Prosegue fino al 9 gennaio la mostra di Bios Vincent “Love always wins”, a cura di Angelo Crespi, allestita a Palermo al Museo Riso e dentro la Cappella dell’Incoronazione, e a Terrasini e Palazzo D’Aumale: al centro l’opera “Will you still love me tomorrow?”, 2000 cuori trafitti che denunciano la violenza contro le donne.
Will you still love me tomorrow? Mi amerai ancora domani? È la domanda che ci ha urlato in faccia Bios Vincent mentre traslava in silenzio 2000 cuori trafitti in cemento da fuori a dentro il Museo d’arte contemporanea Riso di Palermo: una performance straziante, quasi dolorosa, durata otto ore sotto la pioggia, l’artista vestito di nero, sul volto la maschera bianca di rigore che è diventata un suo tratto distintivo, infine due piccole ali legate sulla schiena, ha portato ad uno ad uno i cuori all’interno del loggiato di palazzo Belmonte facendone una sorta di muraglia e per ognuno ha suonato un colpo di gong. Le vibrazioni hanno scosso l’antico Cassaro e i Quattro Canti, centro pulsante della città, mentre l’acqua insisteva, inaspettata, sulla Sicilia.
L’installazione/performance di Bios Vincent, trapanese di origine che vive tra Milano e la Cina, è un mantra, una preghiera: ed è come la ripetesse, da dietro la maschera, ogni volta che dal mucchio solleva lentamente la concretizzazione di materia infilzata, la sposta, la ripone più in là; se non sapessimo che è dura pietra, potrebbe sembraci un’incarnazione tanto è lo spasimo rappreso nel cemento da far presagire una prossima, improvvisa fibrillazione.
Mi amerai ancora domani? si chiede l’artista, ci chiede, a gran voce senza parlare, mostrando però la reliquia dell’amore, ciò che di esso rimane quando finisce: perché nell’amore è sempre presente l’abbandono e anche gli amanti che pure si promettevano eternità giungono a confini, anzi l’amore si esalta nell’abbandono, nell’assenza. Lo aveva colto Platone nel Simposio che l’amore è desiderio e “che è necessario che ciò che ha desiderio abbia desiderio di ciò di cui è mancante”, altrimenti non sarebbe desiderio e neppure amore. L’amore dunque contiene il suo contrario assente: esso è un simbolo e proprio come un simbolo si completa nella mancanza di quella parte che solo idealizziamo. Non è un caso che il simbolo per eccellenza sia proprio il cuore stilizzato, spezzato a metà, che rimanda per sempre al proprio completamento.
Tutto ciò non è però un racconto e basta. Bios Vincent non è un artista concettuale a cui è sufficiente l’idea o la narrazione, bensì un artista che plasticamente rapprende il suo pensiero in oggetti e cose che ne sono esemplificazione formale: anzi nella forma i pensieri si accrescono, nel farsi arte diventano amuleti salvifici. In questa tensione, c’è l’elemento della tradizione, disegnare, dipingere, scolpire, plasmare, infine decorare così che le opere siano belle in quanto rispondenti alla propria ragione di essere. Lo ha sottolineato bene Martina Cavallarin, in una precedente nota critica, cogliendone fino in fondo la poetica: “Bios raccoglie immagini già impiegate e spiegate – o materiali che hanno subito una trasformazione e contengono in sé i codici genetici, il dna di ciò che erano – per poi manipolarle attraverso l’atto poetico della creazione artistica. E lo fa gestendo la grammatica della denuncia in relazione a temi urgenti quali la violenza su donne e bambini, la visione di anime sante deturpate dalle azioni di altri esseri umani, le effigi angeliche, le figure di donne martiri”.
Quello che spicca è la riflessione sul sacro, cioè sulla vicinanza dell’uomo a dio, inteso come mistero presente, vicino, palpabile: i temi apparentemente solo religiosi, e di una data religione ben riconoscibile, acquistano una dimensione ulteriore che li rende universali: è il caso di “Ma-donne” un esercito di 120 statuette rappresentanti la vergine Maria, trafitta da chiodi, che se da un lato ripropongono l’icona classica della Madonna, dall’altra simboleggiano le donne violentate e vilipese che ciò nonostante generano il figlio di Dio, nel più pieno e incondizionato amore, poiché “Love alwayswins” preannuncia il titolo della mostra e con esso proclama il comandamento un enorme angelo di acciaio specchiante, ceramica, ferro, cartucce di fucile esplose, esposto nella Cappella dell’Incoronazione. Non è l’angelo confortante del Vangelo, il buon annunciatore, semmai l’angelo sterminatore del Vecchio Testamento o quello indifferente e per questo ancora più terribile della tradizione islamica.
Infine “The last supper” (“L’ultima cena”) è lo specchio della condizione dello stesso artista il quale si raffigura pubblicamente sempre indossando una maschera che ha tratti allungati di pinocchio, ma nel bianco candido ha un’aura da ectoplasma con espressioni inquietanti da teatro Noh. Su una lunga tavola sono appoggiate dodici maschere bianche in terracotta ed una, la tredicesima, smaltata in oro: rimane l’ambiguità se la maschera diversa rimandi all’agnello sacrificato o invece al traditore, o forse ad entrambi, se dunque l’arte sia un veicolo di salvezza oppure di sublime menzogna, un modo per allontanarci dalla verità scoprendola.
Palazzo Belmonte Riso
“A shot of the heart” and “The last supper” fino al9 gennaio, 2022
da martedì a sabato 9:00 – 18:30, domenica 9:00 – 13:00, Lunedì chiuso
Palazzo d’Aumale
“Fragments of love” fino al 9 gennaio 2022
da martedì a sabato 9:00 – 18:30, domenica 9:00 – 13:00, Lunedì chiuso
Cappella dell’Incoronata
“Love Always Wins” and “Ma-Donne” fino al 9 gennaio 2022
da martedì a venerdì 9:00 – 13.00,
Organizzazione:
Vertical Linea
Regione Siciliana
Riso_Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea
ZONTA International Palermo Zyz
Sponsors/tpartner tecnici:
Chiarema, Cantine Chitarra Eco Contract + Eco Design Inalco, Masnada, Milano Architettura
Informazioni:
Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo
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