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“La bellezza è lo strumento più affilato”. Il MAST di Bologna presenta ‘Displaced’ di Richard Mosse

© Richard Mosse Lost Fun Zone, eastern Democratic Republic of Congo, 2012 * Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid Il campo profughi di Kanyaruchinya, nel Kivu Nord, ha ospitato almeno 60.000 persone migrate verso sud dal territorio di Rutshuru per sfuggire ai ribelli dell’M23. Questa fotografia è stata scattata alla fine di ottobre 2012. Solo poche settimane dopo, la popolazione di Kanyaruchinya sarebbe stata costretta a fuggire di nuovo, abbandonando il campo in fretta e furia.
© Richard Mosse, Lost Fun Zone, Eastern Democratic Republic of Congo, 2012 (Infrarossi)
Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
Il campo profughi di Kanyaruchinya, nel Kivu Nord, ha ospitato almeno 60.000 persone migrate verso sud dal territorio di Rutshuru per sfuggire ai ribelli dell’M23. Questa fotografia è stata scattata alla fine di ottobre 2012. Solo poche settimane dopo, la popolazione di Kanyaruchinya sarebbe stata costretta a fuggire di nuovo, abbandonando il campo in fretta e furia.
Beauty is one of the mainlines to make people feel something. It’s the sharpest tool in the box. If you’re trying to make people feel something, if you’re able to make it beautiful, then they’ll sit up and listen.” (Richard Mosse, dalla sua intervista al Frieze Magazine)
La Fondazione MAST di Bologna presenta Displaced, la prima mostra antologica del fotografo irlandese Richard Mosse, grande artista in grado di sovvertire le convenzioni, vedere oltre l’ordinario e osservare l’invisibile. Curata dal preparato Urs Stahel, la mostra – aperta fino al 19 settembre presenta un’ampia selezione dell’opera di Mosse: un’esplorazione tra la fotografia documentaria e l’arte contemporanea con focus su Migrazioni, Conflitti e Cambiamento Climatico.

In mostra sono esposte ben 77 fotografie di grande formato inclusi i lavori più recenti della serie Tristes Tropiques (2020), realizzati nell’Amazzonia brasiliana. Oltre a queste straordinarie immagini, l’esposizione propone anche due monumentali videoinstallazioni immersiveThe Enclave (2013) e Incoming (2017), un grande videowall a 16 canali Grid (Moria) e il video Quick.

© Richard Mosse, Come Out (1966) XXXI (Triple Beam Dreams), Eastern Democratic Republic of Congo, 2012(Infrarossi), Private collection Dislocamento e precarietà fanno parte della vita di moltissimi civili nel Congo orientale. Le persone costruiscono qui strutture provvisorie, quasi volessero essere pronte ad abbandonare la loro casa in futuro. Gli assi che delimitano i territori sotto il controllo dei vari gruppi armati e dell’esercito nazionale congolese mutano spesso, disgregando le comunità e costringendo le famiglie a trasferirsi, spesso in tutta fretta. Queste casupole modeste ma ingegnose rappresentano un gesto di creatività vernacolare, quasi di sfida a condizioni di vita difficili e instabili. Il titolo Come Out (1966) è tratto da una composizione musicale di Steve Reich.
© Richard Mosse, Come Out (1966) XXXI (Triple Beam Dreams), Eastern Democratic Republic of Congo, 2012 (Infrarossi), Private collection Dislocamento e precarietà fanno parte della vita di moltissimi civili nel Congo orientale. Le persone costruiscono qui strutture provvisorie, quasi volessero essere pronte ad abbandonare la loro casa in futuro. Gli assi che delimitano i territori sotto il controllo dei vari gruppi armati e dell’esercito nazionale congolese mutano spesso, disgregando le comunità e costringendo le famiglie a trasferirsi, spesso in tutta fretta. Queste casupole modeste ma ingegnose rappresentano un gesto di creatività vernacolare, quasi di sfida a condizioni di vita difficili e instabili. Il titolo Come Out (1966) è tratto da una composizione musicale di Steve Reich.

Richard Mosse crede fermamente nella potenza intrinseca dell’immagine, ma di regola rinuncia a scattare le classiche immagini iconiche legate a un evento. Preferisce piuttosto rendere conto delle circostanze, del contesto, mettere ciò che precede e ciò che segue al centro della sua riflessione. Le sue fotografie non mostrano il conflitto, la battaglia, l’attraversamento del confine, in altri termini il momento culminante, ma il mondo che segue la nascita e la catastrofe. L’artista vuole sovvertire le convenzionali narrazioni mediatiche attraverso nuove tecnologie, spesso di derivazione militare, proprio per scardinare i criteri rappresentativi della fotografia di guerra.” (Urs Stahel)

© Richard Mosse Come Out (1966) V, eastern Democratic Republic of Congo, 2011 * Private collection SVPL
© Richard Mosse, Come Out (1966) V, Eastern Democratic Republic of Congo, 2011 (Infrarossi) Private collection SVPL
La mostra si sviluppa su tre spazi della Fondazione MAST: Gallery, Foyer e Livello 0.
Gallery

La Gallery ospita alcuni dei primi lavori scattati in luoghi segnati da conflitti – Medio Oriente, Europa Orientale, confine tra Messico e Stati Uniti, e Infra, la serie che ha reso celebre l’artista, con immagini prodotte durante le brutali guerre nella Repubblica Democratica del Congo attraverso l’uso di Kodak Aerochrome, pellicola a infrarossi fuori produzione, ma usata per la ricognizione militare.

 

© Richard Mosse Vintage Violence, eastern Democratic Republic of Congo, 2011 * Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York Giovani ribelli dell’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) in posa tra la vegetazione a Lukweti, territorio di Masisi, Kivu Nord. L’APCLS è un gruppo armato costituito da uomini della tribù Hunde che si sono ribellati a Joseph Kabila e al governo nazionale, ritenendolo vicino ai tutsi del Ruanda. Questa milizia è in guerra con l’esercito nazionale (FARDC) e la missione ONU in Congo (MONUSCO).
© Richard Mosse, Vintage Violence, Eastern Democratic Republic of Congo, 2011 (Infrarossi) Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York
Giovani ribelli dell’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) in posa tra la vegetazione a Lukweti, territorio di Masisi, Kivu Nord. L’APCLS è un gruppo armato costituito da uomini della tribù Hunde che si sono ribellati a Joseph Kabila e al governo nazionale, ritenendolo vicino ai tutsi del Ruanda. Questa milizia è in guerra con l’esercito nazionale (FARDC) e la missione ONU in Congo (MONUSCO).

Fin dal principio della sua ricerca, l’artista lavora sul tema della visibilità, sul modo in cui siamo abituati a vedere, pensare e intendere la realtà. Le situazioni critiche e i luoghi di conflitto sono fotografati e filmati con l’utilizzo di tecnologie di derivazione militare, che stravolgono totalmente la rappresentazione fotografica, creando immagini che colpiscono per estetica, ma che al contempo suscitano una riflessione etica. Attraverso la bellezza, che l’artista definisce “lo strumento più affilato per far provare qualcosa alle persone”, mira all’essenza. Dai primi lavori scattati in Bosnia, Kosovo, nella Striscia di Gaza, lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti caratterizzati dall’assenza quasi totale di figure umane, che documentano le zone di guerra dopo gli eventi, si passa alla serie Infra ambientata in Congo utilizzando Kodak Aerochrome, una pellicola da ricognizione militare sensibile ai raggi infrarossi, messa a punto per identificare i bersagli mimetizzati.

“La gente è cosi offesa dal colore rosa… è solo un colore. Onestamente quanto è più costruita una fotografia rosa rispetto a una fotografia in bianco e nero? Robert Capa usava il bianco e nero, ma noi non vediamo in bianco e nero. Eppure ci sembra più vicino alla verità. In sostanza, si tratta di utilizzare veramente le potenzialità dell’arte contemporanea, la capacità di rendere visibile ciò che è oltre il limite del linguaggio e di portarlo al limite etico e del documentario.” (Richard Mosse)

©Richard Mosse, Platon, Eastern Democratic Republic of Congo, 2012(Infrarossi) Collection Jack Shainman Fattoria vicino a Bihambwe, territorio di Masisi, Kivu Nord. Questi pascoli meravigliosi sono oggetto di uno scontro senza quartiere nell’ambito di un conflitto territoriale che non accenna a cessare. Già appartenenti a tribù congolesi indigene che vivono di agricoltura e caccia, queste terre sono state espropriate da milizie costituite da esponenti di tribù pastorizie come i tutsi provenienti dal vicino Ruanda, che hanno abbattuto le foreste primordiali per ricavare pascoli per le loro greggi. Le popolazioni locali sono state private delle loro proprietà con l’intimidazione e la violazione dei diritti umani. La valle è stata teatro di recenti scontri che hanno coinvolto gruppi armati quali M23, Nyatura, APCLS, Raiya Mutomboki, saccheggi ed estorsioni da parte dell’esercito nazionale congolese (FARDC).
©Richard Mosse, Platon, Eastern Democratic Republic of Congo, 2012 (Infrarossi) Collection Jack Shainman Fattoria vicino a Bihambwe, territorio di Masisi, Kivu Nord. Questi pascoli meravigliosi sono oggetto di uno scontro senza quartiere nell’ambito di un conflitto territoriale che non accenna a cessare. Già appartenenti a tribù congolesi indigene che vivono di agricoltura e caccia, queste terre sono state espropriate da milizie costituite da esponenti di tribù pastorizie come i tutsi provenienti dal vicino Ruanda, che hanno abbattuto le foreste primordiali per ricavare pascoli per le loro greggi. Le popolazioni locali sono state private delle loro proprietà con l’intimidazione e la violazione dei diritti umani. La valle è stata teatro di recenti scontri che hanno coinvolto gruppi armati quali M23, Nyatura, APCLS, Raiya Mutomboki, saccheggi ed estorsioni da parte dell’esercito nazionale congolese (FARDC).

La pellicola registra la clorofilla presente nella vegetazione – rendendo visibile l’invisibile – con il risultato che la lussureggiante foresta pluviale congolese viene trasfigurata in uno splendido paesaggio surreale dai toni del rosa e del rosso. Il materiale scelto da Mosse registra dunque uno spettro invisibile di luce infrarossa trasformando i toni naturali del verde e marrone tipici delle zone di guerra nei colori psichedelici del rosa, rosso, fucsia e cremisi. Oltre a provocare reazioni emotive e ansia negli spettatori, i fotogrammi di Mosse deludono intenzionalmente le normali aspettative legate ai film documentari e alle fotografie. Sono infatti scatti di paesaggi maestosi, scene con ribelli, civili e militari, capanne in cui la popolazione in fuga trova momentaneo riparo da un perenne conflitto combattuto con machete e fucili: tutti ritratti con crudo ed estremo realismo. Dal 1998 questi scontri hanno provocato la morte di oltre 5,4 milioni di persone. Mosse ha spiegato di aver cercato un nuovo modo di rappresentare la violenza per interessare il lettore a una guerra ignorata e facilmente dimenticata. Il suo lavoro reinterpreta la fotografia di guerra ed è il risultato della combinazione tra arte ed documentario. Il suo intento è di sfruttare “le potenzialità dell’arte nel rappresentare storie così dolorose e difficili da esprimere con il solo linguaggio, e la capacità della fotografia di documentare le tragedie e di raccontarle al mondo”.

Mosse dunque utilizza la bellezza per descrivere le brutture della vita e far provare qualcosa di autentico alle persone, non semplice fotografia patinata. La dicotomia tra le diverse variazioni di rosa sullo sfondo e la straziante realtà della guerra civile crea una strabiliante e inusuale convivenza tra etica ed estetica, rendendo visibile l’invisibile. Niente Photoshop finalizzato ai big likes: solo nuda e cruda realtà condita da inusuali colori paesaggistici. Ed è proprio questa prerogativa a renderlo così originale.

© Richard Mosse, Of Lilies and Remains, Eastern Democratic Republic of Congo, 2012(Infrarossi) DZ Bank Art Collection Teschio di una vittima del massacro perpetrato dalle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) a Busurungi nel 2009. Il teschio è stato portato in segreto a Chambucha su richiesta dei parenti superstiti, in modo tale che potesse essere documentato senza che le FDLR mettessero in atto rappresaglie contro gli abitanti di Busurungi. Il fotografo lo ha collocato nell’erba bagnata vicino a un fiume e lo ha decorato con alcuni fiori, quasi fosse un memento mori.
© Richard Mosse, Of Lilies and Remains, Eastern Democratic Republic of Congo, 2012 (Infrarossi) DZ Bank Art Collection Teschio di una vittima del massacro perpetrato dalle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) a Busurungi nel 2009. Il teschio è stato portato in segreto a Chambucha su richiesta dei parenti superstiti, in modo tale che potesse essere documentato senza che le FDLR mettessero in atto rappresaglie contro gli abitanti di Busurungi. Il fotografo lo ha collocato nell’erba bagnata vicino a un fiume e lo ha decorato con alcuni fiori, quasi fosse un memento mori.

Nella città di Nyabiando, nella provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo, c’era un posto chiamato la roccia magica. La roccia magica non aveva niente di particolare, non era preziosa né eccezionalmente grande, solo poche persone alla volta potevano salirvi sopra. Se ci passi accanto oggi non ti accorgi nemmeno della sua presenza. Ma per molti anni la gente di Nyabiando ha affermato che questa roccia avesse poteri speciali perché era l’unico posto in un raggio di molti chilometri dove, se puntavi il tuo telefono cellulare verso il cielo e aspettavi pazientemente, potevi ricevere il segnale. […] La guerra erode la fiducia, e così la comunità si restringe e se ne intacca l’identità. Nasci cittadino del Congo, uno dei più grandi paesi dell’Africa, parte della comunità delle nazioni, ricchissimo di risorse naturali e umane: duecentocinquanta lingue e altrettanti fiumi; innumerevoli tradizioni musicali quanti sono i minerali nel terreno. Poi scoppia la guerra e diventi un congolese dell’est. Ma i combattimenti si avvicinano e vieni ridotto al tuo gruppo linguistico, poi al gruppo tribale, poi al villaggio. Presto ti sembra di poterti fidare soltanto della tua famiglia. Oggi nel Congo orientale si contano più di cento gruppi armati, molto piccoli, che pretendono di rappresentare e proteggere qualunque gruppo di persone si senta abbandonato. Le loro sfide non sono completamente ignorate dal mondo esterno – storie e fotografie ogni tanto appaiono ancora sui media – ma la comunità internazionale è arrivata ad accettare la violenza endemica nel Congo orientale come uno stato di normalità. Si calcola che alla fine del 2020, 4,2 milioni di persone nell’est e nel nord-est del Congo siano sfollate dalle loro case, più che in qualsiasi altro momento della storia del conflitto. Ciononostante, l’ONU ha cominciato a ridurre la missione di peacekeeping, sollecitato in questo dal governo congolese ansioso di allontanare gli sguardi stranieri dall’operato del suo esercito, che sistematicamente abusa dei diritti umani. Ma la gente del Congo orientale continua a resistere. Convive con la violenza, lavora e si innamora, fa musica e cresce i bambini. Il servizio di telefonia mobile è ora più affidabile in tutta la regione, così la roccia vicina al campo di calcio a Nyabiando ha perso un po’ della sua magia. Ma gli elicotteri continuano ad atterrare e i ribelli, i soldati, non cessano di imperversare sulle colline non lontano dalla città. Le notizie di attacchi e atrocità si diffondono rapidamente attraverso i social media. E anche le notizie della vita normale. Persone che tendono le braccia al cielo, sperando in una connessione con il mondo e sperando che il mondo non si disconnetta da loro.” (Michael J. Kavanagh, inviato di guerra nel Congo Orientale)

© Richard Mosse, Hombo, Walikale, Eastern Democratic Republic of Congo, 2012(Infrarossi) Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York. La città di Hombo, a sud del territorio di Walikale, sul confine tra Kivu Nord e Kivu Sud, fotografata da una postazione sopraelevata controllata dall’esercito congolese (FARDC). Hombo si trova su un asse lungo il quale hanno avuto luogo sanguinosi combattimenti e massacri perpetrati dalle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), i Raiya Mutomboki e altri gruppi armati. Shalio, roccaforte nonché campo di addestramento delle FDLR, si trova nelle vicinanze di Hombo, nella giungla impervia e isolata di Walikale. Recenti cambiamenti nelle alleanze tra i gruppi armati e l’equilibrio generale dei poteri nella zona hanno reso questa parte di Walikale particolarmente instabile.
© Richard Mosse, Hombo, Walikale, Eastern Democratic Republic of Congo, 2012 (Infrarossi) Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York. La città di Hombo, a sud del territorio di Walikale, sul confine tra Kivu Nord e Kivu Sud, fotografata da una postazione sopraelevata controllata dall’esercito congolese (FARDC). Hombo si trova su un asse lungo il quale hanno avuto luogo sanguinosi combattimenti e massacri perpetrati dalle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), i Raiya Mutomboki e altri gruppi armati. Shalio, roccaforte nonché campo di addestramento delle FDLR, si trova nelle vicinanze di Hombo, nella giungla impervia e isolata di Walikale. Recenti cambiamenti nelle alleanze tra i gruppi armati e l’equilibrio generale dei poteri nella zona hanno reso questa parte di Walikale particolarmente instabile.
Foyer

Nel Foyer è in mostra la serie Heat Maps e le più recenti Ultra e Tristes Tropiques. In aggiunta, i 16 schermi del video Grid(Moria).

© Richard Mosse Tel Sarhoun Camp, Bekaa Valley, Lebanon 2017 ** Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
© Richard Mosse
Tel Sarhoun Camp, Bekaa Valley, Lebanon 2017(Heat Maps) Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
© Richard Mosse Souda Camp, Chios Island, Greece, 2017 ** MOCAK Collection, Krakow Situato ai piedi dei bastioni di una Fortezza medievale, Souda ospita 950 persone secondo le stime ufficiali, una cifra che corrisponde al doppio della capienza, con i nuovi arrivati costretti a montare le tende sulla spiaggia adiacente. I residenti lamentano infestazioni di ratti, epidemie di scabbia, scarsità di alloggi e intossicazioni alimentari. Il 30% dei richiedenti asilo di Souda hanno trascorso nel campo più di sei mesi. Gli abitanti dell’isola di Chios, furiosi per il fatto che la loro terra e la sua florida industria turistica siano in prima linea nella crisi europea dei migranti, organizzano frequenti proteste. Il partito neofascista Alba Dorata raccoglie nell’isola numerosi consensi e i suoi membri hanno attaccato il campo in varie occasioni, lanciando dalle mura del castello massi e bombe molotov sui migranti indifesi parecchi metri più in basso e ferendo molte persone. I rifugiati sono spesso aggrediti e incarcerati illegalmente da poliziotti che simpatizzano con gli ideali di Alba Dorata. Sono stati riportati casi di violenza sessuale ai danni di giovani donne ad opera di cittadini di Chios, documentati da video girati con il cellulare e diffusi a scopo di intimidazione. Secondo Human Rights Watch, i casi di attacchi d’ansia, autolesionismo e suicidio tra i profughi di Chios sono molto numerosi.
© Richard Mosse
Souda Camp, Chios Island, Greece, 2017 (Heat Maps) MOCAK Collection, Krakow
Situato ai piedi dei bastioni di una Fortezza medievale, Souda ospita 950 persone secondo le stime ufficiali, una cifra che corrisponde al doppio della capienza, con i nuovi arrivati costretti a montare le tende sulla spiaggia adiacente. I residenti lamentano infestazioni di ratti, epidemie di scabbia, scarsità di alloggi e intossicazioni alimentari. Il 30% dei richiedenti asilo di Souda hanno trascorso nel campo più di sei mesi. Gli abitanti dell’isola di Chios, furiosi per il fatto che la loro terra e la sua florida industria turistica siano in prima linea nella crisi europea dei migranti, organizzano frequenti proteste. Il partito neofascista Alba Dorata raccoglie nell’isola numerosi consensi e i suoi membri hanno attaccato il campo in varie occasioni, lanciando dalle mura del castello massi e bombe molotov sui migranti indifesi parecchi metri più in basso e ferendo molte persone. I rifugiati sono spesso aggrediti e incarcerati illegalmente da poliziotti che simpatizzano con gli ideali di Alba Dorata. Sono stati riportati casi di violenza sessuale ai danni di giovani donne ad opera di cittadini di Chios, documentati da video girati con il cellulare e diffusi a scopo di intimidazione. Secondo Human Rights Watch, i casi di attacchi d’ansia, autolesionismo e suicidio tra i profughi di Chios sono molto numerosi.

Heat Maps presenta le immagini realizzate lungo le rotte migratorie da Medio Oriente e Africa verso l’Europa con una termocamera per usi militari. Qui Mosse si è concentrato sulla migrazione di massa e sulle tensioni causate dalla dicotomia tra apertura e chiusura dei confini, tra compassione/rifiuto e cultura dell’accoglienza. Sono immagini straordinarie dei campi profughi Skaramagas in Grecia, Tel Sarhoun e Arsal in Libano, Nizip in Turchia, Tempelhof a Berlino e molti altri: qui Mosse impiega una termocamera in grado di registrare le differenze di calore nell’intervallo degli infrarossi. Si tratta di una tecnica militare che consente di visualizzare esseri umani fino a una distanza di trenta chilometri, di giorno come di notte. Le immagini sono apparentemente nitide, precise e ricche di contrasto. A un esame più attento non si riescono a distinguere i dettagli, ma solo astrazioni: persone e oggetti sono riconoscibili solo come tipologie, nei loro movimenti o nei contorni, ma non nella loro individualità e unicità, dando così un imprinting ancora più universale alle problematiche esposte.

© Richard Mosse Yayladağı refugee camp, Hatay Province, Turkey, 2017 ** Private collection SVPL La cittadina di Yayladağı si trova sul confine siriano, nell’estremità meridionale della provincia turca di Hatay. La località, che rappresenta uno degli unici due punti di passaggio tra Hatay e la Siria, è strettamente sorvegliata dalla Gendarmeria e dall’intelligence turche. In questo punto centrale e strategico sorgono campi profughi che ospitano migranti di etnia turkmena e arabi siriani in fuga da conflitti e intimidazioni nel vicino distretto di Laodicea. I rifugiati turkmeni condividono con la popolazione locale religione e lingua, pertanto si sono assimilati più facilmente nella società turca rispetto agli arabi siriani. A Yayladağı esistono due campi, uno dà alloggio a circa 2400 rifugiati, l’altro, un campo di transito, si stima ospiti 1500 persone.
© Richard Mosse
Yayladağı refugee camp, Hatay Province, Turkey, 2017 (Heat Maps) Private collection SVPL La cittadina di Yayladağı si trova sul confine siriano, nell’estremità meridionale della provincia turca di Hatay. La località, che rappresenta uno degli unici due punti di passaggio tra Hatay e la Siria, è strettamente sorvegliata dalla Gendarmeria e dall’intelligence turche. In questo punto centrale e strategico sorgono campi profughi che ospitano migranti di etnia turkmena e arabi siriani in fuga da conflitti e intimidazioni nel vicino distretto di Laodicea. I rifugiati turkmeni condividono con la popolazione locale religione e lingua, pertanto si sono assimilati più facilmente nella società turca rispetto agli arabi siriani. A Yayladağı esistono due campi, uno dà alloggio a circa 2400 rifugiati, l’altro, un campo di transito, si stima ospiti 1500 persone.

Inusuale il videowall dell’installazione Grid (Moria), che rivela i  particolari della vita nel campo profughi sull’isola greca di Lesbo, noto per le sue pessime condizioni. Le riprese sono state effettuate con termografia a infrarosso e l’opera è costituita da 16 schermi che propongono lo stesso spezzone a diversi intervalli.

Ultra offre invece con i suoi scatti una prospettiva inaspettata sulla bellezza della natura della foresta amazzonica. Tra il 2018 e il 2019 Mosse comincia a esplorare la foresta pluviale sudamericana dove per la prima volta concentra l’obiettivo sul macro e sul micro, spostando l’interesse di ricerca dai conflitti umani alle immagini della natura. In Ultra – tramite la tecnica della fluorescenza UV – Mosse scandaglia il sottobosco, i licheni, i muschi, le orchidee, le piante carnivore e, alterando lo spettro cromatico, trasforma questi primi piani in uno spettacolo pirotecnico di colori fluorescenti e scintillanti. La biodiversità viene descritta minuziosamente tra proliferazione e parassitismo, tra voracità e convivenza, per mostrarci la ricchezza che rischiamo di perdere a causa dei cambiamenti climatici e per mano dell’uomo.

© Richard Mosse Dionaea muscipula with Mantodea, Ecuadorean cloud forest, 2019 *** Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
© Richard Mosse
Dionaea muscipula with Mantodea, Ecuadorean cloud forest, 2019 (Serie Ultra) Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid

La foresta pluviale è un terreno di caccia popolato di prede e cacciatori; il mondo naturale è dominato dal ciclo perpetuo che presuppone di uccidere per non essere ucciso. ‘Ultra’ analizza le strategie di sopravvivenza che le piante e gli insetti hanno sviluppato nel corso di milioni di anni, tra cui la mimetizzazione. I fiori di orchidea, al contrario, si sono evoluti per adattarsi alla perfezione alla forma del corpo delle api delle orchidee, un esempio che illustra nel migliore dei modi le interdipendenze dell’ecosistema.”(Galleria Carlier Gebauer)

Tristes Tropiques – la serie più recente di Mosse – racconta il diverso lato della medaglia, ovvero l’impatto della deforestazione nell’area brasiliana tramite immagini scattate da droni su una pellicola multispettrale, una sofisticata tecnologia fotografica satellitare, documentando la distruzione dell’ecosistema. Mosse ha scattato queste fotografie di denuncia lungo il Pantanal, il fronte di deforestazione di massa nell’Amazzonia brasiliana. Ogni mappa mostra i delitti ambientali perpetrati su vasta scala, diventando per il fotografo un archivio che li documenta.

© Richard Mosse Mineral Ship, Crepori River, State of Para, Brazil, 2020 **** Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
© Richard Mosse
Mineral Ship, Crepori River, State of Para, Brazil, 2020 (Tristes Tropiques) Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
© Richard Mosse Sawmill, Jaci Paraná, State of Rondônia, Brazil, 2020 **** Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
© Richard Mosse
Sawmill, Jaci Paraná, State of Rondônia, Brazil, 2020(Tristes Tropiques) Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
Livello 0

Al Livello 0 trovano spazio la videoinstallazione The Enclave (40′), girata con pellicola Infrared Aerochrome e la videoproiezione Incoming (52′) ripresa con termocamera militare – entrambe frutto della collaborazione fra l’artista, il direttore della fotografia Trevor Tweeten e il compositore Ben Frost – e il video Quick (13′), approfondimento sul percorso artistico di Mosse.

Con la superba opera in sei parti The Enclave progetto gemello di Infra (presente nella Gallery) realizzata per il Padiglione Irlandese della Biennale di Venezia del 2013, Mosse svela il contrasto tra la magnifica natura della foresta della Repubblica Democratica del Congo e la violenza dei soldati dell’esercito e dei ribelli.

Il conflitto in Congo è come un palinsesto di guerre diverse, tribali, territoriali, nazionali e internazionali, che si susseguono e si sovrappongono secondo dinamiche oscure e insolite. [Con The Enclave] ho provato a mettere insieme due cose diversissime – la pellicola a infrarossi usata per la sorveglianza militare e la sofferenza del Congo – per creare una sorta di cortocircuito. Per me aveva un senso metaforico. Questa guerra è una tragedia nascosta, e in questo senso è invisibile. Rendere questo conflitto visibile agli occhi della gente comune è l’anima del progetto.” (Richard Mosse, riguardo alla sua esposizione più discussa, ‘The Enclave’)

Il sopracitato Quick del 2010 completa infine la mostra: è un filmato girato da Mosse che ricostruisce la genesi della sua ricerca e della sua pratica artistica attraverso i temi a lui cari come la circolazione del virus Ebola, la quarantena e l’isolamento, i conflitti e le migrazioni, muovendosi tra la Malesia e il Congo orientale.

 

Pool at Uday’s Palace, Salah-a-Din Province, Iraq, 2009 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York Truppe della Compagnia Alfa, Secondo Battaglione, 27° Fanteria “Wolfhounds” a riposo vicino alla piscina del palazzo di Uday Hussein, sulle montagne Jabal Makhoul, nella provincia di Salah-a-Din, Iraq centrale. Questa residenza estiva affacciata sulla valle del fiume Tigri è stata distrutta da bombe anti bunker JDAM americane all’inizio dell’invasione alleata dell’Iraq nel 2003, poiché si pensava che Saddam e il figlio potessero nascondersi in questa località remota. Noto per la sua crudeltà, Uday Hussein era il primogenito di Saddam.
© Richard Mosse, Pool at Uday’s Palace, Salah-a-Din Province, Iraq, 2009 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York. Truppe della Compagnia Alfa, Secondo Battaglione, 27° Fanteria “Wolfhounds” a riposo vicino alla piscina del palazzo di Uday Hussein, sulle montagne Jabal Makhoul, nella provincia di Salah-a-Din, Iraq centrale. Questa residenza estiva affacciata sulla valle del fiume Tigri è stata distrutta da bombe anti bunker JDAM americane all’inizio dell’invasione alleata dell’Iraq nel 2003, poiché si pensava che Saddam e il figlio potessero nascondersi in questa località remota. Noto per la sua crudeltà, Uday Hussein era il primogenito di Saddam.

 

© Richard Mosse Kosovo / Kosova II, Podujevo, Republic of Kosovo, 2004 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York Veduta interna ed esterna delle rovine della chiesa serbo-ortodossa di Sant’Elia, vicino a Podujevo, costruita nel 1929. Durante i violenti disordini civili del 2004 gli albanesi del Kosovo hanno dato alle fiamme, vandalizzato e raso al suolo molte chiese e monasteri serbo-ortodossi, operando una forma di pulizia etnica e di revisionismo storico ai danni dell’architettura.
© Richard Mosse
Kosovo / Kosova II, Podujevo, Republic of Kosovo, 2004 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York
Veduta interna ed esterna delle rovine della chiesa serbo-ortodossa di Sant’Elia, vicino a Podujevo, costruita nel 1929. Durante i violenti disordini civili del 2004 gli albanesi del Kosovo hanno dato alle fiamme, vandalizzato e raso al suolo molte chiese e monasteri serbo-ortodossi, operando una forma di pulizia etnica e di revisionismo storico ai danni dell’architettura.

 

[…] And often if you make something that’s derived from human suffering or war, if you represent that with beauty (and sometimes it is beautiful) that creates an ethical problem in the viewer’s mind. Then they can be confused and angry and disoriented, and this is great, because you’ve got them to actually think about the act of perception, and how this imagery is produced and consumed.” (Richard Mosse, dalla sua intervista al Frieze Magazine)

Richard Mosse, ‘Displaced’

Fino al 19 settembre 2021

Ingresso gratuito su prenotazione

Da martedì a domenica, ore 10-20

Fondazione MAST informa i gentili visitatori che desiderano vedere le videoinstallazioni nella loro interezza (The EnclaveIncomingQuick al Livello 0), che sono previste giornate con slot dedicati:
— 18, 20 maggio – slot delle ore 12.00
— 3, 10, 17, 24 giugno – slot delle ore 17.00

Il catalogo che accompagna la mostra propone tutte le immagini esposte oltre a un saggio critico del curatore della mostra Urs Stahel e testimonianze di Michel J. Kavanagh, Christian Viveros-Fauné e Ivo Quaranta. Il volume, edito dalla Fondazione MAST, è distribuito da Corraini ed è disponibile in libreria e online su www.mast.org e www.corraini.com.

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