Suonala ancora, Annette! Il primo musical di Leos Carax sfiora il capolavoro. Con Adam Driver e Marion Cotillard
Presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes 2021, dove ha vinto la Palma d’Oro per la Miglior regia, dal 18 novembre arriva nelle sale italiane Annette, il primo musical di Leos Carax, con Adam Driver e Marion Cotillard.
C’erano una volta gli Sparks, un duo rock composto dai fratelli Ron e Russel Mael, inventori di quello che oggi viene chiamato glam rock (padri di un’intera generazione di altri gruppi come gli Smiths e i Depeche Mode). Un giorno, quasi all’alba degli ottant’anni, i due fratelli decisero di scrivere un film. Un musical: Annette.
C’era una volta Leos Carax, regista visionario che in 37 anni di carriera non aveva partorito più di 5 film, uno più singolare dell’altro (l’ultimo era del 2012: Holy Motors, con Kylie Minogue, degno di nota). Proprio come gli Sparks, Carax era un autore di culto: gli voleva bene questo pubblico di nicchia, le star facevano a gara per lavorare con lui. Incuriosito dalla sceneggiatura degli Sparks – nonché ispirato dalla figlia Nastya – Carax decise che il film dovesse diventare anche suo.
Infine c’era Adam Driver: un ex-marine arruolato in tempi un po’ sospetti, imbenzinato dai tragici eventi dell’11 settembre e dal patriottismo infuso dal presidente Bush (Junior), quindi scappato dalla vita militare, scoperto da una serie HBO (Girls di Lena Dunham) e in breve diventato una delle star più importanti della sua generazione. Tutti lo volevano, e in tanti riuscivano ad averlo (persino la Disney, per la nuova trilogia di Star Wars). Anche Leos lo voleva, tanto da promettergli di aspettarlo per tutto il tempo che sarebbe servito. Ma gli impegni di una star sono tanti, le riprese possono essere molto lunghe e 5 anni passano in un batter d’occhio.
Annunciato per la prima volta a novembre del 2016, Annette ha visto la luce solo nel 2021, quando è stato selezionato come film d’apertura della 74ª edizione del Festival di Cannes, diretto da Leos Carax (che poi ha vinto la Palma d’Oro per la Miglior regia), protagonisti Adam Driver e Marion Cotillard (nel ruolo che avrebbe dovuto essere prima di Rooney Mara, poi di Michelle Williams). E come recita il payoff scelto per la distribuzione, è davvero un’esperienza cinematografica difficile da dimenticare.
È la storia più vecchia del mondo: he was a boy, she was a girl. Henry e Ann. Avevano tutto: lui una star della comicità applaudito in tutto il mondo, lei una dea del mondo della lirica. Loro si amano, il pubblico li ama, la stampa li segue. Una sorta di Kim e Kanye, un po’ più radical chic. Un amore che li guida fino alla nascita della loro prima figlia, la piccola Annette: una bambina, mettiamola così, davvero speciale. Ma proprio come insegna Verdone, l’amore è eterno finchè dura… o, come insegna la tragedia greca, finchè non conduce alla follia.
No, Annette non è un film sulla maternità, né una commedia con Owen Wilson e Jennifer Aniston, Jennifer Lopez o nessun’altra Jennifer, ma una tormentata storia d’amore e di celebrità, di successo e redenzione. 140 minuti di canzoni lunatiche e situazioni grottesche che trasudano creatività allo stato puro. Si capisce fin dal primo minuto, quando il regista prende il comando e consiglia di “trattenere il respiro fino alla fine dello spettacolo“. Non c’è spazio per la dolcezza: quello che interessa al regista è l’invidia, la vendetta, i bassi istinti. Cantaci, o diva, di quel desiderio impellente di guardare verso il male e delle sue conseguenze (“I stood upon a cliff / A deep abyss below /Compelled to look I tried / To fight it off, God knows I tried”, canta Adam Driver verso la fine del film; “This horrid urge to look below / But half-horrified and half relieved / I cast my eyes toward the abyss /The dark abyss”).
Figlio del suo tempo e di un grande amore per il cinema (e di una precisione che in alcuni momenti sfiora la maniacalità), Annette è senza dubbio un musical sui generis: perverso, un po’ offensivo, a volte ripugnante (a cominciare dal ruolo che dà il titolo al film), da un punto di vista drammaturgico? Semplicemente perfetto. Dentro c’è di tutto, da Amleto a Pinocchio, pure Biancaneve – ed è bellissimo che non serva un master in critica cinematografica per accorgersene. Non mancano certo le cadute di stile: per esempio gli interventi in stile TMZ, che non regalano nulla al film se non un sorriso di sufficienza.
Il dettaglio più curioso, però, è Adam Driver. Chiamato a vestire i panni di Henry McHenry, cabarettista non convenzionale (stile Andy Kaufman) che impazzisce quando la fidanzata riceve più adulazioni di lui, il suo personaggio a un certo punto dovrebbe inesorabilmente tradirsi nella sua misera esistenza di inetto (nel senso più sveviano del termine). Il problema è che Adam Driver non è più una persona comune né di certo un inetto. Al contrario è un artista impegnato, che dopo la proiezione del film a Cannes può permettersi di accendere una sigaretta in sala e sputare il fumo in fronte a una telecamera (è successo davvero); un attore capace di prendere parte al cinema più popolare che c’è e allo stesso tempo risultare credibile anche nei contesti di cultura “alta”. E il filtro di Hollywood, per la percezione del pubblico, è più importante del film.
Leos Carax, un regista puro, abituato a fare la fortuna degli artisti (si pensi a Juliette Binoche) piuttosto che a fare i conti che gli artisti che hanno già lavorato con Jarmusch, Scorsese, Baumbach, Soderbergh, Spike Lee (e così via) e che alla fine Hollywood ce l’hanno già in mano (e che sono anche i produttori del suo film, come nel caso di Driver), alla fine non la spunta. Nessuno può sconfiggere Hollywood, quindi Driver non può fare altro che prevalere sul regista e mettersi fare quello che sa fare meglio: sé stesso. Per fortuna l’occhio di Carax sopravvive in tutto il resto, soprattutto nei dettagli: nella scenografia, nell’arredamento, nei colori, nella strofa di un brano intonata durante un cunnilingus. Nella piccola Annette (no spoiler!).
Per essere del tutto onesti, gli Sparks originariamente avevano pianificato “Annette” come un album narrativo per palati molto, molto fini, che avrebbero eseguito dal vivo in una vera e propria tournée. L’idea del film è stata di Carax: comprensibile, considerato che il suo cinema è nato con MTV si è sempre fatto notare per le scene musicali pittoresche (basti pensare a Denis Lavant che corre sulle note di Modern Love in Rosso sangue). Questo non vuol dire che sia mancata tutta una serie di complicazioni strutturali: “The budget is large / but still is not enough” (“Il budget è alto ! Ma comunque non è sufficiente”), si canta all’inizio del film, in un numero d’apertura degno del migliore meta-teatro in cui l’ensemble del cast annuncia al pubblico che “lo spettacolo sta per iniziare”.
“If you look in the face of evil, evil’s going to look right back at you” (“Se guardi il male negli occhi, prima o poi il male ricambierà il tuo sguardo”), dice Suor Jude (Jessica Lange) nell’episodio finale di American Horror Story: Asylum. Partendo da una premessa simile, Annette si rivela una bellissima riflessione sull’egoismo e sull’egotismo, sulla sottile differenza fra la fama e la celebrità, sul rimpianto e sull’abisso. Ed è talmente preciso da sfiorare la definizione di capolavoro. Anche se, a voler fare i puntigliosi, rimane solo un piccolo dubbio: perché un comico dovrebbe essere meno famoso di una cantante d’opera lirica? È un po’ come se Pete Davidson fosse soltanto l’ombra di Katia Ricciarelli. Ma sì, sarà una licenza d’autore. Leos può.