Print Friendly and PDF

Relitti subacquei. Il “super sito” di Torre Santa Sabina: tra nuove scoperte e sfida alla fruizione totale

Relitto di Torre Santa Sabina
Relitto di Torre Santa Sabina

Si è conclusa il 10 ottobre la seconda campagna di scavo del relitto sommerso “Torre Santa Sabina 1” rinvenuto nella Baia dei Camerini, parte dell’omonima località balneare di Torre Santa Sabina, in provincia di Brindisi.

Le indagini sono avvenute nel solco del progetto di portata interregionale e internazionale Underwater Muse, il quale ha voluto fare di questo sito un modello esemplare e virtuoso di ricerca, tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale sommerso.

Si potrebbe parlare, usando una formula sintetica, di un progetto che mette al centro il carattere pubblico dell’archeologia, la sua essenza troppo spesso dimenticata.

Relitto di Torre Santa Sabina
Relitto di Torre Santa Sabina
Quello di Torre Santa Sabina è a tutti gli effetti un “super sito”, definizione usata dagli archeologi per indicare siti a lunga continuità di frequentazione e che, grazie alle loro stratificazioni, permettono di disfare l’ordito e la trama di un luogo per ottenere un altro tipo di intreccio, quello che permette di leggerne l’evoluzione nel tempo.

Torre Santa Sabina era un approdo che serviva all’approvvigionamento del centro indigeno di Karbina. Nel corso del tempo ha ascoltato, frammiste alle litanie del mare, storie di uomini dalle lingue diverse e preghiere propiziatorie di marinai che, dal II millennio a.C. all’età medievale e moderna, lo hanno conosciute nelle sue molteplici sfaccettature di approdo commerciale, di rifugio o di trappola mortale.

Quando solcava ancora i mari, tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C., il relitto TSS 1era un mercantile di tutto rispettodalla lunghezza di 25/30 me dalla portata di carico di 70/80 tonnellate.

Il suo viaggio potrebbe aver avuto inizio lungo le coste dell’Africa proconsolare,l’odierna Tunisia settentrionale,come testimoniano delle anfore di salagioni di pesce o vino (di cui due ritrovate integre), per poi cominciare il suo viaggio in direzione dell’Italia Meridionale.

Il terminal doveva forse essere il porto di Brindisi o un porto alto adriatico,ma le preghiere di quei marinai non furono ascoltate il giorno in cui la nave terminò bruscamente il suo viaggio.

Bisogna pensare che il pilota abbia cercato di scagliare la nave nella baia, nel tentativo disperato di avere almeno salva la sua vita e quella dell’equipaggio, o che siano state gli implacabili marosi a far sì che la nave si arenasse sul fondale sabbioso, in posizione perpendicolare alla riva.

Relitto di Torre Santa Sabina
Relitto di Torre Santa Sabina

È così che da quel momento cominciòun altro tipo di viaggio, quello che ha condotta la nave a noi.Il moto ondoso e i movimenti della linea di costa, hanno permesso alla sabbia e al pietrame di ricoprire il relitto e di formare, insieme al materiale vegetale utilizzato per attutire i colpi del carico, una matta impenetrabile che lo ha sigillato come in una capsula del tempo.Ma al destino piace rimescolare le carte e grazie all’apertura di un canale perscongiurare l’impaludamento della baia, il relitto è pian piano riemerso grazie alle correnti che si sono create.

Protetto con sacchi di sabbia e lastroni di cemento, è così rimasto fino al 2007 quando è stato effettuato il primo saggio sulla fiancata sinistra, cioè quella non adagiata sul fondo.Sono state già queste prime indagini a mettere in luce la straordinarietà del relitto che si prefigurava come uno dei meglio conservati del Mediterraneo e, soprattutto, del periodo a cui appartiene.

Oggi si trova a 2,80 m di profondità e a 50 m dalla riva ed è stato oggetto d’indagine delle campagne di scavo 2020 e 2021 affidate dal MiCal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salentoche qui aveva già scavato dal 2007 al 2012, rilevando la presenza di altri relitti e resti fittili sparsi sul fondale.

Dallo scorso anno, l’intero sito è diventato protagonista dell’intervento pilota “Torre Santa Sabina. L’approdo ritrovato” nell’ambito del Progetto Interreg Italia-Croazia UnderwaterMuse che mira a rendere accessibile l’immenso patrimonio sommerso delle aree interessate attraverso la realizzazione di percorsi subacquei e all’utilizzo di storytelling e realtà virtuale per chi non può immergersi.

Nel corso delle indagini da poco concluse, si è effettuata una pulizia completa del relitto che consentisse un’accurata rilevazione fotogrammetrica, propedeutica alla realizzazione di un modello 3D della nave originaria.

Durante le operazioni di rilevazioneè stata notata una matta vegetale che ha preservato elementi raramente rinvenibili, se non in condizioni di totale mancanza di ossigeno, come gomene arrotolate e cime, mentre altri elementi organici ritrovati a contatto con il legno sono panieri, stuoie e persino resti di cuoio.

L’importanza di TSS 1 è data, come già anticipato, dalla sua eccezionale conservazione, uno stato di grazia per gli archeologi navali che studiano le tecniche costruttive.

 Nel caso specifico, il fasciame del guscio esterno è stato assemblato attraverso delle linguette di legno, dette tenoni, che andavano collocate nello spessore delle travi,in spazi vuoti chiamati mortase, da cui il nome della tecnica “a mortase e tenone”. Dall’analisi del paramezzale, l’elemento alloggiato al di sopra della chiglia, si è notato che la nave possedeva due alberi, quello maestro e quello prodiero.

Nell’area di poppa sono emersi elementi più unici che rari come i bagli, quelle travi che sorreggono il fasciame del ponte e che sono raccordate al paramezzale attraverso un paletto ligneo, il puntello, di cui pure è giunta testimonianza.

Le analisi archeozoologiche hanno poi rilevato la presenza di ossa di bovini, suini e caprini consumati a bordo dall’equipaggio e ritrovati nel pozzetto di sentina in cui si raccolgono le acque reflue.

Oltre all’indiscutibile valore storico del relitto, questo progetto ha messo in luce un altro valore, quello della comunità locale che deve essere coinvoltanelle ricerche in quanto erede e custode di quel patrimonio che la lega al territorio in cui vive.

È soltanto attraverso questa archeologia partecipata che si arricchisce la comunità in termini culturali ed economici, attraverso strumenti che siano al passo con la tecnologia e un linguaggio il più possibile inclusivo in grado di non far sentire nessuno estraneo nei confronti del proprio passato.

Nella speranza di poter vedere presto i frutti di questo lavoro, ci si augura che diventi un faro a cui guardare per arrestare la crisi in cui versa il patrimonio storico archeologico italiano.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

  1. AURIEMMA, Nuovi dati dalla costa adriatica e ionica del Salento, in Historia Antiqua, 21, 2012, pp. 546-548.
  2. AURIEMMA, Torre Santa Sabina: l’approdo ritrovato, in Il Bollettino, 8, 2012, pp. 6-10.

https://www.italy-croatia.eu/web/underwatermuse/about-the-project

Filmati, foto e conferenzahttps://www.facebook.com/ArcheoSubUniSalento

Commenta con Facebook

Altri articoli