Maurizio Canesso, che aprì la Galerie Canesso a Parigi nel 1994, apre una nuova sede a Milano in Via Borgonuovo 24. Il fondatore è contento di tornare alle sue origini lombarde: “Milano è una delle città europee più dinamiche e rappresenta per me un ritorno alle origini”.
Lo spazio scelto è all’interno di un palazzo stupendo della vecchia Milano. La galleria si affaccia al giardino (quasi un piccolo parco) che nessuno si aspetta di trovare quando attraversa frettolosamente le vie di Brera. Come se non bastasse con il palazzo e il giardino, l’ambiente espositivo è stato arredato e allestito con cura e gusto.
Le opere sono di altissima qualità. Le due tavole protagoniste della apertura, assieme a una selezione di quadri di pittori cremonesi, sono del maestro lombardo Antonio Campi (Cremona 1522/23-1587), artista prediletto di (San) Carlo Borromeo. Amato dagli studiosi, i suoi lavori si possono vedere in alcune chiese milanesi: una Decollazione del Battista e un Martirio di San Lorenzo a San Paolo Converso, la splendida Visita dell’Imperatrice Faustina a Santa Caterina in Carcere a Sant’Angelo. È comunque una occasione unica il poter vedere le sue tele in una galleria.
Del Campi è anche la splendida pala d’altare dell’Adorazione dei Magi di San Maurizio al Monastero Maggiore, che probabilmente ispirò Caravaggio per la Conversione di Saulo della Cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo. Anche le due tele di Canesso sono un antecedente diretto del chiaroscuro del Merisi.
Sono due scene notturne, che come segnala Maurizio Canesso sono state pubblicate nel 1974 in bianco e nero ma sono esposte ora per la prima volta al pubblico, provenienti prima da Torre Pallavicina e poi dalla Collezione Barbò: un Cristo nel Giardino degli Ulivi e un Cristo davanti a Caifa.
In quest’ultimo quadro, il gruppo dei personaggi è lievemente illuminato dal bagliore di una fiaccola. Bellissimi colori verdi, azzurri, gialli, spuntano dal caratteristico ambiente cupo del Campi. Le calze rosse di Caifa, il bellissimo profilo di Cristo, la tenda verde, il tirapugni di uno dei soldati o il minuscolo riflesso della luce sull’elmo di un altro, in fondo; le dita dei piedi, le gambe che si percepiscono tese attraverso la calzamaglia, in primo piano, oppure la pelliccia della veste del sacerdote…ogni dettaglio della tavola meriterebbe di essere guardato per ore.
Nella tela ambientata nel Getsemani la luce proviene da un angelo che illumina anche la veste carminia di Cristo fatta da una stoffa dalle pieghe gonfie, caratteristiche del manierismo, che cade a terra con una pesantezza diversa, in una anacronistica e quasi longhiana linea floreale. Lo sfondo del dipinto appare monocromo, e piccole figure metafisiche, dechirichiane, si muovono fra gli archi di pietra, sempre colpite da questa stupefacente luce del Campi. Altri dettagli emozionanti sono il chiaro di luna, le figure sdraiate a destra, l’ombra di un ramo appena dietro la testa di Cristo e le sue mani intrecciate.
Si potrebbe chiudere con una frase del conoscitore d’arte Francesco Algarotti. Nel 1759 scrisse delle bellissime parole, che anche se riferite al Giorno del Correggio, maestro di luci e di ombre, come il Campi, possono essere utili per concludere qui la riflessione sui quadri di Canesso:
«Mi perdoni il divino ingegno di Raffaello, se guardando a quel dipinto, io gli ho rotto fede, e sono stato tentato di dire in segreto al Correggio [per questa volta, al Campi!]: “Tu solo mi piaci”».
L’attuale allestimento dedicato ai due quadri del Campi e agli altri cremonesi verrà cambiato il 20 novembre. E anche se sicuramente tutti vorrebbero godersi le due scene notturne il più possibile, nessuno vedrà l’ora di scoprire con altre opere di Canesso, che in un giorno di apertura ha già messo in evidenza che il lavoro delle gallerie di dipinti antichi è attualissimo, è sì economico ma anche e soprattutto culturale. E ha regalato a Milano il poter vedere questi due Campi che sono tornati in patria. Come Canesso.