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Quando l’arte è un affare di famiglia. I Giacometti alla Fondazione Maeght

Alberto Giacometti, Le Chien, 1951. Archives Fondation Maeght ©-Succession Giacometti, Fondation Giacometti Paris et ADAGP Paris, 2021 Alberto Giacometti, Le Chien, 1951. Archives Fondation Maeght ©-Succession Giacometti, Fondation Giacometti Paris et ADAGP Paris, 2021
Alberto Giacometti, Le Chien, 1951. Archives Fondation Maeght ©-Succession Giacometti, Fondation Giacometti Paris et ADAGP Paris, 2021
Alberto Giacometti, Le Chien, 1951. Archives Fondation Maeght ©-Succession Giacometti, Fondation Giacometti Paris et ADAGP Paris, 2021

I Giacometti, una famiglia di creatori. Giovanni, Augusto, Alberto, Diego e Bruno in un’inedita mostra alla Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence, Francia. Dal 3 luglio al 14 novembre 2021.

“Ovviamente tutti conoscono Alberto, ma ho voluto esporre per la prima volta 5 artisti di questa famiglia creativa. Esponendoli tutti insieme spero di far conoscere i nomi degli altri quattro” commenta sorridendo Peter Knapp, commissario della grande mostra estiva della Fondazione Maeght. Knapp è fotografo, pittore, cineasta, autore del libro “I cinque Giacometti” e con Giorgio Soavi di un premiato libro d’arte “Giacometti, la ressemblance impossible”. Knapp, coadiuvato da Olivier Gagner scenografo dell’esposizione, ha concepito il progetto attorno alla famiglia Giacometti nel tentativo di ridare a ciascuno di loro il posto che gli spetta nel contesto artistico e storico del XX secolo.

La mostra evoca anche l’intimo rapporto della famiglia con il villaggio natale, Stampa, nel Cantone dei Grigioni in Svizzera. Ad accogliere i visitatori dell’inedita mostra Grande Femme debout I e II del 1960. Varcata la soglia, due emblematiche sculture di Alberto Giacometti, L’Obiet invisible 34-35 e le Cube 34-39, sintesi del periodo surrealista e cubista dei primi anni parigini. Il titolo iniziale de l’Obiet sembra fosse Mani che tengono il vuoto, legato forse all’elaborazione di un lutto. Fu André Breton a ribattezzarlo The Invisible Object, quasi a evocare l’oscuro oggetto del desiderio caro ai surrealisti appassionati di psicoanalisi (malgrado le forti riserve nei loro confronti da parte di Sigmund Freud).

Alberto Giacometti, Portrait de Marguerite Maeght, 1961, Galerie Maeght

Eredità cubiste e primitiviste da una parte, alta accademia risalente a Rodin dall’altra nutrono le prime sculture di Giacometti quando lavora a Parigi presso Archipenko e frequenta le lezioni di Bourdelle, fino a quando La Boule suspendue del ’30 attira l’attenzione di Breton che assieme a Dalì ne fu incantato. E’ l’inizio del breve tempo di prossimità al movimento surrealista, prima del riemergere di istanze astratte e geometrizzanti. Ha così inizio un periodo di assoluta concentrazione e solitudine, che preparerà gli anni di poi. Divenuto famoso soprattutto per le sue sculture – in particolare con The walking men (1960), capolavoro di cui la Fondazione Maeght possiede entrambe le versioni (in mostra) – Alberto Giacometti è stato anche pittore, disegnatore e grafico d’eccezione – In assoluto tra gli artisti più importanti del XXesimo secolo.

Nato a Borgonovo, piccolo villaggio della Svizzera italiana nel 1901, si trasferisce a Stampa dove il padre installa un atelier. Fondamentale il suo incontro con l’arte italiana, quando nel 1920 accompagna il padre alla Biennale di Venezia, per poi soggiornare a Roma, Assisi, Firenze e Napoli.  Due anni dopo arriva a Parigi per studiare scultura e nel ’26 si installa nell’atelier del 46 Rue Hippolyte Maindron che gli servirà da alloggio e luogo di lavoro. Dopo le esperienze surrealiste e cubiste ed un lungo periodo di riflessione, nel ’43 incontra a Ginevra Annette Arm che diverrà sua moglie e fra i suoi modelli preferiti. Poi le mostre, a New York, già dal 36 il suo mercante in USA è Pierre Matisse, a Londra, in Germania, Danimarca. Muore a Coira nel 1966 a soli 65 anni.

 La mostra alla Fondazione inizia con i dipinti del padre Giovanni nel 1888 e termina con la carriera di artista mobilier di Diego nel 1985. «Non è rispettata né la cronologia né la biografia, ogni artista ha una sala» dice il curatore, che prosegue «ma quando il soggetto, la cronologia e le date suggeriscono una rassomiglianza, tipo la collaborazione molto stretta fra Alberto e Diego, abbiamo stabilito dei rapporti». Questa famiglia di creatori copre un intero secolo di arte moderna, a partire da Giovanni che ha fatto parte del movimento Die Brucke e dal cugino Augusto, fra i primi a creare opere cromatiche informali e esporre con Kandinsky. «Tutti e due – aggiunge Knapp – colpevolmente dimenticati dalla storia dell’arte».

Giovanni Giacometti, Soto il Sambuco, 1910, Sik Isea Zurich, Martin Stollenwerk scaled
Giovanni Giacometti, Sotto il Sambuco, 1910, Sik Isea Zurich, Martin Stollenwerk

La prima sala è dedicata a Giovanni Giacometti (1868-1933), padre di Alberto, Diego e Bruno, fu tra gli artisti più influenti della pittura svizzera del tempo assieme a Félix Vallotton, Ferdinand Holder e Cuno Hodler. Presente in mostra con una serie di quadri influenzati dall’Ecole de Pont Aven, fra tardo impressionismo e fauvismo, confiderà alla fine della sua vita: «La costanza del mio cammino è la mia visione della luce».  Acquerelli, olii, paesaggi della valle di Stampa, scene di vita familiare (come Les enfants dans la foret, 1909, dal Museo di Neuchatel).

Segue la sala dedicata al cugino di Giovanni Augusto Giacometti (1877-1947), un trionfo di colori per un’artista fra i più originali della pittura svizzera della prima metà del ‘900. Fra i pionieri dell’informale, la forza dei colori è la sostanza essenziale della sua arte (Le marchè aux orange à Marseille olio su tela del 1933, l’Eruzione dell’Etna del ’29 traducono il suo talento di colorista con rara potenza). Aperto a tutte le novità, Augusto Giacometti ebbe rapporti costanti con gli artisti e i poeti d’avanguardia, dai futuristi italiani ai dadaisti Tristan Tzara e Jean Arp. Nel 1932 gli fu dedicata una retrospettiva alla Biennale di Venezia, quasi trent’anni prima che il nipote Alberto vincesse il Gran Premio della scultura. La Biennale è un po’ una costante, del resto, nel percorso artistico della famiglia, se anche Giovanni Giacometti venne nominato commissario della 12 esima mostra internazionale di Venezia del 1920.

Il percorso della mostra prosegue con Bruno Giacometti (1907-2012) il più giovane della famiglia, violinista di talento e architetto di fama internazionale, costruì il Padiglione svizzero della Biennale di Venezia del 1952. Il suo stile permette di distinguerlo come uno dei maggiori rappresentanti del modernismo del dopo-guerra, vicino ai principi della Bauhaus. Un modernismo semplice che mette l’accento sulla funzionalità e la forma.

Diego Giacometti, Coiffeuse et tabouret. Photo Claude Germain ©ADAGP Paris 2021

Nelle sale Michel Guy e Kandinsky l’originalità dell’inedita esposizione punta sul trionfo modernista dei mobili disegnati dai due fratelli Alberto e Diego. Diego, con la sua leggendaria discrezione e modestia, è il vero alter ego di Alberto, si mette a disposizione del genio di Alberto, di quell’altro se stesso, per interi decenni. Diviene il suo modello prediletto, l’assistente, il consigliere, Alberto crea notte e giorno, Diego mette in opera le armature delle opere scolpite, supervisiona le varie fasi di lavorazione, realizza le patine. E’ il 1933 quando il decoratore Jean-Michel Franck commissiona ai due fratelli mobili ed accessori decorativi per i suoi clienti più prestigiosi, il barone d’Espéee, Nelson Rockefeller, Elsa Schiaparelli.

Dopo la pausa della guerra, Alberto incoraggia il fratello a iniziare una carriera di artista mobilier. La famiglia Maeght è della partita come committente, tanto che in mostra si possono ammirare capolavori di arte decorativa come Lustre pour le Mas Bernard 1949. Il pezzo viene esposto per la prima volta, dice il suo proprietario Adrien Maeght, nell salone del Mas che affianca la Fondazione. Utilizzando il bronzo e il ferro battuto, Diego forgia come raffinate sculture tavolini, appliques, lampade, sedie, la consolle con la tenera   Promenade des amis 1976, mobili popolati   di un favoloso bestiario fatto di cani, gatti, topi, cervi, lupi, vegetali, su stilizzati disegni liberty, (deliziosa la Cages aux oiseaux del 1959, collezione Isabella Maeght, o le Chat maitre d’hotel 1967 Collezione Adrien Maeght).   Nell 1985, pochi anni prima di morire, realizza un insieme di 50 opere per il Museo Picasso di Parigi.

L’esposizione termina con le opere della star della famiglia, Alberto. Nella grande sala che per la sua prima mostra venne organizzata con la supervisione dello stesso artista, si susseguono le sculture l’Homme qui marche I e II,  “Le chien”, “Le chat”, i rarissimi gessi dipinti, ritratti, disegni… Molte sue opere di proprietà della Fondazione mettono in luce i legami amichevoli con la famiglia Maeght lungo un percorso che si dipana in un affascinante intreccio tra vita ed arte, passato e presente, lungimiranza, emozione, creatività.

Augusto Giacometti, Mauerpfeffer, 1911

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