Franceschini loda l’originalità della mostra di Damien Hirst alla Galleria Borghese. Che al contrario è pressoché una replica della mostra veneziana del 2017
Chi potrebbe lodare “l’originalità” di una mostra tenutasi 4 anni prima in un importante centro d’arte di una grande città italiana, e oggi replicata pressoché invariata in un grande museo della Capitale? Sarebbe come lodare – per dire – la munificità di Zio Paperone, l’invincibiità del Crotone Calcio, la vitalità dei film di Ingmar Bergman. Eppure il nostro ministro della Cultura Dario Franceschini è riuscito nell’impresa. Probabilmenente distratto dai sussidi da distribuire allo spettacolo viaggiante, non deve aver nemmeno lette le prime righe del comunicato stampa della mostra di Damien Hirst appena inaugurata a Roma alla Galleria Borghese.
E nessuno deve averle lette per lui, magari consigliandolo nell’approccio per evitare figuracce. Già, perché in quelle prime righe c’è scritto qualcosa di ben noto a chi frequenti le vicende dell’arte in Italia. Ovvero che “oltre 80 opere dalla serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable sono esposte in tutte le sale del museo”. Ergo, opere provenienti dalla grande mostra tenutasi nel 2017 a Venezia a Palazzo Grassi e Punta della Dogana. “Senza dubbio una delle peggiori mostre di arte contemporanea allestite nell’ultimo decennio”, ebbe a scriverne allora Andrew Russeth su Artnews. Vedendovi in Hirst “un artista esausto, da tempo senza nuove idee, e che non prova altro che disprezzo sia per i suoi collezionisti che per i suoi fans”.
Eppure l’improvvido Franceschini assicura in una nota che “la cultura è ripartita, è tornata con iniziative straordinarie”. Precipitandosi a chiosare, riferito a Hirst alla Galleria Borghese, che “l’originalità di questa mostra è una prova di quello che succederà nei prossimi mesi”. E qui più di qualcuno farà gli scongiuri: perché se quello che ci aspetta nei prossimi mesi è rappresentato dalla replica di una mostra vecchia di 4 anni, siam messi proprio bene…
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