery fund pre prenderne coscienza. Borghi, periferie, Cinecittà, financo edifici di culto finanziati, nulla di nulla per tutto il mondo dell’arte contemporanea. Anche sulle cause di ciò siamo tornati spesso, ma sarà bene tornare a sottolinearle, magari ne prendiamo coscienza. Da una parte – e su questo poco si può intervenire, semmai recriminare – c’è l’appeal mediatico dei soggetti beneficiati – attori, cantanti, registi -. Che per un politico si trasforma in tornaconto politico. Ma a pesare c’è anche la drammatica incapacità del mondo dell’arte di farsi “sistema”, e quindi massa critica…