Matteo Lampertico ha inaugurato lo scorso 25 maggio nel suo spazio di Via Montebello 30 a Milano ‘Esprit de géométrie’, che si potrà visitare fino al 23 luglio 2021. ‘Esprit de géométrie’ è il contraltare all’ultimo “Ritorno al Barocco” allestito fino a poche settimana fa: avanti, ora, geometria, concretezza, linearità.
Il matematico, físico, filosofo e teologo Blaise Pascal conia nel 1670, ormai oltre 350 anni fa, questa espressione: esprit de géométrie (spirito di geometria), concetto contrapposto al esprit de finesse (spirito di finezza). Con queste due formule Pascal vuole distinguere le due principali pulsioni della natura umana: la prima, la razionalità, con sede nella ragione, e la seconda, l’intuizione, con sede nel cuore.
Lampertico ha voluto sottolineare come nel corso del XX secolo possiamo trovare due “macrocorrenti” artistiche ben distinte e dominanti: quella razionalista (Mondrian, minimalismo…) e quella dominata dall’inconscio e dalle emozioni (Surrealismo, action painting…). Questa mostra associa il concetto di Pascal esprit de géométrie alla prima corrente che abbiamo menzionato: quella razionale, dominata dalla linea, dalla geometria. Si trovano infatti nella mostra artisti come Sol Lewitt o Robert Mangold, rappresentanti del minimalismo americano.
Gli artisti italiani sono la presenza più importante, in numero e in dimensioni: da una delle pareti corte della sala principale ci guarda una enorme opera di Massimo Antonaci, Triplice cinta, 1997, di 240 x 240, di un intenso blu. Nella parete opposta, un Giulio Paolini del 2005. Nella stessa sala si possono vedere anche due opere di Giacomo Balla (che non possiamo solo inquadrare nel Futurismo), diverse tra di loro ma che hanno in comune quello “spirito geometrico”. Non manca Alighiero Boetti (che non manca mai), con una opera su carta del ’75, né Piero Dorazio (che risente delle influenze di Balla), con un particolarissimo reticolo ovale blu del ’60. Non scontate, ma sempre sorprendentemente “geometriche”, due nature morte, una attribuita a Paolo Porpora, degli anni ’40 o ’50 del Seicento (contemporanea di Pascal!) e un’altra di Antonio Donghi del 1940 (ancora, 300 anni dopo ma sempre coerente con quella del XVII secolo). La mostra può essere intesa come una delle tante storie dell’arte del Novecento, attraverso gli occhi di Pascal (di un Pascal del 2021, che ha invecchiato incredibilmente bene).
Variegati colori, tanti artisti, tante date, tante forme, tante tecniche e supporti (cristallo, carta, olio, tela, graffito, inchiostro…). Le opere sono tutte diverse, ma tutte hanno in effetti un ‘non so che’ che le accomuna: quell’ esprit de géométrie, quello spirito di geometria di pascaliana memoria che, pur avendo più di 350 anni, è incredibilmente moderno e si può applicare sia a opere del 1913 che del 2005. La linearità, la geometria, la razionalità forse aiuta a trovare concretezza dopo quel bellissimo caos barocco della mostra precedente (era forse quello l’ esprit de finesse?)…Insomma, una quiete dopo la tempesta.