Nell’anno del Leone d’Oro speciale alla memoria alla Biennale di Venezia, la prima biografia di Lina Bo Bardi. Frutto di vent’anni di ricerca, La dea stanca – edito da Johan & Levi Editore – ripercorre l’avventura professionale e umana di una donna che ha sfidato le convenzioni sociali e intellettuali della propria epoca.
Originale e autorevole architetta del XX secolo, Lina Bo Bardi è stata anche una designer, curatrice e scenografa: i suoi edifici più celebrati – il MASP (Museu de Arte de São Paulo), la Casa de Vidro e il SESC Pompéia – rispecchiano l’idea di un’architettura d’avanguardia e anticonvenzionale, che pone al centro la collettività, il rapporto con la natura e con la tradizione vernacolare, temi oggi più che mai attuali.
Il libro di Zeuler R. Lima, corredato di 41 fotografie in bianco e nero e 10 disegni acquerellati, è il risultato di vent’anni trascorsi a studiare, scrivere e curare mostre sulla vita e l’opera di questa donna coraggiosa e perspicace, che ha attraversato le proprie contraddizioni senza timidezze, oscillando tra impulsi rivoluzionari e un temperamento malinconico. Scritto con rigore e tenerezza, il libro affianca a una ricostruzione storica basata su fatti documentati la volontà di rimanere fedele alla voce della protagonista. Un compito arduo se si tiene conto della mitologia che circonda da sempre la sua figura e che lei stessa contribuì ad alimentare.
Nata a Roma nel 1914 Achillina, detta Lina, si laurea in architettura con Marcello Piacentini per poi trasferirsi a Milano nel 1940, «quando non si costruiva nulla, si distruggeva soltanto». In pieno clima bellico, si inserisce rapidamente nell’ambiente editoriale milanese collaborando a diversi progetti di Gio Ponti. Un impegno che si intensifica negli anni e che la porta a lavorare a stretto contatto con Carlo Pagani e Bruno Zevi, fra gli altri, ad affinare le proprie competenze editoriali e a ottenere riconoscimenti personali e una sicurezza economica in un mondo professionale in prevalenza maschile. Ribelle solitaria dal carattere audace e irascibile – che le valse l’epiteto «la dea stanca», coniato da Valentino Bompiani – Lina farà tesoro dell’esperienza milanese.
Ma è in Brasile che Bo Bardi, giunta nel 1946 insieme al marito giornalista, critico e mercante d’arte Pietro Maria Bardi, porta a maturazione la sua originale voce di progettista attraverso una carriera lunga e ricca di sfaccettature, traducendo nel pensiero e nella prassi una formazione poliedrica. Fautrice di un’estetica della semplificazione, Bo Bardi rivendica il ruolo sociale degli architetti, chiamati a mettere da parte le ambizioni personali per rispondere ai bisogni della vita quotidiana della collettività, che deve potere abitare gli spazi da protagonista e non da osservatrice passiva di un artificio visivo.
La sua ricerca architettonica e sociale, tesa a «dare dignità alla presenza dell’uomo», si libera progressivamente dell’influenza del Modernismo europeo per ricercare le sue radici nel fertile passato di un Brasile premoderno. Animata dall’ideale di una cultura intesa come convivio, come patrimonio democratico, Bo Bardi fa sua la tesi secondo cui ogni opera – sia essa d’arte, d’architettura o di design – è sempre un’operazione politica, e coltiva il desiderio che la libertà prevalga sulla bellezza, lo sforzo collettivo sull’individualismo.