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Ricreare l’esperienza dei fenomeni naturali. L’arte come possibilità: Laura Grisi al Muzeum Susch

Laura Grisi
Laura Grisi, Antinebbia , 1968. Installation view all'aperto a Roma, 1968. Courtesy Estate Laura Grisi e P420, Bologna
Laura Grisi,
Antinebbia
, 1968. Installation view all’aperto a Roma, 1968.
Courtesy Estate Laura Grisi e P420, Bologna
“Non mi interessavano quadri o sculture che contenessero l’aria, la terra o l’acqua. Non volevo che l’aria, la terra o l’acqua diventassero oggetti. Volevo ricreare l’esperienza dei fenomeni naturali”. Così Laura Grisi (1939-2017) nel 1989 raccontava il suo lavoro al critico d’arte Germano Celant.

Saranno proprio queste frasi della Grisi a farci da guida all’interno della mostra al Muzeum Susch, in cui il curatore, Marco Scotini, e il direttore artistico del museo, ha raccolto le prime opere dell’artista, quelle degli anni ’60 e ’70. Si tratta della prima ampia retrospettiva museale dedicata all’artista italiana dopo la sua scomparsa nel 2017, realizzata in collaborazione con l’Archivio Laura Grisi di Roma e la Galleria P420 di Bologna.

Un’artista nomade, la Grisi, sposa della natura. È stata associata alla pop arte, all’arte concettuale, all’arte povera, ma nessuna la descrive pienamente. Nelle sue opere i fenomeni atmosferici vengono ricreati in ambienti chiusi: la sensazione che si ha è quella di un corpo a corpo con la pioggia, la nebbia, la sabbia; una relazione che dà vita a nuovi mondi possibili, a infinite percezioni.

Laura Grisi
Laura Grisi

E non c’era posto migliore per accoglierle che il Muzeum Susch. Aperto nel 2019, il museo è nato grazie alla volontà e alla passione dell’imprenditrice e collezionista polacca Grazyna Kulczyk. La direzione artistica è stata affidata a Krzysztof Kościuczuk. Si trova in Engadina, a 40 km da Sankt Moritz, sull’antica via di pellegrinaggio che portava a Santiago de Compostela. Nel XII secolo nell’area del museo sorgeva un monastero, e nei lavori di restauro sono stati conservati gli elementi architettonici dell’antica struttura.

Grazyna Kulczyk ha scoperto il piccolo paese di Susch per caso, un giorno, passando in quella zona in macchina. Rimase subito affascinata da quelle case storiche, da quel passato ai margini di un fiume, immerso nella pace di ampi orizzonti, e maestose montagne. Lo capì subito: lì sarebbe nato il museo che da tempo aveva in mente, un luogo aperto alla sperimentazione, dove poter godere dell’opera d’arte con ritmi più lenti, e consapevoli.

La storia della Kulczyk merita un racconto a sé: imprenditrice di successo, una delle più importanti della Polonia, ha fatto dell’arte non solo la sua passione ma anche una vera e propria vocazione. A Poznan ha dato vita all’Art Stations Foundation, un imponente polo per attività commerciali e artistiche. Appassionata d’arte contemporanea e della danza sperimentale, è stata inclusa tra i 200 più importanti collezionisti al mondo dalla rivista Art New.

Laura Grisi, Seascape, 1966. Acrilico su tela, plexiglas, pannelli scorrevoli. 100 x 122 x 12. Courtesy P420, Bologna.
Laura Grisi, Seascape, 1966. Acrilico su tela, plexiglas, pannelli scorrevoli. 100 x 122 x 12. Courtesy P420, Bologna.

Instancabile, la Kulczyk, ha desiderato, voluto, e realizzato il Muzeum Susch al fine di creare un centro di sperimentazione dedito alla scoperta di giovani artisti e alla riscoperta dei grandi artisti trascurati dalla storia.

Non stupisce, quindi, l’interesse per Laura Grisi, figura importantissima nel panorama artistico degli anni ’60 e ‘70, ma poco conosciuta.

Nata a Rodi, in Grecia, nel 1939, formatasi a Parigi e vissuta tra Roma e New York, Laura Grisi ha trascorso lunghi periodi della propria vita in Africa, Sud America e Polinesia, spesso al fianco del regista e documentarista Folco Quirici. Si è confrontata con la fotografia, la pittura, la videoarte, esplorando l’infinito nel tempo e nello spazio.

Laura Grisi, Untitled, 1966, acrilico, grafite e pennarello su ca rtoncino, cm.104x69 Courtesy Estate Laura Grisi e P420, Bologna Foto: Carlo Favero 7 Laura Grisi, East Village , 1967, acrilico su tela, neon, plexiglass, alluminio, cm.163x167x22 Courtesy Estate Laura Grisi e P420, Bologna Foto: Carlo Faver
Laura Grisi, Untitled, 1966, acrilico, grafite e pennarello su ca
rtoncino, cm.104×69
Courtesy Estate Laura Grisi e P420, Bologna
Foto: Carlo Favero
Laura Grisi,
East Village
, 1967, acrilico su tela, neon, plexiglass, alluminio,
cm.163x167x22
Courtesy Estate Laura Grisi e P420, Bologna
Foto: Carlo Faver

Opera emblematica, il film che dà il titolo alla mostra: The Measuring of Time del 1969, 16 mm pellicola in bianco e nero. Laura Grisi è seduta su una spiaggia intenta a contare i granelli di sabbia: un’azione infinita, un’impresa titanica, ma mai uguale a se stessa, amplificata dal movimento a spirale della cinepresa.

L’arte come possibilità, un luogo dove l’artificiale ricrea il naturale, come nella stanza della nebbia (1968). L’ambiente è riempito da una nebbia fitta dove si intravedono totem di neon antinebbia, messi lì proprio per mettere in evidenza il fenomeno meteorologico.

Nella stanza del vento (1968), presentata presso la Galleria La Tartaruga di Roma, l’artista ha ricreato, attraverso un ventilatore teatrale, un flusso d’aria di 40 nodi. Stessa cosa per la pioggia. Gocce di pioggia cadono a ritmo regolare e regolato in una vasca. Grazie proprio a quell’infrangersi nel contenitore si ha la sensazione di ascoltare il suono ritmico della pioggia.

“Il pubblico – scriveva Laura Grisi- pensa che quelle macchine e quegli oggetti siano le mie sculture: e invece sono i mezzi con cui metto in luce spazi diversi, ‘diversi’ anche se generati da fenomeni piuttosto consueti”.

Laura Grisi lavorando su Chessboard , 1977 Courtesy Estate Laura Grisi e P420, Bologn
Laura Grisi lavorando su
Chessboard
, 1977
Courtesy Estate Laura Grisi e P420, Bologn

Le infinite possibilità di esistere attraversano tutta la sua produzione artistica. Anche quando si confronta con la fotografia e la pittura (che per lei diventa ‘pittura variabile’) mantiene sempre il suo spirito nomade. I suoi quadri diventano quinte teatrali, pannelli scorrevoli ‘in moto perpetuo’ in cui si affacciano elementi della natura e sagome di uomini e donne.  Tele che poi diventeranno scatole di plexiglass e neon avvolte in un’atmosfera nebulosa. Le sue Pitture di Neon furono presentare all’ICA di Boston e al Jewish Museum di New York nella mostra Young Italians: con la Grisi c’erano Kounellis, Pistoletto, Castellani, Lo Savio, e Pascali.

Nell’opera Pebbles (1972-73), presentata presso la Leo Castelli Gallery a New York, fotografa e riprende all’interno di una cava di pietra le possibili combinazioni di alcuni sassi. Lo stesso fa con i colori dell’arcobaleno, e le lancette di un cronometro.

Una ricerca, la sua, che ricorda i riti magici. C’è un che di ancestrale nella sua arte: quel voler contare i granelli di sabbia, misurare il vento, controllare la pioggia… un metodo che la Grisi utilizza non per sfidare ciò che è convenzionale, ma che punta alla ricerca di una rivelazione: un’infinita possibilità.

La mostra sarà accompagnata da una pubblicazione sul lavoro di Laura Grisi edita da jrp|editions e sviluppata grazie alla collaborazione tra jrp|editions, Muzeum Susch e la galleria P420.

Laura Grisi

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