Print Friendly and PDF

Le storie senza tempo di Disney a Milano. Chicche e segreti sulla mostra (e i cartoni)

Artista dello studio Disney, Sfondo, guazzo e grafite su carta Artista dello studio Disney, Sfondo, guazzo e grafite su carta
Artista dello studio Disney, Marionetta, legno, pittura, spago, metallo, cuoio

Non bisogna mai sottovalutare il potere del giudizio altrui. Lo sapeva bene anche Walt Disney quando, su un treno diretto in California, discorrendo con gli altri passeggeri, rivelò di lavorare nel mondo del cinema, nel settore dei cartoni animati: «Fu più o meno come dire che pulivo le latrine! La gente non apprezzava i cartoni» e ancora: «Sono cose che ti fanno arrabbiare, ti rendono determinato a dimostrare quello che vali. Magari non lo dicono per offendere, ma vuoi provare che si sbagliano!»

Fino al 13 febbraio 2022 sarà possibile visitare al Mudec, il Museo delle Culture di Milano, la mostra Disney. L’arte di raccontare storie senza tempo che permetterà ai più curiosi di carpire i segreti dietro la realizzazione di alcuni classici.

Come sono nati questi capolavori? É proprio questa la ragione dell’esposizione: mostrare al pubblico, grazie a una selezione di opere (dai pastelli agli acquarelli, dai carboncini all’inchiostro, fino alle maquette), il making of, il dietro le quinte.
Artista dello studio Disney, Sfondo, guazzo e grafite su carta
Artista dello studio Disney, Sfondo, guazzo e grafite su carta

Il percorso espositivo è stato dunque suddiviso in quattro aree: mito, favole, leggende e fiabe, e di ognuna sono stati scelti i film rappresentativi. Dai corti Re Mida (1935) e L’Eroico Ammazzasette (1938) fino al recentissimo Frozen II – Il segreto di Arendelle (2019); non solo principesse, La bella addormentata nel bosco (1959) e La Sirenetta (1989), ma anche indimenticabili lestofanti come Robin Hood (1973). Peculiare, soprattutto per l’allestimento italiano, è la presenza di aree dedicate alla favola del 1881 scritta da Carlo Collodi, Pinocchio, e alla fiaba Cenerentola, di cui esiste una versione in dialetto napoletano di Giambattista Basile (XVII secolo).

DISNEY. L'arte di raccontare storie senza tempo
DISNEY. L’arte di raccontare storie senza tempo

MITO – Disney recupera i Greci

Hercules (1997) è il primo lungometraggio della Disney ispirato alla mitologia e non a fiabe, favole o leggende, ma non è il primo ad essere caratterizzato da una comicità e una colonna sonora (in questo caso gospel e R&B) anacronistiche: stesso stratagemma umoristico adottato qualche decennio prima ne La spada nella roccia (1963). Il direttore, produttore e scrittore John Musker rivelò in un’intervista: «rendemmo buffa la mitologia greca che viene considerata accademica e cercammo di renderla accessibile e contemporanea». Completamente differente è il corto Re Mida, presente a inizio percorso, in cui il mito greco viene trasportato nell’epoca medievale.

Occorre sfatare un mito: Walt Disney non ha mai prodotto film per bambini, avrebbe avuto un pubblico limitato, al contrario ha realizzato cartoni animati in cui la gente avrebbe potuto riconoscersi. I suoi film dovevano risultare credibili, sebbene non potessero essere realistici. Come ci riuscì Walt? Non senza la sua creatività, la sua convinzione e gli artisti che lavoravano per lui. In mostra vi sono infatti numerosi bozzetti e studi di ambientazioni e personaggi che testimoniano la lunga ricerca perpetrata dagli animatori: non deve sorprendere la similarità tra doppiatori, disegnatori e personaggi, giacché sono proprio i disegnatori a realizzarli dopo che gli attori registrano le loro battute: sono i loro occhi, la loro voce e le loro emozioni a guidarne la mano… e che cast! In Hercules per esempio, Charlton Heston nei panni del narratore, Tate Donovan è Ercole, James Woods è Ade, infine Danny De Vito è Filottete.

La tradizione della grafite, dei pastelli e dell’inchiostro si sposa l’innovazione, specificatamente la computer-grafica (CG), che si rivelò fondamentale per realizzare l’Olimpo e le teste dell’Idra di Lerna, di cui vi è una maquette esposta al Mudec.

Eric Larson, Disegno preliminare per l'animazione, grafite, matita colorata su carta
Eric Larson, Disegno preliminare per l’animazione, grafite, matita colorata su carta

FIABE – Biancaneve e la difficoltà di animare l’essere umano

Quale fu il primo lungometraggio realizzato da Walt Disney? Biancaneve e i sette nani, iniziato nel 1935 e distribuito nel dicembre del 1937. Al tempo era noto anche come “la follia di Disney” questo perché richiese un budget senza precedenti: invece dei previsti 600.000 dollari, costò 1.700.000 dollari. Anche se fu un’ardita scommessa, Biancaneve si rivelò un autentico successo: consentì ai fratelli Disney di sanare i debiti, acquistare la proprietà di Burbank per costruire uno studio e realizzare altri progetti. Il giubilo fu di breve durata: «per molti anni a seguire odiai Biancaneve. Ogni mio lungometraggio successivo era stato paragonato a Biancaneve e non aveva retto il paragone. Arrivai al punto di odiare Biancaneve e i sette nani» (Walt Disney).

Per la maggior parte dei personaggi umani si usò la tecnica rotoscope, inventata nel 1915 e consistente nella realizzazione da parte degli animatori di cartoni animati a partire da immagini riprese dal vivo. L’animazione però si dimostrò problematica, Walt Disney riferì che l’effetto ottenuto non era quello desiderato, scoprì che i mezzi dell’epoca non gli consentivano ancora di realizzare ciò che aveva in mente: «L’immaginazione degli animatori non bastava: si muovevano e si studiavano davanti allo specchio, ma gli animatori possono essere pessimi attori. Allora decisi di usare delle modelle professioniste. […] Io fotografavo e l’animatore usava le foto come fonte di ispirazione».

Gerald Scarfe, Concept art, pennarello e inchiostro su carta
Gerald Scarfe, Concept art, pennarello e inchiostro su carta

In mostra si può ammirare lo schizzo di Myron “Grim” Natwick, il “padre” di Betty Boop, unitosi alla Disney nel 1934 e in seguito assegnato al personaggio di Biancaneve. Walt lo desiderava ardentemente giacché lo riteneva l’unico in grado di realizzare ciò che aveva immaginato: i suoi disegni femminili non perdevano grazia e dolcezza. Essenziale fu a ffiancargli l’assistente Mark Davis che mise ordine alla disorganizzazione dei primi schizzi di Grim: stabilì quali erano le linee da enfatizzare e salvaguardare senza perdere dinamismo e leggiadria, inoltre controllava che gli occhi fossero sempre alla stessa distanza e proporzionati, che il fiocco avesse sempre la stessa dimensione, che nulla cambiasse o assumesse posizioni innaturali. Questo perché un proposito irrinunciabile era la credibilità, i personaggi dovevano suscitare nel pubblico tensione e immedesimazione.

La visita non può che iniziare e concludersi con un pizzico di magia: all’entrata infatti si viene accolti dal librone delle favole presente nella maggior parte dei film della Disney, mentre alla fine si viene salutati da un’installazione sorprendente e immersiva ispirata ai cristalli di Elsa.

Myron “Grim” Natwick, Concept art, grafite e matita colorata su carta
Myron “Grim” Natwick, Concept art, grafite e matita colorata su carta

Commenta con Facebook