60 opere compongono la personale milanese di Simore D’Auria, My World. La mostra è un’indagine pop-dissacrante sull’uomo e sul conflittuale rapporto con l’ambiente naturale che lo circonda. Dal 18 novembre 2021 al 29 gennaio 2022 alla Spirale Milano | Art&Co.
Tutto lo spazio è coperto da opere. Horror vacui in salsa pop che luccica anziché opprimere, esalta anziché sovrapporsi. Come all’ingresso di una wunderkammer la mostra My world è abbacinante, riempie gli occhi e trasmette in un sol colpo le suggestioni che, lentamente, si andranno poi a sgranare una ad una. Protagonista di tale ondata di ironia e brillantezza è Simone D’Auria, artista nato a Bergamo (1976) ma operativo in tutto il mondo.
Lo stesso mondo che riposa tra le fauci di uno squalo (Good boy) appeso al soffitto della galleria Spirale Milano | Art&Co. Ai suoi piedi un inginocchiatoio. Forse in quest’opera troviamo sintetizzata tutta la poetica di D’Auria: la componente naturale (e la sua salvaguardia), la spinta consumistica (e nociva) dell’uomo, l’ironia dissacrante, il linguaggio pop ed eterogeneo.
Sono infatti questi gli elementi comuni a un’indagine visiva e sociale al tempo stesso, interessata a incrociare un linguaggio moderno e immediato con riflessioni tutt’altro che superficiali. Come fa Spoon, serie di cucchiai giganti (oltre 150 cm) realizzati in plastica riciclata. Un modo per ripulire i mari inquinati, ma anche per denunciare l’inquinamento stesso. Il cucchiaio diviene qui simbolo dell’ingordigia umana, totalmente sproporzionata ai suoi reali bisogni. Nessuna posata è grande abbastanza da soddisfare l’appetito umano, che ha ben guardare potrebbe invece cavarsela con molto meno. E invece pare destinato a perdersi nel vizio, tralasciando i valori più importanti.
Per questo una parete – interamente blu, con neon e gli onnipresenti cucchiai – sembra invitare ad azzannare la vita nella sua essenza; quella che, per esempio, possono indicarci le balene specchianti (Moby sbang) ai piedi del muro. Di certo non estranee all’alfabeto visivo reso noto da Jeff Koons, le balene di D’Auria miscelano insieme tenerezza e immensità. Al loro interno vediamo riflessa la nostra coscienza ambientale, che forse ha perso di vista come la natura può essere anche pericolosa. È il caso di Pablo, il calco dell’ippopotamo vissuto nello zoo personale di Pablo Escobar in Colombia. Un animale all’apparenza innocuo, il caro ippopotamo, ma in realtà tremendamente aggressivo e feroce.
Tale poetica è un esempio unico di naturalismo e dissacrazione. Tanto che finisce per condensarsi in una figura, quella di Mr. Spoon. Un cucchiaino per niente timoroso di disturbare capolavori di ogni epoca. Si impadronisce dei loro scenari e ne varia irrimediabilmente il tema emotivo. Lo vediamo, lungo tutta una parete, intrufolarsi nell’Urlo di Munch, nella Danza di Matisse e in tante altre opere celebri.
Connettendosi al territorio milanese, D’Auria ha riprodotto, per il piano inferiore della galleria, un ingresso in metropolitana. Con tanto di M bianca su sfondo rosso e il rumore dei treni in arrivo. La scenografia conduce a una sezione più libera, dove tre opere allestiscono un’appendice preziosa ed evocativa. In Sorry Fontana l’artista riprende i celebri tagli privandoli della loro sacralità; con una scultura di Pinocchio (color International Klein Blue) impiccatalo tira un’altra bordata a un altro artista astratto.
Perché se è vero che D’Auria è pop nella misura in cui rilegge il sostrato sociale, dall’altro gioca con i desideri e i gusti del pubblico coinvolgendolo in un discorso all’apparenza conosciuto ma, nel suo intimo, sorprendentemente inedito.