Si percepisce uno stato di smarrimento di fondo sul futuro. Su quello più prossimo, che è figlio dell’incertezza dell’umanità, ma anche su proiezioni più lontane, orientate verso speculazioni bio-tecnologiche che disegnano un territorio futuristico. Un panorama che si fluidifica ma che proprio in questo contenitore afferma valori universali, trova corpi solidi e identità possibili, recupera memorie potenziate e spazi sostenibili in cui vivere. Uno scenario proiettato sulla piattaforma online di Maratona di Visione, dal 26 marzo al 29 luglio 2021. Una rassegna nata tre anni fa e realizzata sotto la direzione artistica di Alberto Ceresoli, che per questa edizione vede la collaborazione di un nutrito e variegato gruppo di co-curatori che hanno selezionato i cinquanta artisti ospitati.
Ambienti immersivi plasmano iperluoghi1 liquidi in cui la smaterializzazione umana assume forme diverse, i corpi diventano inchiostro e rinascono in un fiore in Spirit Corp di Sian Fan; in Royal Fate is Fluid, di Léa Porré, la testa di Re Luigi XVI – decapitato nel 1793 – diventa una nuova icona visibile su grandi schermi, tra i palmeti delle Bahamas, dopo aver viaggiato partendo dalle rive della Senna tinte di rosso. Gli ambienti domestici si digitalizzano, con arredi di matrice modernista e accolgono un modellino di un’abitazione in Solaria di Alessandro Moroni, e nei giochi familiari di Elizabeth Charnock (Ping Pong & Rocks). Se in entrambi si percepisce una condizione di smarrimento enfatizzata dall’assenza umana, la sensazione si amplifica di fronte alle manipolazioni occultate e alle strategie di persuasione. Ampiamente sfruttate non solo dai più tradizionali media pubblicitari – veicolati dalla pubblicità esposta o dai mainstream come in Can’t help falling in love di Cecilia Del Gatto, dove la pubblicità è letteralmente consumata prelevandola da un frigorifero – ma soprattutto dalle distorsioni possibili attraverso processi di datificazione, algoritmi predittivi o propaganda computazionale. Se in Rapimento di Giovanni Sambo la macchina si umanizza attraverso i visi che scorrono sullo schermo, in Pawns of Furthest East il cyberspazio di Matteo Messina si presta alle sperimentazioni ibride uomo-macchina. L’inganno della tecnologia e delle applicazioni usate – sottrattori di dati e di tempo – è evidenziato da alcuni artisti che mettono in guardia dai rischi dell’affabulazione tecnologica, le cui conseguenze sono gli individui-prodotto, risultato di quelle distorsioni. Ritroviamo tutto ciò in Labor of Sleep, Have you been able to change your habits?? di Elisa Giardina Papa, nel business di immobili di lusso attraverso un app di dating, desueta e non infallibile, in Align Properties di Alice Bucknell e nel percorso di oltre undici minuti offerto da 4K Zen di Stine Deja in cui, per sfuggire dallo stress provocato dall’ingordigia digitale, si rimane narcotizzati dalla stessa.
In questo terreno liquido c’è spazio anche per un fluido che ha tradizioni solide e rimanda a significati antropologici e simbolici: il latte, elemento presente nei video di Maria Luigia Gioffrè e di Jacob van Schalkwyk. Nel primo – I Figli di dio – il richiamo è alla madre terra e a quel regressio ad uterum che si manifesta con la mungitura delle pecore e con la ricerca di un equilibrio primordiale; una relazione quasi ancestrale che ritroviamo nella congiunzione tra il mondo animale e quello umano. Nel secondo – After Wegman – dove chiaro è il riferimento al fotografo Wiliam Wegman e alle serie delle immagini, spesso antropomorfe, che ritraggono i cani Weimaraner – l’artista assume comportamenti zoomorfi bevendo il latte leccandolo dal pavimento.
Il linguaggio è sempre più fluido e sfrutta i codici tipici della rete in My Love Is So Religious di Kamilia Kard, dove sintetizza l’idea dell’amore vissuto ai tempi della tecnologia, e riprende le tecniche televisive in The Series – The Beginning di Roberto Casti, per raccontare la storia della creazione e i metodi di narrazione.
Sequenze linguistiche in fase di decodificazione nel flusso delle informazioni e delle immagini diventano materiale per incorporare nuovi codici in Inverting commas di Guildor; la stessa sovrapproduzione formale la ritroviamo in ROSES, internet Abduction di Mara Oscar Cassiani. Le parole sono sottratte alle loro funzioni nelle omissioni in Everything I can’t tell my mother di Łukasz Horbów, in cui la confessione dei segreti di un ragazzo alla madre resta uno spazio sordo, dove il messaggio è eliminato lasciando solo le emozioni che lo precedono.
L’angoscia è quella dell’uomo del XXI secolo che vive in una condizione di instabilità permanente, prima di tutto fisica e poi identitaria, esasperato da quotidiani panorami di un mondo affaticato dalle insidie che lui stesso ha generato. Assistiamo alla volontà di riaffermare all’interno di uno spazio liquido la fisicità umana attraverso il corpo, primo mediatore tra sé e il mondo. Paola Risoli, in Contact, manifesta letteralmente le paure nel contatto tra sé e la terra percorrendo a piedi nudi la strada della città nel tragitto casa-galleria; Matilde Sambo, in Vita come saliente avidità, attiva un processo di naturalizzazione ricoprendo parti del proprio corpo con armature di cera. Se in Tutorial #2: How to Cruise with a Bruise Corinne Mazzoli si concentra sul volto che diventa il luogo della finzione e del trucco mostrandone i camuffamenti possibili, per Jacopo Jenna e Barbara Brugola la danza è espressione di una ricerca intima e personale: il primo, in RED – Variations on a Dance Theme, esplora lo spazio e le potenzialità inespresse, ispirandosi a un lavoro del filmmaker Hilary Harris (Nine Variations on a Dance Theme, 1966); la seconda, con There is a House, esprime un sentimento con un abbraccio conclusivo, seguito a un ballo tra un uomo e una donna, che avviene in una casa sull’albero.
L’identità è invece un confine sempre più labile, che prescinde da teorizzazioni di genere e che tenta l’affermazione di radici e diritti, come in Interlude, il poetico video di Kgotlelelo Sekiti, e nella natura che diventa la lente di ingrandimento in grado di amplificare la propria immagine in Looking At Myself Sincerely Length di Natalie Paneng. Le teorizzazioni di Jacques Lacan – secondo cui lo specchio è il luogo del riconoscimento – trovano rappresentazione in Unplugged corpo specchio di Davide Mari, dove lo schermo presenta un nuovo spazio di identificazione del sé. Aurora Bertoli, in It shapes us, indaga la relazione con le immagini attraverso la rete e riflette intorno alle alterazioni-correzioni tecnologiche che incidono sulla percezione. Per Mabel Palacín, in Missing Link, l’immagine di ciascuno si moltiplica all’interno dei dispositivi rendendoci spettatori anche di noi stessi; unica alternativa a questo stato di passività è l’azione che porta a essere agenti attivi della propria vita. In questa direzione cerca uno spazio proprio la creatura aliena emersa da un uliveto pugliese in Trust Me With Your Full Weight, di Flavia Tritto, sovvertendo la posizione dominante dell’uomo sulla natura.
Una condizione, quest’ultima, che è il frutto di una cultura viziata da pregiudizi passati, che pone oggi l’uomo di fronte alle conseguenze delle sue azioni e alle sue responsabilità, all’interno di un terreno in crisi che mostra tutte le sue fragilità, come raccontato nel filmato ASMR for earthly survival di Sofia Braga (Parma 1991), Matthias Pitscher, Fabricio Lamoncha (Collettivo Post-Bio-Internet), e come evidenziato dal disastro di Chernobyl: Jacopo Rinaldi, in Real Chernobyl, ricostruisce l’inganno di Tomas Gareq che diffuse per primo i video (falsi) della catastrofe nucleare.
Quando non è responsabilità dell’uomo, è la natura a lasciare traumi, rievocati dall’uragano del 2018 sull’arco alpino, vissuto da Caterina Erica Shanta ne La Tempesta. La sfida che oggi l’umanità deve affrontare è quella di ristabilire un’armonia con la natura in cui definire nuove geografie come suggerito da 23.500 Times di Giacomo Infantino e Francesca Ruberto, dove il materiale argilla si presenta come un paesaggio primordiale, un possibile nuovo orizzonte.
Il cambio di prospettiva, in grado di modificare la percezione della realtà e di far perdere l’orientamento, è quello prodotto da Simone Cametti e Jakub Glinski. In Azione nel bosco, primitivo le alterazioni sono visive ma reali, si manifestano nel buio della notte all’interno di un bosco, diventano simbolo dello smarrimento umano. In Repulsione, il disorientamento in chiave trash è provocato dal corpo portato alle estreme conseguenze, frutto di alterazioni fisiche e mentali indotte. Se con il primo ci si sente proiettati in una realtà aumentata, nel secondo sono le sequenze psicotiche a generare una condizione perturbante nello spettatore. Uno stato di stordimento è prodotto da Posen: in polacco significa sogno ma è anche il nome della città in cui ha origine la narrazione di Ania Plonka, un percorso dove le immagini si pongono come interferenze visive, come il giorno dopo un sogno.
La teorizzazione di Joshua Foer, secondo cui la memoria naturale è sostituita da «un’ampia sovrastruttura di puntelli tecnologici che ci hanno liberato dall’onere di immagazzinare le informazioni nel cervello», induce alla ricerca di modalità utili per sopperire all’amnesia digitale. I lavori degli artisti riattivano il flusso dei ricordi attingendo materiale da archivi fisici o dalla rete, come in Was it me? Screen memories di Luca Staccioli, prodotto rifilmando le immagini e ricollocandole nello spazio in modo da restituire loro fluidità. In Videogrammi, Sara Davide ripercorre frammenti di vita quotidiana prelevati da località diverse, dando origine a un diario visivo in movimento; per Simona Pavoni lo scheletro di un capannone industriale in fase di demolizione – Domicilio – è l’unico luogo di cui prendersi cura, che si appresta a mostrarsi come un corpo decadente e un’archeologia di residui, macerie e detriti. Cristina De Paola, in Finis Terrae, con un’unica immagine delle luminarie utilizzate durante le feste folkloristiche rievoca le proprie radici; mentre la citazione alle prime proiezioni cinematografiche dei fratelli Lumiére è il soggetto delle ombre che passano sullo schermo in Sei cubi di legno, tre nidi, tre cavalli di Anna Vezzosi. I tragitti nella memoria segnano mappe personali di esperienze che si stratificano negli ingrandimenti dei pavimenti e dei binari di Giovanni Battimiello, in meZZeria, e in Peso Leggero di Sonia Andresano, dove il camion diventa metafora dei tanti traslochi affrontati.
La ricerca estetica è l’occasione per pensare a un contenitore attivo che possa agire direttamente sui simboli di potere e affrontare questioni politiche. In Flag, la bandiera di cellophane trasparente di Flavia Albu elimina omissioni e oscuramenti, diversamente da ciò che avviene spesso nelle dinamiche politiche. Un potere che trova forme di occultamento e che costruisce strutture sociali pregiudizievoli è quello raccontato da Federica Murittu in I Am Ghush Woman, evidenziando il rapporto fra la popolazione armena e la donne LGBT+. La vicenda legata alla ricostruzione del Teatro Nazionale e del Teatro Sperimentale di Tirana, espressione di interessi e speculazioni capitalistiche, è il soggetto di Zanafilla di Stefano Romano. L’opera segna una traccia tra passato e presente; lo stesso fa Oreste Baccolini ne La Vergato liberata recuperando immagini dagli archivi.
L’uomo si trova in una condizione di provvisorietà nel video di Robert Pettena Moon Games ambientato nel deserto dove un suono diventa un mantra avvolgente; in Limbo, di Luca Vianello, un individuo ripete gli stessi movimenti come metafora dell’attuale condizione umana. La stessa alienazione è mostrata in Scacco alla regina di Filippo Riniolo dove torri, regine, cavalli, alfieri e pedoni planano rovinosamente sulla scacchiera, trasportati dalle mascherine usate come vele. Se l’atterraggio è devastante e lascia i detriti di quel volo – rappresentazione perfetta della storia odierna che sta inghiottendo l’uomo in una normalità adulterata – l’urlo liberatorio AAAAAAAAAAAAA di Teresa Prati resta ancora, fortunatamente, il gesto che umanizza la massa e il modo più umano per alleggerirsi dalle frustrazioni presenti e future.
Questo contenuto è stato realizzato da Elena Solito per Forme Uniche.
1 Lussault M., Iper-luoghi. La nuova geografia della globalizzazione, edizione italiana a cura di Emanuele Casti, Franco Angeli, Milano 2020.
3° MARATONA DI VISIONE, RASSEGNA ONLINE DI VIDEOARTE
29 marzo – 26 luglio 2021
a cura di Alberto Ceresoli
con il patrocinio e il sostegno del Comune di Bergamo, Bergamo Smart City and Community
Grafica e web design:Woodoo Studio
Instagram: maratonadivisione
Immagine di copertina: Cover – Maratona di Visione – 3a edizione 2021, courtesy Maratona di Visione