La recente raccolta edita da Bordeaux permette di rapportarsi all’atto estremo attraverso la lucida e a tratti onirica visione di Guy de Maupassant.
Il suicidio è l’atto estremo per eccellenza. Nella seconda metà dell’Ottocento Guy de Maupassant, uno dei padri del racconto moderno, ha trattato l’argomento attraverso opere brevi e fino a ora poco conosciute. La raccolta Racconti del suicidio, recentemente edita da Bordeaux edizioni, presenta sette di queste storie, tradotte da Paolo Bellomo e Luca Bondioli. Con uno stile incisivo Maupassant affronta il temada prospettive eterogenee, affiancando tinte oniriche di evasione a un crudo realismo narrativo.
Il volume si apre con Un codardo in cui il protagonista, il visconte Gontran-Joseph de Signoles, sfida a duello un altro gentiluomo, reo di aver importunato la sua signora in un caffè. Inizialmente molto sicuro delle proprie forze, con il passare del tempo il bel Signolesvede crescere la paura dentro di sé. Terrorizzato di essere marchiato col segno dell’infamia dalla società, il visconte fa di sé stesso il suo autentico testamento. Questo primo racconto è esemplificativo del rapporto che si ritrova in tutti gli altri. Maupassantdescrive la dimensione individuale del suicidio, ma nel farlo evidenzia gli aspetti relazionali e sociali che conducono i protagonisti a compiere questo gesto radicale. InPasseggiataMonsieur Leras, dopo la solita monotona giornata di lavoro come contabile, viene assalito da un senso di solitudine radicale: «Gli sembrava che l’umanità tutta intera sfilasse lì davanti a lui, inebriata di gioia, di piacere, di felicità. E lui era solo a guardarla, solo, completamente solo. Sarebbe stato ancora solo domani, solo sempre, solo come nessuno è solo».Leras sceglie di suicidarsi per fuggire da una condizione di malessere totalizzante e non più affrontabile. Similmente l’atmosferadel racconto Suicidiè pervasa da un senso di disillusione perenne. In una lettera scritta prima di uccidersi, un uomo ripercorre il suo passato ricco di ricordi, confessando di essere entrato in una spirale negativa per cui tutto ciò che accade gli è indifferente: «Siamo gli eterni giocattoli di stupide e fascinose illusioni che continuamente si ripetono». Con queste parole si fa portatore del pessimismo cosmico che caratterizzerà l’opera di Howard Phillips Lovecraft, la Metafisica di Giorgio de Chirico e la produzione di altri autori contemporanei (tra cui Thomas Ligotti). È l’eterno ritorno dell’uguale all’interno del gioco perverso della vita, al quale non tutti riescono a prendere parte fino in fondo.
In maniera sintetica e con grande maestria, Maupassant evidenzia la dialettica tra la vita e la morte specialmente in due racconti. Le prime battute del Cieco sono colme di vitalità, così come quelle dell’Assopitrice: «La sensazione della vita che ogni giorno ricomincia, della vita fresca, allegra, amorosa, vibrava nelle foglie, palpitava nell’aria, balenava sull’acqua».Sfogliando il giornale, il protagonista constata le statistiche dei suicidi e inizia a empatizzare con tutte le vittime. Pian piano i suoi pensieri si distaccano dalla dimensione terrena e approdano in una Parigi alternativa dove l’Opera della Morte Volontaria, un circolo fondato dagli uomini più eminenti del paese, annienta le persone. Di fatto, invece che farli morire per strada, l’Opera accoglie i bisognosi e li sopprime dolcemente per asfissia. Una società disumana, ma meno ipocrita di quella reale in cui il sognatore viene riportato dall’ennesima notizia di suicidio di un povero disperato. La dimensione onirica caratterizza anche Miss Harriet, la storia di un amore grottesco e appassionato di un’anziana signora inglese per un giovane pittore girovago, in cui il rapporto vita-morte è incarnato nella personalità della protagonista.
La raccolta si chiude con il racconto più lungo,Il campo di ulivi, che ricostruisce la mancata riconciliazione di un padre, nel frattempo divenuto prete, con un figlio che non credeva di avere. In queste pagine, in cui il lettore contemporaneo si ritrova in presenza dei cavalieri dell’Apocalisse dipinti da Salvador DalÍ, l’atto estremosi presenta come una chiamata interiore e assume un significato ancora più profondo, religioso: Don Vilbois risponde alla rivelazione della morte con la negazione della vita eterna, anche se nessuno dei presenti sembra crederci. Al contrario dei suoi protagonisti e sepolta per oltre un secolo, l’intensa riflessione di Maupassant sul suicidio è sopravvissuta alle pieghe del tempo ed è finalmente pronta a essere riscoperta in tutta la sua dignità letteraria.