Julien Cadazio (interpretato da Adrien Brody) è il mercante d’arte al centro di una sezione del nuovo film di Wes Anderson, The French Dispacth. Il suo personaggio è inspirato a Joseph Duveen, figura centrale nella nascita di molte tra le più importanti collezioni americane.
Tanti l’hanno visto, ancora di più coloro che ne hanno parlato. Con The French Dispatch Wes Anderson ha riportato nelle sale di tutto il mondo il suo stile ultra-riconoscibile. Unico non solo per le scelte registiche – il ritmo forsennato, i dialoghi serrati, le inquadrature simmetriche, i colori desaturati – ma anche per i racconti bizzarri e coinvolgenti che mette in scena. Dal momento che questa volta le suggestioni erano troppe, il regista ha scelto di girare un film che raccogliesse al suo interno tanti film diversi. Quattro racconti (più l’epilogo) indipendenti ma allo stesso tempo connessi. Ognuno di questi si incentra su uno dei giornalisti del The French Dispatch, costola francese di un giornale del Kansas, i quali raccontano, per l’ultima edizione del supplemento, la storia più avvincente che abbiano avuto modo di scrivere.
Le vicende sono di fantasia, ma nascondono riferimenti e frammenti d’ispirazione liberamente tratti da alcuni servizi del The New Yorker. Tra questi la storia di Joseph Duveen, uno dei più grandi mercanti d’arte di sempre. Per sintetizzare e sublimare l’attività e la vita del mercante, non ci sono parole migliori di quelle usate da S.N. Behrman per il suo articolo, The Days of Duveen, pubblicato dal The New Yorker nel 1951: “Duveen – diventato Lord Duveen di Millbank prima di morire nel 1939 all’età di 69 anni – si era accorto che l’Europa era piena di opera d’arte e l’America piena di soldi, e la sua incredibile carriera è stato il risultato di questa semplice osservazione”.
Il racconto in cui compare corrisponde al secondo segmento del film, The Concrete Masterpiece. Qui J.K.L. Berensen (Tilda Swinton) racconta la vicenda di un immaginario pittore, Moses Rosenthaler (Benicio Del Toro), e del mercante d’arte Julien Cadazio (Adrien Brody). Ed è ovviamente con quest’ultimo che Duveen condivide più di un’analogia.
Nato nel 1898 da una famiglia di antiquari, Duveen iniziò la sua personale carriera di mercante a 17 anni, quando lasciò la scuola per inseguire l’arte. Da qui in poi intraprese un percorso professionale costruito sul ponte eretto tra Londra, Parigi e New York. In Europa acquistava opere d’arte – perlopiù Old Masters, ovvero i capolavori antichi e rinascimentali – per poi rivenderle negli Stati Uniti, dove lavori del genere non erano presenti se non in quantità esigue. Così facendo Duveen ha formato ed educato il gusto dei milionari americani più celebri del Novecento: Andrew Mellon, J. P. Morgan, Henry Clay Frick e Benjamin Altman. Il trucco, almeno sulla carta, era piuttosto semplice: Duveen comprava (consapevolmente) i dipinti a prezzi più alti del loro reale valore. Così facendo otteneva il duplice risultato di ingraziarsi i venditori e guadagnare l’opportunità di rivendere le opere per quantità di denaro ancora più elevate.
La medesima strategia è messa in pratica da Cadazio in The French Dispatch. In carcere per evasione fiscale, il mercante si imbatte in un dipinto creato dall’artista Moses Rosenthaler durante una lezione di arte terapeutica. Brusche pennellate di rosa, viola e rosso formano il luminoso nucleo dell’opera che si allarga fino a sbiadire nei bordi neri radenti la cornice. Intitolato Simon Naked Cell Black J Hobby Room. Cadazio, totalmente sedotto, lo acquista a una cifra molto più alta di quella richiesta da Rosenthaler. Una volta una volta uscito di galera lo sottopone all’attenzione degli zii galleristi, con i quali orchestra una precisa macchinazione del mercato artistico.
Difatti Cadazio, come Duveen, non è solo un venditore, ma un abile consigliere (o affabulatore?) dei maggiori collezionisti del suo tempo. L’immaginario mercante inizia a promuovere l’opera come il primo vero capolavoro di arte moderna, persuadendo i suoi clienti di trovarsi di fronte all’arte del futuro. In modo analogo Duveen riusciva a stringere così tanti legami (e così profondi) da diventare personal advisor dei ricchi collezionisti a cui presta servizio. Questi tenevano in grande considerazione la sua opinione e ne seguivano le indicazioni. La rete di relazioni intessuta da Duveen gli consentivano inoltre di trovare qualsiasi opera, di raggiungerla, acquistarla e poi rivenderla ai suoi clienti.
Celebri ed eloquenti alcuni aneddoti che raccontano come Duveen riuscisse ad allacciare i rapporti con personaggi all’apparenza irraggiungibili. Famoso l’incontro “casuale” con Andrew Mellon, l’uomo la cui collezione un giorno avrebbe costituito il nucleo fondante della National Gallery of Art (NGA) di Washington, DC. Durante un viaggio a Londra nel 1921, Duveen aveva prenotato una stanza nello stesso hotel dove alloggiava Mellon, l’Hotel di Claridge. Informato dal personale sugli spostamenti del magnate, Duveen si fece trovare sull’ascensore che Mellon prese per uscire dall’hotel e farsi una passeggiata. Si dice che il mercante, fingendosi sorpreso, abbia osservato: “Mr. Mellon, presumo? Che piacevole sorpresa!». Duveen riuscì poi a convincere Mellon a visitare insieme la National Gallery dando iniziò a un rapporto commerciante-collezionista culminato in uno dei più bei musei degli Stati Uniti.
Ancora più cinica la strategia adottata per trasformare Henry Clay Frick in un cliente fidelizzato. Invitato da Frick nella sua residenza, il mercante manifestò perplessità circa l’autenticità di un quadro mostratogli dal collezionista. Questo, ormai persuaso si tratti di un falso, restituì l’opera al proprietario precedente. La mossa comportò a Duveen una causa legale da $575.000 (più di $14 milioni oggi), ma allo stesso tempo gli valse la stima di un collezionista incredibilmente facoltoso. Tanto che fu Duveen, quando Frick si trasferì nella villa di Manhattan che un giorno sarebbe diventata sede della The Frick Collection, a procurargli i dipinti e le decorazioni per le famose stanze di Fragonard e Boucher, oltre che a scegliere l’architetto.
Le abilità persuasive di Duveen sono riscontrabili, con le dovuto differenze, anche in Cadazio. Infatti, laddove Duveen era affascinante e affabulatore, Cadazio è aggressivo, spregiudicato e disposto a tutto. Per giustificare la nuova forma d’arte proposta da Rosenthaler, il mercante mostra un disegno figurativo dell’artista, dimostrando come egli sia in grado di realizzare un’opera aderente alle realtà, ma che non sia artisticamente interessato a farlo. Un’argomentazione potenzialmente aderente al vero, tanto che artisti quali Gerhard Richter hanno costruito la propria narrazione proprio su questo aspetto, ma che nella trama del film suona come un inganno. Tanto che personaggi come Cadazio – ma anche lo stesso Duveen – sollevano un annoso dubbio: i mercanti d’arte lavorano per passione o solo per soldi?
Senza addentrarci nel merito di una risposta priva di univocità, non possiamo che rimanere nel limbo dell’indeterminazione. Behrman di Duveen scrive un poco risolutivo: “Each picture he had to sell, each tapestry, each piece of sculpture was the greatest since the last one and until the next one”.
Anche per Cadazio il giudizio resta sospeso. Dopo aver riunito i più importanti collezionisti del mondo nella prigione dove Rosenthaler è rinchiuso, il mercante mostra loro le nuove incredibili creazioni dell’artista. Proprio mentre Cadazio sta già pregustando il guadagno che ricaverà dalla vendita, si accorge che le opere sono dipinte direttamente su una parete. Sono degli affreschi. E, in quanto tali, quasi impossibili da rimuovere senza comprometterne l’integrità. Il mercante inveisce quindi contro l’artista: come può vendere il muro di una prigione? Proprio mentre Cadazio sta rivelando la sua anima arrivista e poco interessata all’aspetto artistico del suo lavoro, Wes Anderson gli dà la possibilità di redimersi. Il mercante di scusa con Rosenthaler, ammettendo la straordinaria bellezza dell’affresco. La fortuna, come nelle favole, lo premia: una ricca collezionista del Kansas si offre di comprare l’opera e farla trasportare a sue spese.
Un gioco di prestigio che probabilmente non sarebbe riuscito neppure al vero Joseph Duveen.