Anacronismi romantici, anzi sentimentali, forse risiede in questo parallelismo la poetica del fotografo Paolo Simonazzi, nella ricerca di un Novecento tramontato inesorabilmente, ma di cui si scorgono ancora gli ultimi spasimi orgogliosamente vivaci. Ed è nella provincia, soprattutto emiliana ma con alcuni affondi in terra cubana quasi a stabilire un naturale ponte ideologico, che Simonazzi cerca e formalizza quei residui, quei personaggi, quei luoghi che mettono in scena l’ultimo atto del Novecento, fregandosene del cambio generazionale, del crollo del muro, della trap e del sushi immerso nel wasabi.
Vicino a Reggio Emilia, per la precisione a San Tomaso della Fossa, abita il poeta agricoltore Lenin Montanari, un nome che non lascia troppo spazio all’immaginazione, che segna una continuità politica e, a tutti gli effetti, sentimentale con uno spettro che si aggirava per l’Europa fino a pochi decenni fa. Non è un caso che a poca distanza, nel paese di Cavriago, campeggi al centro della piazza il busto del rivoluzionario russo, a stabilire una fedeltà alla linea confermata da una toponomastica filosovietica. È in questo contesto che prende forma la mostra La casa di Lenin, curata da Sandro Parmiggiani, visibile fino al 25 luglio presso il Chiostro della Ghiara a Reggio Emilia, all’interno del circuito Off di Fotografia Europea (l’esposizione è accompagnata da un libro edito da “Gente di fotografia”).
Fotografie che restituiscono i luoghi del poeta anarchico, dell’agricoltore resistente, un’abitazione che è labirinto di simboli e ricordi. Una bandiera di Cuba, una della pace e una con l’effige del Che, sostenute da una struttura in legno improvvisata, forse a segnalare, involontariamente, la fragilità di quel trittico, la sua ingenua contraddittorietà. Lenin Montanari si definisce un agricoltore anarchico e le fotografie di Simonazzi si soffermano, come appena descritto, su alcuni dettagli “politici”, ma nel complesso l’aspetto è quello di un vecchio casolare disordinato, un contenitore di oggetti disparati, interni come conchiglie dischiuse, luoghi di memoria. Perché il lavoro di Simonazzi è quello del ritrattista, sprazzi di luoghi a delimitare una personalità che non è solo politica, La casa di Lenin racconta di quell’intelligenza provinciale capace di caratterizzare un luogo, disseminarlo di storie e renderlo alieno dal conformismo imperante. E Simonazzi ha la capacità di ritracciare queste storie minime, di farne parte, di insinuarsi e diventare protagonista a sua volta. Non è l’antropologo e nemmeno il ricercatore da camice bianco, non studia, ma partecipa alla festa, ne comprende i meccanismi, li assorbe per poi restituirli sotto forma di immagini. È parte della provincia, dell’Emilia, di quello strano paesaggio piatto che a volte sorprende per quella sua intelligenza non allineata.