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Da Balla a Pistoletto, passando per l’optical di Vasarely. Classicità e sperimentazione per Mazzoleni ad Art Basel Miami

Giacomo Balla, Linee Forze di Mare - Rosa, 64.5x100cm, Courtesy Mazzoleni, London-Torino
Giacomo Balla, Linee Forze di Mare – Rosa, 64.5x100cm, Courtesy Mazzoleni, London-Torino

A distanza di due anni, Mazzoleni torna ad Art Basel Miami Beach con una selezione di opere di: Carla Accardi; Giacomo Balla; Alberto Burri; Giorgio de Chirico; Lucio Fontana; Jannis Kounellis; Giorgio Morandi; Giulio Paolini; Michelangelo Pistoletto;Yvaral; Victor Vasarely.

Tra sperimentazioni e realizzazioni pre e post-belliche, l’esposizione presenta opere di maestri italiani della prima metà del XX secolo, quali Giacomo Balla (1871-1958), Giorgio Morandi (1890-1964) e Giorgio de Chirico (1888-1978). Giacomo Balla, figura chiave del Futurismo italiano, è rappresentato da Linee Forze di Mare – Rosa, 1919 circa, le cui brillanti sfumature rosa riflettono la visione dell’artista sull’uso del colore, illustrata nel suo “Manifesto del colore” pubblicato nel 1918: “La pittura futurista italiana, essendo e dovendo essere sempre più un’esplosione di colore non può essere che giocondissima, audace, aerea, elettricamente lavata di bianco, dinamica, violenta, interventista.” Questo concetto è in contrasto con la palette di colori tenui usata da Giorgio Morandi nella sua natura morta Fiori (1949), i cui sottili strati di pittura leggera creano un’aura lirica. Un’atmosfera più mistica si trova nell’opera di Giorgio de Chirico, meglio conosciuto per i suoi soggetti, scene e ambienti metafisici. Il Trovatore, 1950, immerge lo spettatore in una dimensione ultraterrena circondata da molteplici fonti di luce, lunghe ombre e prospettive distorte.

L’esposizione presenterà anche opere del dopoguerra incentrate sull’esplorazione dello spazio e dei linguaggi visivi. Lucio Fontana (1899-1968), padre del movimento spazialista e celebrato per i suoi rivoluzionari “tagli”, è presente con opere degli anni ’60 della serie Concetto Spaziale. Con l’atto apparentemente semplice del taglio, l’artista definisce la tela come portale per un’altra dimensione. Carla Accardi (1924-2014) indaga la spazialità astratta nei suoi “labirinti”, come dimostra Labirinto rosso, 1955. L’opera descrive visivamente la “poetica del segno” di Accardi, in cui le tracce non solo rappresentano uno sfogo dell’inconscio, ma sono anche la risultante di una precisa forma di espressione artistica e di linguaggio.

Giulio Paolini, L’altra figura, 1983, 45x23x23cm, Courtesy Mazzoleni, London-Torino

Un simile interesse per il linguaggio, seppur diverso per mezzi, poetiche e intenzioni, si trova anche nella serie Alfabeti di Jannis Kounellis (1936-2017), di cui Untitled (JJ), 1961, è un esempio. Per questa serie, Kounellis, leader dell’Arte Povera, rinomato per l’uso di materiali comuni, ha creato un linguaggio pittorico criptico fatto di lettere stenografate, numeri e frecce, inscrivendolo in una dimensione ambigua tra pattern ricorrenti e tocco umano. L’uso dei materiali sarà ulteriormente esplorato attraverso opere di Alberto Burri (1915-1995), fondatore di una nuova poetica artistica basata sulla sperimentazione della materia. Tra queste Cretto, 1976, il cui fitto intreccio di crepe è creato su una base di cellotex. Bilanciando attentamente una miscela di caolino e colla Vinavil, Burri è stato in grado di controllare la crettatura della superficie, riuscendo a realizzare opere caratterizzate da un forte equilibrio compositivo che espongono la fisicità dei materiali.

Le opere dei pionieri contemporanei dell’Arte Povera Giulio Paolini (nato nel 1940) e Michelangelo Pistoletto (nato nel 1933) mettono in discussione l’identità attraverso lo sguardo umano. Se L’altra figura di Paolini (1983) rappresenta un’enigmatica scena di sguardi da cui lo spettatore sembra escluso, Cabina Telefonica di Pistoletto (2007) sollecita direttamente lo spettatore a entrare nell’opera e a fissare il proprio riflesso nella superficie specchiante. In entrambi i lavori, l’atto di vedere ed essere visti si fondono in una frammentazione di prospettive e identità.

Un ultimo focus sulla Op Art presenterà opere del precursore del movimento Victor Vasarely (1906-1997) e di suo figlio Yvaral (Jean-Pierre Vasarely, 1934-2002), che hanno entrambi giocato un ruolo chiave nell’uso di illusioni ottiche e cinetiche con colori, forme e spazi. Con Einstein-Ker di Victor Vasarely, del 1976, gli elementi dinamici colorati e gli orizzonti multipli sono stratificati con linee ripetute che sembrano ruotare quando lo spettatore guarda il centro dell’opera. Marilyn Numérisée di Yvaral, 1994, è un esempio di pittura computerizzata dell’artista basata sull’analisi digitale. Il processo comporta la scomposizione dell’immagine iconica di Marilyn in elementi misurabili, creando un effetto che invita lo spettatore ad uno sguardo ravvicinato.

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