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“Non puoi non amare una vagina se non ami i peli”. I “monologhi” al Franco Parenti

Venticinque anni fa in un teatro di New York, Eve Ensler dichiarò per la prima volta di essere “preoccupata per le vagine”. Quello che ne seguì fu “I monologhi della vagina, una serie di racconti basati su storie vere e incentrati sul rapporto delle donne con i loro corpi.

Il primo orgasmo, il primo ciclo, i rapporti sessuali, l’autoerotismo, la questione dei peli (“Non puoi non amare una vagina se non ami i peli”) ma anche il parto.

Bisogna considerare che “I monologhi della vagina” sono stati tradotti in più di 48 lingue e rappresentati in oltre 140 paesi. La regista Emanuela Giordano pur mantenendo intatto il nucleo originale dell’operaha “italianizzato” alcuni riferimenti nella versione andata in scena al teatro Parenti di Milano.

Tutto inizia dalla questione del nome, come sottolineato fin dalle prime battute da Roberta Lidia De Stefano, Alessandra Faiella, Silvia Giulia Mendola, Marina Rocco, Lucia Vasini. Di qui un lungo elenco di variazioni regionali su come viene chiamata “Chella ca guarda ‘nterra”, cioè l’organo sessuale femminile.

La rivoluzione inizia dalle parole. E da come scegliamo di usarle.

Vagina vagina vagina ripetono le attrici, perché in effetti “è una parola invisibile – una parola che suscita ansia, imbarazzo, disprezzo e disgusto (..) perché credo che ciò che non si dice non venga visto, riconosciuto e ricordato” afferma la Ensler.

Intrecciando parole semi proibite e concetti poco dibattuti i monologhi a distanza di tanti anni rimangono ancora attuali.

Lo spettacolo – con un cameo di Andrée Ruth Shammah – è un accordo di voci e sentimenti. L’obiettivo èfar riflettere, certe tematiche soffrono ancora di un certo oscurantismo, ma anche ridere.

È un’opera teatrale che prova a spiegare cosa significa essere donna in una società patriarcale. Una società in cui le donne vengono giudicate per i vestiti che indossano (“La mia minigonna che tu ci creda o no non c’entra niente con te”). Un mondo in cui oltre il 60% delle ragazze non ha mai avuto un orgasmo, essendo stato insegnato loro a concentrarsi sul piacere maschile.

In un delicato equilibrio tra attivismo politico e teatro d’intrattenimento l’opera resta uno spettacolo che ha ancora ragion d’essere.

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