La mostra “Oltre il Novecento. Ubaldo Oppi – Arturo Martini, due artisti a confronto” è stata organizzata da Amedeo Porro all’interno della Galleria Carlo Orsi in Via Bagutta 14 a Milano. Sarà visitabile fino al 2 dicembre 2021 e crea una conversazione fra alcune opere dei due maestri del primo Novecento. La mostra è accompagnata da un catalogo di Amedeo Porro Fine Arts con testi di Elena Pontiggia, Filippo Bosco, Francesco Guzzetti, Claudia Gian Ferrari e Nico Stringa.
Ubaldo Oppi nacque nel 1889 a Bologna ma la sua famiglia subito si spostò a Vicenza, città che non lasciò mai più nella sua vita. Infatti si possono osservare in alcune sue opere “reminiscenze vicentine”, come nel quadro in mostra Vino – insegna di osteria del 1919, il cui sfondo, fatto di angoli, vie e prospettive, potrebbe ricordare alla scenografia di Vincenzo Scamozzi creata per il Teatro Olimpico del Palladio.
Arturo Martini nacque nello stesso anno di Oppi a pochi chilometri di Vicenza: a Treviso. Entrambi gli artisti furono dunque della stessa generazione e riceverono una formazione simile. Le loro tecniche e stili sono però diversi. Martini divenne scultore, Oppi pittore.
Per capire il senso, l’obiettivo della mostra e il confronto proposto da Amedeo Porro, è fondamentale è l’accostamento di due opere presenti in galleria: La Povertà Serena di Oppi, un olio su cartone del 1919 e La Nena di Arturo Martini, una terracotta di circa 1930. Entrambe le opere sono dei ritratti, ritratti familiari, in cui emerge però non solo la differenza di tecnica: anche la differenza nella concezione della ritrattistica da parte di ogni artista. La Nena di Martini è un ritratto intimo, quasi psicologico, mentre l’olio di Oppi è un’immagine piatta, distante, che diventa, con questi visi “arcaici”, quasi atemporale. Le donne raffigurate sono rigide; invece la ragazzina in terracotta è vicina, sembra di voler dire qualcosa a chi guarda.
Così tutte le opere di Oppi appaiono intinte da una velatura di silenzio, di solitudine, di passato. È il caso di quadri come il Paese col porto del 1914, Consolare la madre (Le tre età), dello stesso anno, di Rose al mattino, del 1930, immagine sospesa nel tempo.
Martini invece, con la sua terracotta “aptica” quasi invita a toccare. Particolarmente intima è la piccola scultura del 1932 Amanti a cavallo. La Deposizione “Pepori” del 1933, esemplare unico, sempre in terracotta, non può che non ricordare il Via Crucis di Fontana della Cripta di San Fedele a Milano: sono opere materiche, organiche, sensuali.
Importantissimi anche altri due pezzi unici di Martini: la Donna sdraiata in maiolica decorata del 1929-1930 e la Vittoria alata del 1936-1937, che, stupenda, ci aveva già sorpresi quando era stata esposta a Miart a settembre.
In conclusione, Oppi, sintetico nella sua pittura, si presenta “ottico”, e Martini, con i suoi volumi organici, “aptico”. Il dialogo proposto da Amedeo Porro riporta al visitatore a questo classico dualismo della storia dell’arte e mette in evidenza le differenze, le particolarità e le genialità dei due artisti.