Due artisti nati lo stesso giorno, mese ed anno – Jean Fautrier e Tamara de Lempicka – hanno seguito percorsi artistici ora paralleli e ora divergenti.
Jean Fautrier, pittore inizialmente figurativo di area Realista, è poi transitato all’Informale operando con cromie vibranti e pastose. Dopo la morte precoce di suo padre, non si è a conoscenza del motivo per il quale lui e la madre si trasferiscono per qualche anno a Londra.
Determinante è stato il suo coinvolgimento nella Seconda Guerra Mondiale: nel 1944, dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia, Fautrier, a capo di un reparto partigiano, raggiunge Oradur-sur-Glane, nel Limousine, dove la Resistenza è molto attiva e organizzata. Ma ormai il villaggio è un cumulo di macerie dopo una feroce rappresaglia delle truppe tedesche in ritirata. Un massacro di 643 ostaggi; uomini, donne, vecchi e bambini fucilati o arsi vivi delle loro case. Nel cuore e nella mente del pittore il ricordo straziante dei cadaveri di Oradur non si cancellerà più.
Da quel momento – e in seguito a maggior ragione dopo aver visto la documentazione fotografica dei miseri resti umani e delle camere a gas di Auschwitz, in Polonia – decide di azzerare la riconoscibilità della figura umana. La sua rielaborazione espressiva si evidenzia quindi nel ciclo tematico Otages, la cui prima composizione è appunto del 1944. Qui la scrittura informale, la stesura spessa e aggrovigliata e la prevalenza del grigio cenere, sono l’annuncio di della definitiva separazione dal suo passato di artista figurativo. Nel dopoguerra si dedica esclusivamente alla pittura, realizzando eventi espositivi pubblici di primaria importanza e ottenendo importanti successi di critica, di pubblico e di mercato. Muore a Châtenay-Malabry il 21 luglio del 1964.
Tamara de Lempicka nasce e cresce a Varsavia. Il padre, un ricco ebreo russo, muore precocemente, quando Tamara è ancora una ragazzina. Nel 1907 è in Italia, in viaggio con la nonna Clementina. Da quel momento, sedotta dalle nostre bellezze artistiche, intraprende la strada della pittura. La sua formazione si compie fra la Polonia e la Svizzera. Donna di grande fascino, si sposa due volte; dal primo marito, il facoltoso avvocato russo Tadeusz Łempicki, assume il cognome ma non il patrimonio, dato che nel 1918 deve seguirlo in Francia a causa della Rivoluzione.
A Parigi deve mantenersi disegnando cappelli, e nel contempo segue i corsi di pittura dei Maestri Maurice Denis e André Lhote. Diventa quindi un’apprezzatissima ritrattista alla moda, seguendo i canoni estetici dell’Art Déco e dipingendo esclusivamente soggetti femminili. Ha grande talento esecutivo nelle sfumature tonali, funzionali alla figura definita in chiave classica, ma supportata dalla lezione Cubista nel taglio dei piani. Di grande bellezza e bisessuale dichiarata, conduce un’intensa vita mondana e nel 1918 divorzia da Lempicki; sarà anche ospite di Gabriele D’Annunzio al Vittoriale, del quale, per altro, respinge le attenzioni.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale raggiunge gli Stati Uniti col secondo marito, un ricco e anziano aristocratico polacco, per sfuggire al nazismo e alle persecuzioni antiebraiche. Negli anni Sessanta abbandona la figurazione per dedicarsi, chissà perché, alla ricerca Informale. Ma non avrà alcun successo e quindi abbandonerà definitivamente la pittura. La induce a rinunciare per sempre alla tavolozza e alle esposizioni. Alla fine degli anni Settanta, vedova e anziana, la ritroviamo in Messico, a Cuernaveca, dove si spegne nel sonno il 18 marzo del 1980. Secondo le sue ultime volontà, il suo corpo è cremato e le ceneri disperse nel vulcano Popocatepetl.
Curiosa coincidenza: due artisti nati lo stesso giorno, mese ed anno; entrambi orfani del padre in giovane età; hanno lasciato il paese natale; da giovani hanno viaggiato all’estero accompagnati da una parente stretta, madre o nonna; le nazioni dove sono approdati sono state funzionali ai primi stimoli artistici; artisti internazionali e di successo; hanno avuto a che fare con il il nazismo, nemico comune; approdati alla sperimentazione Informale, sia pure con motivazioni e in tempi diversi. Con opposta simmetria, uomo e donna, linguaggi espressivi agli opposti, percorsi esistenziali del tutto divergenti.
Ma non basta: c’è un’altra connessione – terribilmente cupa – su cui riflettere. È la dominante della cenere del corpo umano, che ha occupato le anime di Jean Fautrier e di Tamara de Lempicka. I forni crematori e il vulcano. Se fondiamo idealmente le tele grigie, brumose e grumose di Oradur in un’unica composizione, ci appaiono le cineree pareti di un cratere infernale, l’ultimo residuo di tanti morti senza tomba.