Oggi al Motel Nicolella abbiamo un ospite speciale dal Sol Levante, si chiama Henry Le e arriva da Hanoi, Vietnam. Tra pochi giorni inaugurerà una nutrita esposizione personale all’Arsenale di Venezia, a cura di Chiara Canali, che gentilmente ci ha messo in contatto con lui. Abbiamo fatto due chiacchiere per conoscere un territorio, fisico ma anche dell’anima, ancora abbastanza sconosciuto da queste parti. Henry Le si occupa di inconscio, di scoperta dello spirito e della tradizione millenaria del suo Paese, ma lo fa attraverso una scelta consapevole di materiali e di gesti che declinano nuove direzioni, nuove vie, nuovi spunti di riflessione. E’ un signore pacato, meditativo, ma nelle sue parole troverete una logica precisa, definita. Piccolo spoiler: nella sua intervista ha palesato un debito personale, importante, nei confronti di Antoni Tapies. Personalmente concordo, lo trovo molto presente nel suo lavoro ma senza ingombro alla ricerca complessiva. E insomma, se vi piace Tapies, oggi state scoprendo qualcosa di molto intrigante.
Buona lettura, e buona visita!
Per chi non ti conoscesse, chi è Henry Le e come definiresti la tua arte?
Sono un artista visivo che vive ad Hanoi, Vietnam. Prima di questa vita, mi sono laureato in Architettura e ho lavorato per dieci anni come architetto. Dopo quel periodo, ho lasciato la mia carriera di architetto professionista per intraprendere il percorso come artista visivo a tempo pieno.
La carriera di architetto ha occupato dieci anni preziosi della mia energica giovinezza. Per un giovane, dieci anni sono un periodo importante che modella la propria personalità e la visione del mondo, la morale e la virtù, definendo il proprio sogno del futuro e ponendo le basi per raggiungere i propri obiettivi. Ed è in questo periodo che ho rinunciato alla professione per diventare un artista visivo a tempo pieno. Ovviamente non è successo dall’oggi al domani. Mentre stavo lavorando ai miei progetti di architettura, il processo di creazione di un soggetto e il risultato finale non mi davano più soddisfazione. Non mi sentivo libero. Non ho placato la mia sete di vivere in modo libero, naturale e istintivo come avrei voluto. Mi sentivo teso e limitato. Ho sentito la mancanza di appagamento, la mancanza di una sensazione di completezza che provavo solo quando creavo qualcosa per me stesso.
Al contrario, ogni volta che sperimento l’arte – anche solo per liberare le mie energie – mi sento soddisfatto ed estatico. Creo immagini diverse, mi cimento con forme di espressione differenti, combino materiali di diversa natura. Naturalmente le prove portano anche all’errore e al fallimento. Ma i fallimenti che derivano dalla sperimentazione artistica mi danno a loro volta soddisfazione.
L’arte è per me la creazione del subconscio risultante dalla coscienza repressa. Come ogni artista che sogna ciò che crea, trascorro il tempo libero a cercare idee, scoprire e immaginare in continuazione. Raramente disegno le idee su carta, o faccio dipinti di piccole dimensioni per provare il fondamento delle mie idee, perché voglio costringermi in uno stato di alta pressione, come il vapore bollente in una pentola a pressione che non trova sfogo di uscita. Mentre molti artisti, fin dall’inizio, possono immaginare il loro lavoro finale, io preferisco che l’esplosione interiore – risultato della mente repressa – inneschi e guidi la mia esecuzione. Dopo le prime azioni gestuali, di solito eseguo i miei dipinti in uno stato mentale libero, inconscio. Per quanto riguarda il lavoro di installazione, invece, mi sforzo nel controllare la struttura e lo sviluppo, avvantaggiandomi dei miei studi da architetto. Ma credo che la creazione inconscia alla fine troverà la sua strada anche nelle installazioni, perché questo subconscio proviene dalla mia profonda coscienza e consapevolezza cognitiva. Quindi, prima di tutto, l’Arte per me è il rilascio di energia e desiderio.
Il secondo aspetto dell’arte è il medium (e i materiali). Nessuno può fare arte senza medium, e il medium è la voce che racconta una storia avvincente o semplicemente la uccide. Per quanto mi riguarda, il modo in cui realizzo il mio progetto è fondamentale, e sono così fortunato ad aver sempre trovato un mezzo e dei materiali che si adattano ai miei progetti e al mio stile di lavoro. Ringrazio, ancora una volta, gli studi architettonici che mi hanno aiutato anche in questo. Ovviamente, quando si pensa al soggetto e all’idea, un artista deve pensare subito ai materiali, e spesso fatica. A differenza dell’impostazione generale degli artisti, io lavoro subito per trovare i materiali giusti, anche attraverso tentativi ed errori. Quindi posso dire di essere molto orgoglioso della mia scelta del medium, in quanto è unica e originale.
Qual è il tuo rapporto con la cultura antica e con la storia e le tradizioni della tua terra d’origine, il Vietnam?
Questa domanda è per me un’interessante coincidenza, poiché ho recentemente concluso una ricerca su alcuni personaggi storici e sul loro contesto sociale e culturale, in relazione a eventi storici. Questa ricerca è il trampolino di lancio per il mio nuovo e attuale progetto sui personaggi simbolici rappresentativi della storia del Vietnam. Siamo una nazione che è nata 4000 anni fa, progredendo e sviluppando i suoi tratti sia in modo indipendente che attraverso influenze provenienti dai centri di civiltà circostanti, in particolare dalla Cina. Tuttavia, nell’ultimo millennio, dopo che abbiamo dichiarato l’indipendenza del nostro stato rispetto all’antica Cina, abbiamo sofferto, guerra dopo guerra, un rapporto di sudditanza nei confronti di quella grande potenza. Quindi puoi immaginare che, anche al giorno d’oggi, ogni studio o rievocazione storica porterebbe a molteplici discussioni tra gli esperti sulle nostre origini. Così, dopo il mio periodo di ricerca “autoreferenziale”, ora sono affascinato dalla riflessione sulla NOSTRA origine vietnamita. E come risultato di questa riflessione, ho scelto di esprimere la “mia” interpretazione di questa cultura meticcia e dell’impronta storica sulla società attuale attraverso il ritratto di personaggi e oggetti della storia. Quelle figure non sono necessariamente persone particolari o di un determinato periodo storico, ma rappresentano la mia visione vietnamita del passato – una visione che può chiaramente essere parziale, radicale o sfocata.
Ho intitolato questo progetto “Mythical Legends”. È un’installazione su larga scala ed è un mio primo punto di vista sulla storia. Come ho detto prima, ogni risultato espresso da uno scavo archeologico o da ricerche su antichi rotoli ha sempre innescato discussioni sull’origine e sui tratti distintivi del nostro Viet. Quindi, accetto il fatto che la mia interpretazione delle nostre leggende e dei nostri miti sarà sottoposta a critiche e opposizioni. Al tempo stesso, sono convinto che il modo in cui guardo alla storia in questo progetto costituirà un’apertura, una strada nuova anche per gli artisti che in futuro descriveranno e ritrarranno la storia da una prospettiva moderna.
In alcune tue dichiarazioni, affermi l’autonomia dell’opera d’arte e della sua vita emotiva, in continuità con la frase di Oscar Wilde “a flower blooms for its own joy”. Quale senso attribuisci allo sviluppo dell’opera d’arte?
Quando realizzo un progetto o eseguo un lavoro, cerco di raggiungere la mia liberazione. Durante il processo di sviluppo, il lavoro è sotto il mio completo controllo. Io sono il lavoro e il lavoro è parte di me e sarò soddisfatto veramente solo quando avrò sfidato il mio ego. Questo è il processo descritto dalla frase “a flower blooms for its own joy”.
Il lavoro che creo avrà la stessa attitudine di quel fiore. Quando l’opera finirà il suo viaggio con me, inizierà la propria vita in modo indipendente. Indipendentemente, anche il pubblico la vedrà, la giudicherà, svilupperà i propri sentimenti verso di essa, in modo positivo o negativo, la utilizzerà per i propri bisogni e scopi. Le persone daranno all’opera la propria interpretazione, la vedranno come vogliono e l’opera trasmetterà i valori che le persone riterranno più adatte allo scopo.
Quali sono gli artisti o le correnti artistiche che ti hanno ispirato?
L’artista che mi affascina di più è Antoni Tapies, da cui ho imparato tanto. Quello che ammiro di più in lui è il modo attraverso cui riesce a far permeare lo spirito della cultura orientale e asiatica nelle sue opere. Quel metodo ha avuto un grande impatto sulla mia visione dell’arte, fin dagli inizi.
La tua pittura, informale e gestuale, si rapporta con lo spazio espositivo. Le tue opere nascono site-specific?
No. Lavoro in funzione delle mie scoperte ed esplorazioni e queste raramente contemplano lo spazio espositivo. Per quanto riguarda questa mostra, sono molto fortunato che lo spazio a disposizione (l’Arsenale di Venezia, n.d.r.) funzioni così bene con la mia installazione. O forse un progetto ben congegnato può sempre essere facilmente allestito in qualsiasi spazio.
Posso dividere i miei lavori in due gruppi: pittura e installazione, a cui dedico due stagioni diverse dell’anno. Trascorro spesso dai tre ai quattro mesi a dipingere, quando lascio che la creatività guidi la mia condotta, senza fissare alcun confine tematico o temporale su ciò che svilupperò. Tuttavia, quando lavoro a un progetto di installazione, pianifico l’organizzazione dello spazio e la trama che collega assieme tutti gli oggetti, e scelgo la tematica e la storia in base alle precedenti ricerche che ho effettuato. Queste ricerche sono spesso condotte per rispondere a domande auto-sfidanti, alcune delle quali possono risalire fino alla mia adolescenza. Tuttavia, l’emozione e l’energia che utilizzo per sviluppare un progetto di installazione sono state raccolte e incubate nel periodo precedente dedicato alla pittura, durante il quale i sentimenti si sono intensificati e accumulati dentro di me.
Oltre all’espressione pittorica, la tua recente produzione si è indirizzata verso la realizzazione di opere scultoree. Quali materiali utilizzi e quali significati vuoi veicolare?
Sono predisposto a utilizzare materiali naturali del Vietnam, di provenienza locale. Ho viaggiato molto, soprattutto negli ultimi anni, e ho raggiunto gli angoli più remoti del Paese. Quei viaggi mi hanno fornito non solo uno sguardo aperto alle diverse culture delle terre lontane, ma anche la mia predisposizione nell’utilizzo di materiali diversi a livello locale.
Posso vedere, per esempio, come il fengshui – che rappresenta la geografia e la geologia di un’area – influisca sulla micro civiltà, e ovviamente i materiali naturali di quell’area plasmano anche la cultura delle persone che lì vivono.
Ho imparato a usare materiali tradizionali: coloranti naturali, minerali, cristalli naturali, pietre preziose da cui ottenere pigmenti, succhi di alberi di ogni tipo, succhi di lacca, cortecce d’albero, diversi tipi di legno e differenti trattamenti del legno (tra i quali l’ammollo del tronco in stagni fangosi dai 6 mesi ad alcuni anni), fibre come lino e canapa. Ho imparato le tecniche dai maestri del villaggio e ho affinato il mio metodo di trattamento in base ai risultati che voglio ottenere.
Uso i materiali per arricchire le mie opere, fornendo loro un’anima, strettamente legata alla mia. Poiché ho iniziato a praticare l’arte in Vietnam, da autodidatta, e ho intrapreso un percorso autonomo sul suolo vietnamita, senza alcuna guida da parte di un maestro straniero o di un mentore straniero, le mie tematiche e le mie storie sono profondamente radicate nella vita del Vietnam. È esattamente in questo modo che i miei lavori sono stati concepiti e sviluppati, e quindi nessun altro materiale può rappresentare meglio il mio lavoro.
Grazie per la tua intervista e ci vediamo a Venezia il 2 ottobre!