Come descriveresti la tua sfaccettata pratica artistica – dalla pittura, alla scrittura, all’utilizzo del corpo – a chi la incontra per la prima volta?
Una parola che la rappresenta a pieno potrebbe essere “necessità”.
Ho sempre percepito la presenza di uno scarto fra me e la realtà esterna, un qualche cosa di “altro” rispetto al mondo e alla mia percezione di questo. Dedicarmi ad una pratica comunicativa nel mio caso significa far sì che questo scarto diventi l’oggetto stesso della mia ricerca.
Per questo, dato il forte legame con la mia sensazione e la sua traduzione, il mio lavoro risulta essere molto intimo ed esistenziale, anche se cerco sempre di allontanarmi dall’autoreferenzialità traducendo le esperienze in “temi” che possono e devono assumere un carattere universale, essendo la mia una continua e costante riflessione sulla vita e le sue forme.Di conseguenza la diversità di pratiche fa sì che l’impulso o il concetto vengano espressi nel miglior modo possibile, a volte necessitano di segni, a volte di parole, a volte di gesti.
La pittura è sicuramente la parte preponderante della tua arte. Cosa ti guida nella composizione delle tue opere? Come si sviluppa il tuo processo creativo? Quando senti che un’opera può definirsi conclusa?
Dipingere per me è un vero atto di liberazione e per farlo devo trovarmi in una condizione ideale e favorevole.
Una componente fondamentale è il tempo, non ci devono essere pressioni esterne che mi costringono in una dimensione di “fretta”, poiché il primo passo è una sorta di alienazione che mi permette di collegarmi ad una parte di me molto profonda e intima.
Prima di iniziare trascorro qualche momento ferma, fissando il vuoto o la carta appesa, come se dovessi ritornare ad un mio ritmo, ad un mio movimento, che non ha nulla a che fare con il fuori. Importantissima inoltre è la disinibizione verso sé stessi. Per riuscire a trasmettere la verità è necessario far cadere qualsiasi tipo di giudizio o di vergogna verso ciò che siamo, eliminare ogni ostacolo verso qualsiasi parte di sé, creando un ponte “puro” grazie al quale l’opera si può connettere direttamente con l’interno e l’intimo di chiunque la fruisca.
Successivamente, inizio a dipingere, totalmente guidata da una forza della quale io sono semplicemente un mezzo. Ogni forma, ogni macchia, ogni segno compare nella carta ed è mosso da necessità. Nulla nella composizione potrebbe essere da altra parte se non nel luogo in cui appare. Se perdo il mio “flow”, se cala la concentrazione e forzo un intervento, allora il lavoro è da buttare. Risulta molto difficile rimediare ad errori di questo tipo, rompere l’equilibrio fra pieni e vuoti significa rompere l’equilibrio fra una cosa che si dà e che si nega allo stesso tempo, e se questo non accade allora non posso considerare il lavoro riuscito.
Con queste premesse capisco quando l’opera è conclusa, accade quando nulla può più essere aggiunto e il suo equilibrio vibra fra questi due opposti.
Soffermiamoci ora sugli aspetti più tecnici della pittura: favorisci le carte di grande formato, come mai? I tuoi supporti preferiti sono la carta e carta scenografica assieme ai colori e pastelli ad olio, quali sono le ragioni di queste scelte?
Ogni lavoro ha le sue richieste. Il grande formato mi permette di esaurire una grande quantità di energia, sia gestuale che comunicativa. Il fatto che la maggior parte delle carte siano di grandi dimensioni significa semplicemente che l’energia abbonda. In alcuni periodi torno al piccolo, anche se spesso la misura ridotta mi serve per liberare il gesto, velocizzandolo, per uscire da alcuni periodi di “blocco”. La carta è un supporto immediato e veloce ma di natura estremamente fragile perché rischia di strapparsi o danneggiarsi facilmente. Al contempo è viva dato che l’olio e il colore si possono espandere sulla sua superficie anche per settimane. Amo l’idea di far risaltare al massimo un supporto così delicato facendogli acquistare corpo e importanza grazie ad un intervento pittorico stratificato e riflessivo. L’olio a sua volta è un materiale che permette di scendere in profondità creando una sovrapposizione di interventi che si rispetta e coesiste nella stessa dimensione. Ed è questo quello che cerco di fare sia attraverso l’intervento pittorico che attraverso il segno, elementi che dialogano in accordo o in opposizione con l’intento di creare sempre nuove costellazioni che potremmo definire come delle continue “variazioni sul tema”.
Il dualismo tra vuoto e pieno è tanto parte della tua pratica pittorica, dove si manifesta con l’incontro tra sezioni di carta dipinte e altre lasciate vuote, quanto della tua scrittura, dove le parole occupano la pagina seguendo, non l’ordine imposto dalle frasi, ma uno originale, scelto da te. Sono, in fondo, diversi tipi di composizioni. In che modo questi due ambiti si incontrano? Uno ispira l’altro e viceversa, o sono due aspetti slegati?
Potrei rispondere con una semplice equazione a vuoto/pieno: forma = assenza/presenza: esistenza
Sono assolutamente due aspetti inseparabili che, deformazione causata da alcune esperienze, per me rappresentano il filtro di lettura di molte situazioni. Vuoto e pieno sono un binomio fondamentale per ordinare gli spazi compositivi all’interno del mio lavoro, non aprono solamente una riflessione su queste due possibilità, ma i due elementi diventano anche le colonne portanti del discorso, sono al contempo soggetti ed oggetti di riflessione.
Ritornando alla piccola formula di prima, non rappresentano altro che la continua riproposizione di ciò che nella vita viviamo come “presenza” e come “assenza”, in tutte le loro infinite possibilità e le infinite conseguenze che possono avere su di noi.
Attraverso la loro continua riproposizione l’intento è indagarle scendendo sempre più in profondità.
Gli esempi più esaustivi della tua scrittura poetica vengono dalle tue tesi: “Nella vita, la morte” e “Nella vita, la vita”, rispettivamente tesi di triennio e biennio. La prima è pregna di una lontananza delicatissima, la voce narrante cerca un contatto, che è parola o tocco, ma sembra anche temerlo fortemente. La voce protagonista si muove in un ambiente caliginoso, a tratti ostile, che ricorda l’intreccio fosco delle tue tele. Questa mancanza a volte viene soddisfatta, ma una certa dose di irrequietezza rimane. Nella seconda, invece, l’esistenza viene pian piano slegata dal dolore: se prima la voce narrante era in balia degli eventi, ora sembra riuscire a stare in piedi sulle sue gambe. La sofferenza è sempre un rischio concreto, ma ora viene guardata con consapevolezza. Quale sono state le genesi di questi scritti? Le due sono collegate dallo stile, e dal tema: le consideri un progetto concluso o c’è la possibilità che comporrai altri scritti simili?
In entrambi i casi volevo presentare degli scritti che rispecchiassero al meglio le tematiche di cui il mio lavoro è pregno, continuare quindi un ragionamento sulla vita e le sue forme, mantenendo un occhio puntato sulla morte. L’approccio compositivo mi è risultato estremamente naturale, in questo caso le parole sono i segni e l’equilibrio fra i pieni e vuoti si è spostato sul senso dei componimenti oltre che sulla forma.
Sapevo benissimo quale tematica volevo affrontare ma sapevo anche che non la volevo trattare con distacco poiché nessuna analisi oggettiva potrà mai descrivere realmente il senso di vuoto, la mancanza, la paura e alcuni sentimenti imprendibili di cui sfugge sempre il senso. Per questo motivo ho capito che l’unico modo per poterne parlare era farmi attraversare totalmente da tutto questo salvando delle parole, delle frasi, che non sono altro che i resti di un vissuto provato in prima persona e senza riserve.
“Nella vita, la morte” e “Nella vita, la vita” hanno un legame, ma ci saranno sicuramente altre raccolte future.
Anche le “azioni” hanno trovato posto nella tua pratica: esse sono caratterizzate dalla lunga durata e dalla ripetizione quasi ossessiva di semplici gesti. È anche importante per te che queste avvengano in orari specifici e poco accessibili, come durante la notte, o la mattina presto. Questa decisione sottrae le tue “azioni” dalle logiche tradizionali che prevedono che esse, così come gli altri eventi artistici, si tengano in presenza di un vasto pubblico. Sebbene questo sia un aspetto legato al passato, ha avuto una parte rilevante nella tua pratica. Mi parleresti di questo aspetto, e della ragione della scelta degli orari?
Ad oggi sono quattro i lavori che prevedono il coinvolgimento diretto del mio corpo.
Sono, come dici tu, azioni molto semplici, risultato di un lungo processo di semplificazione di questioni molto più ampie e complesse che si risolvono nella ripetizione prolungata di un gesto. La ripetizione è importante per ottenere un effetto catartico ed immersivo, lo scopo è quello di sciogliere alcuni nodi concettuali o emotivi attraverso la reiterazione del discorso (semplificato in un movimento). La scelta degli orari è legata alla natura dell’azione, essendo un momento molto intimo credo sia giusto che ogni elemento richiami questa condizione. Iniziare all’alba o di notte mi permette di avere attorno una dimensione conforme e perfettamente allineata con ciò che sto proponendo, inoltre ho la sicurezza che il fruitore abbia attivamente scelto di essere presente, rispettando le condizioni da me proposte.
Ultimamente però sento che questa pratica non mi è vicina come lo era in precedenza, pensare lavori di questo tipo non mi risulta più spontaneo e scorrevole come prima e anche per questo motivo non la sto considerando nel breve – medio termine.
Recentemente, hai vinto una delle due borse di studio offerte dalla Fondazione Heimann (Wiesloch), che promuove la comprensione fra la Germania e l’Italia, e nei mesi di aprile e maggio 2022 sarai loro ospite. Quali sono le tue aspettative? Puoi anticiparmi qualche dettaglio riguardo ai progetti che hai intenzione di sviluppare durante questa residenza?
Sì, ad aprile sarò ospite in questa cittadina tedesca e ne sono davvero felice. Uno dei miei obiettivi sarà sicuramente fare una full immersion nel mio lavoro sperando di trovare e mantenere un buon ritmo quotidiano fra pittura, scrittura e lettura.
Inoltre mi troverò in una città che non ho ancora mai avuto il piacere di visitare perciò ho intenzione di conoscere più cose possibili sia del luogo che della realtà culturale che mi circonderà.Parte del mio tempo lo dedicherò all’organizzazione di workshop con i ragazzi dell’università o delle scuole di Wiesloch, in cui cercherò di far rientrare più possibile la mia pratica con l’intento di arricchire ed essere al contempo arricchita.
Molto di più non posso dirti anche perché il tempo che trascorrerò lì giocherà e influenzerà il risultato finale più di qualsiasi previsione.