Bonalumi torna a Milano, De Alexandris esce dalle pieghe della storia. Accade questo alla galleria 10 A.M. ART, che pone a confronto i due artisti in una mostra inedita visitabile dal 10 giugno al 30 settembre 2021.
Per afferrare il senso ultimo della mostra basterebbe una parete, completamente bianca, candida nel suo eloquente mostrare, emblematica nelle tre opere che espone. Per raggiungerla dovremmo arrivare fino al piano inferiore della galleria, lasciarci attirare dai due “rossi” sulle pareti laterali, che come poli magnetici ci costringono a un’equa distanza da loro, bloccandoci nel centro della sala, laddove, sul lato lungo, ci troveremmo dunque di fronte ai tre lavori in questione. Ma andiamo con ordine.
Nelle pieghe della storia. Agostino Bonalumi, Sandro De Alexandris, ancora prima di visitarla, si configura come una mostra ambiziosa, rilevante sotto diversi aspetti. Per prima cosa rappresenta il ritorno di Agostino Bonalumi in un’esposizione milanese, dopo la grande retrospettiva che Palazzo Reale gli ha dedicato nel 2018. Un’assenza sufficientemente prolungata da stimolare il desiderio di placarla. In secondo luogo c’è poi l’inedito accostamento che l’esposizione propone.
A fianco del maestro dell’estroflessione troviamo infatti Sandro De Alexandris. Un artista che, all’apparenza, si allinea in modo imitativo alla poetica di cui Bonalumi e Castellani, su tutti, si sono fatti rappresentanti. A ben guardare, invece, De Alexandris, pur riflettendo sulla superficie, ha saputo aggiornare la discussione, ampliare le possibilità che la tela può offrire e dare il proprio personale contributo a tale filone di ricerca artistica.
C’è una forte componente di studio e ricerca, dunque, nel lavoro di 10 A.M. ART, ma anche di passione e riscoperta. Quanti artisti giacciono nelle pieghe della storia in attesa che qualcuno li recuperi? Tanti, troppi forse. Ma da oggi, forse, ce ne è uno in meno.
Da oggi sappiamo che, esattamente come per Fontana, Bonalumi e Castellani, anche De Alexandris lavorava sulla superficie del mezzo artistico nel tentativo di elevarla a opera d’arte con intrinseco valore. Inevitabile quindi affidarsi alla grammatica dei suoi predecessori per decifrare le luci, le ombre, le pieghe, le fratture, le suture, le curve, le linee e tutti gli altri elementi che increspano le piatte superfici delle sue opere. Un epigono, dunque? Tutt’altro.
Dal confronto con Bonalumi emerge una variazione tecnica, la quale soggiace a un ribaltamento d’intenzioni, capace di donare identità precisa alla ricerca di De Alexandris. Se la tentazione di Bonalumi era quella di aggiungere alla tela, di addizionare materiale alla superficie, di annettere per potenziare, di caricare per svelare, De Alexandris procede in senso inverso. L’artista torinese tende invece a sottrarre, a rivelare per mezzo dell’eliminazione, a rimuovere materia per vivacizzare quella che rimane, a scarnificare, elegantemente, la superficie per mostrarne i segreti.
Pur evidenziando similarità, i due codici linguistici procedono dunque in direzioni personali e conducono a risultati associabili, ma non certo sovrapponibili. Lo capiamo tornando di fronte alla parete, quella bianca, posta alla fine della mostra e all’inizio del nostro articolo. Qui troviamo ai lati due Bianco di Bonalumi, estroflessioni del 1976 e del 1979, nel mezzo TS-LL P 01 di De Alexandris.
Per intenderci, potremmo affidarci alla storia dell’arte, a quella medievale in particolare, per interpretare le opere in questione. Nei Bianchi la superficie prende vita assumendo spessore, conquistando spazio, emergendo fisicamente dal supporto. É una sorta di altorilievo, con le forme che si gettano fuori dallo sfondo e si lasciano dietro volumi inediti e chiaroscuri dal fascino illusorio.
Nel centro, De Alexandris ottiene un effetto analogo, ma lo raggiunge esacerbando la tecnica del bassorilievo. Il suo lavoro supera per radicalità anche uno stiacciato, procedendo per netta e ponderata eliminazione di frammenti di superficie. Quello stesso effetto di chiaroscurale insorgenza, di materica primigenia che osserviamo, nasce da un procedimento totalmente opposto.
De Alexandris dimostra quindi, al fianco del più noto predecessore, di non esserne un epigono, ma un degno compagno. Non a caso l’emblematico nucleo di tre opere è racchiuso, sulle pareti brevi, da due opere – Rosso di Bonalumi e TS-LP 2 di De Alexandris – che inconsapevolmente presentano la stessa tonalità di rosso. Il primo preme la tela per uscirne, il secondo si nasconde nella sezione ferita e rimossa del laminato su cui è realizzata l’opera. Una coincidenza nella diversità, punto di sintesi e stacco insieme delle ricerche dei due artisti.