“Uno scrittore che disegna” e che “ha la faccia dei suoi pupazzi”. Parole di altri ma che già anticipano molto su chi fosse Saul Steinberg. Lui, invece, si sentiva uno che apparteneva “alla famiglia di Stendhal e Joyce”. Sicuramente era un illustratore con la precisione grafica di un architetto ma anche col pallino per – la poetica delle piccole cose, insomma un artista.
Cosa c’è dietro le righe?
Per la X Triennale di Milano Saul Steinberg realizzò un disegno, si chiamava “The Line”: un’unica linea di dieci metri e ventinove pannelli che si aprivano come una fisarmonica. Da questa linea, Steinberg ha dato origine a moltitudini: panni stesi ad asciugare e città riflesse in un fiume, donne che suonano chitarre, lampadari oscillanti e, naturalmente, il suo famoso gatto.
Un esempio ben rappresentativo del suo mondo, della sua filosofia e del suo lavoro.
La mostra organizzata per lui dalla Triennale di Milano riaccende i riflettori sulla sua figura che fu, tra l’altro, particolarmente legata all’Italia. Il giovane Saul arrivò a Milano dalla Romania nel 1933 e studiò alla Facoltà di Architettura. Dedica miriadi di vignette e disegni alla città meneghina dove strinse amicizie importanti e durature, come quelle con Alberto Lattuada, Cesare Zavatini e Bruno Munari.
Tra i suoi sostenitori c’era anche Giò Ponti, suo maestro, ma con l’inasprirsi del fascismo non gli restò che fuggire negli Stati Uniti. Proprio lì, al sicuro oltre l’Atlantico, divenne famoso: le copertine del New Yorker ne sono una prova. Tra disegni, copertine, foto e lettere, si snoda la vita apolide di questo artista, la sua creatività e la sapiente ironia. Non a caso, era in grado di passare da un genere all’altro, trovando nella linea il suo linguaggio universale: la satira della guerra, «l’alfabeto», i ritratti femminili, la Grande Mela e gli animali antropomorfi.
Del resto nell’universo di Steinberg “tutti gli oggetti rappresentati sono essi stessi rappresentazioni. Ciò che è copiato insomma è ciò che copia”, come spiegava Barthes.
Tornò in Italia dopo la guerra e il Belpaese rimase uno dei suoi amori su carta. Lo dimostrano i quattro leporelli, le lunghe strisce in un’unica linea creati per il Labirinto dei ragazzi di Milano, realizzato dallo storico studio di architettura Bbpr nel Parco Sempione nel 1954 per la X Triennale.
Le sue sono costruzioni della mente tutte al servizio della filosofia della rappresentazione. Il mondo è trasformato in linea, come direbbe Calvino, un’unica linea spezzata, contorta, discontinua.