A Milano è in scena Down in Albion, seconda mostra della galleria L.U.P.O (Lorenzelli Upcoming Projects). Inaugurata lo scorso 18 novembre (fino al 5 febbraio) l’esposizione mette in dialogo una serie di recenti opere pittoriche di tre giovanissimi artisti provenienti dalla febbricitante scena inglese: Sholto Blissett, Francesca Mollett e Xu Yang.
Appartenenti alla generazione degli anni Novanta, diplomati al Royal College of Art nel 2020, ed esposti per la prima volta in Italia, i tre artisti mostrano qui le loro differenti cifre stilistiche creando un dialogo sull’incognito, il misterioso e l’onirico. Un aspetto meno comune della cultura londinese.
Ispirato a un album del gruppo inglese Babyshambles, il titolo della mostra è un disegno perfettamente in linea con le intenzioni generali della galleria. A fare da nucleo dell’esposizione infatti non è un tema, bensì la volontà di mettere in luce qualcosa che è spesso trascurato: un lato oscuro della Gran Bretagna, profondamente distante dall’idea della nazione protagonista sulla scena mondiale sempre più separata da confini invalicabili.
La cultura popolare britannica, tramutata inaspettatamente in cultura underground, fa invece parte dell’immaginario e del modo di vivere europeo. In quanto tale, essa presenta caratteristiche di una storia comune e si fa portante di un’identità multiculturale esplicitamente presente nel senso di familiarità che un visitatore qualsiasi può avvertire davanti alle opere esposte. Tale ambiente, in cui i tre artisti sono cresciuti e si sono artisticamente formati e affermati fa da legante tra le opere pittoriche presenti in galleria e ci viene restituito da esse in scorci di realtà, combinazioni e immaginari onirici inediti.
I dipinti di Sholto Blissett (Salisbury, 1996) sono invasi da tonalità di verde e da colori freddi che da una parte vanno a comporre elementi perfettamente e precisamente disegnati, quasi in uno stile fiammingo ricco di dettagli, e dall’altra si lasciano andare in pennellate decisamente più sciolte e libere, degne di una paesaggio naturalistico che non può essere presentificato ai nostri occhi in maniera puntuale.
Tale contrasto rende ovvia l’impossibile conoscenza di tutto il creato e ci pone nella condizione di riflettere sulla presunzione e allo stesso tempo sulla fragilità dello sguardo umano di fronte al divino e alla natura nella sua essenza, informe e libera dalla costrizione formale del “giardino”. Il mistero dunque accresce e, non solo ispirato dalla pittura di Claude Lorrain ma anche dal Romanticismo tedesco, Sholto Blissett restituisce paesaggi che appartengono sia al passato che al futuro. Scene ambigue, a tratti aspre, invadono lo sguardo, lo sospendono dal tempo e lo catapultano in paesaggi profondamente terrestri e indubbiamente fantascientifici, delineando così un nuovo concetto di Arcadia.
In dialogo con i paesaggi di Blissett si trovano le luminosissime visuali di Francesca Mollet (Bristol, 1991). Stratificate su tele di lino le pennellate dell’artista si uniscono alla materia del supporto utilizzando la superficie come luogo di accadimento di qualcosa, della formazione di elementi che si fanno ora riconoscibili e ora indeterminati. I colori naturali creati dall’artista stessa, si mettono in relazione con soggetti catturati in schizzi o fotografie, e rielaborano in luce assorbita o luce emessa la condizione dell’essere guardato e quella del guardare.
I dipinti di Francesca Mollett si pongono al confine tra se stessi e l’ignoto, sul punto esatto del contatto con il mondo, costruendo una dialettica di andata e ritorno nei confronti di uno sguardo alla ricerca della figurazione.
Decisamente stranianti sono invece le tele di Xu Yang (Shandong, 1996), frutto di rielaborazioni ed esplorazioni nelle viscere della propria identità come in quelle della storia stessa.
L’aspetto performativo fa da fondamento della costruzione di raffigurazioni che traspongono su di sé l’immaginario personale dell’artista. Un immaginario costruitosi nel tempo con la sovrapposizione di esperienze personali, come quelle dell’infanzia vissuta nella Cina rurale e del trasferimento nell’ambiente londinese, che dimostra un’irruente invasione di elementi della cultura europea continentale.
Il melting pot vissuto dall’artista stessa nella frequentazione di un ambiente finalmente libero si mostra nella leggerezza delle pennellate, nei colori delicati e nelle forme curve, propri del Rococò.
Lo stile a tratti eccentrico sembra quindi anche legato a una mondanità dell’arte vissuta in prima persona come liberazione, mentre un senso di manierismo invade dunque l’opera di Xu Yang con l’onnipresenza di un panneggio rosso ricco di rimandi.
L’identità femminile e l’enigma sono i fulcri portanti di queste tele che, o troppo grandi o troppo piccole, richiamano per forza di cose la nostra attenzione.
Da un’idea di Massimilano Lorenzelli, e in collaborazione con il co-direttore Pier Francesco Petracchi e il gallery manager Federico Brayda-Bruno, la galleria L.U.P.O dimostra fortemente di promuovere la sperimentazioni di giovani artisti internazionali e di dare supporto alle nuove voci spesso trascurate dall’art system. Posta nello stesso civico di Lorenzelli Arte e quindi sulla stessa linea d’onda di una galleria che tanto ha dato fiducia in promesse dell’arte come George Segal e Lee Ufan in tempi acerbi, questa nuovissima realtà dimostra una proposta espositiva degna di audience internazionale.