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Lidia Bianchi e Silvia Bigi: un itinerario poetico sulla soglia dell’errore

Silvia Bigi, Family Album, fotografie polverizzate, vetro di Murano, dimensioni variabili, dalla serie From dust you came (and to dust you shall return), 2019-in corso, courtesy l’artista Silvia Bigi, Family Album, fotografie polverizzate, vetro di Murano, dimensioni variabili, dalla serie From dust you came (and to dust you shall return), 2019-in corso, courtesy l’artista
Silvia Bigi, Family Album, fotografie polverizzate, vetro di Murano, dimensioni variabili, dalla serie From dust you came (and to dust you shall return), 2019-in corso, courtesy l’artista
Silvia Bigi, Family Album, fotografie polverizzate, vetro di Murano, dimensioni variabili, dalla serie From dust you came (and to dust you shall return), 2019-in corso, courtesy l’artista
Senza vergognarsi troppo è un tentativo di volgere il proprio sguardo agli errori del passato: un atto di paziente immersione in cui si abbandona ogni cartografia, mentre si ritorna lì dove giacciono le tracce dei momenti e dei desideri provvisori. Nella poetica di Lidia Bianchi (San Felice Circeo, 1992) e Silvia Bigi (Ravenna, 1985) questa immersione nel singolo errore si dilata, divenendo emozione di quella provvisorietà che apre la superficie delle cose: una sensibilità geologica in cui il tempo e la realtà si raggomitolano su sé stessi, mentre si consegnano a interpretazioni ulteriori.

Le artiste, ridando vita a quei frammenti di progetti interrotti, rendono visibile la parzialità della realtà stessa. Lo sguardo sull’errore è un confronto con questa complessità, un’apertura perpetua, a partire da cui può nascere una riflessione sugli ‘errori’ dello Sguardo per continuare questa ricerca e farne una prassi artistica. Le ricerche di Bianchi e di Bigi si muovono nella consapevolezza che l’errore non è un peccato ma una virtù: la virtù dello slittamento e dell’esplorazione. Le loro immagini sono intensità, spazi di soglia in cui il mondo, fisico e interiore, acquisisce potenzialità infinita dopo aver abbandonato ogni traiettoria consueta. Si tratta di opere in cui la ripetizione del codice, che sia un’ideologia culturale consolidata, un algoritmo di intelligenza artificiale o i parametri interiorizzati di uno sguardo ordinario verso le cose, entra in cortocircuito con la differenza indotta dallo sguardo esplorativo che cerca l’errore in quella superficie, per scavare verso altre dimensioni.

Differenza e ripetizione, fragilità privata e proiezione collettiva: tutte dimensioni che si amalgamano nel progetto della Bigi ürtumliches Bild (2020), serie di immagini emerse dall’incontro tra la materia onirica dei sogni notturni e un algoritmo text-to-image. Il realismo performativo della tecnologia si relaziona a un contenuto narrativo illogico – la materia dell’inconscio – che non si condensa mai in una cornice stabile. Così, accogliendo quest’antica provvisorietà, anche la macchina finisce per fallire il suo compito. Ancora una volta l’errore che arricchisce, perché le immagini che nascono da questo ‘fallimento’, nonostante siano frutto della combinazione di fotografie pre-esistenti, sono imperfette e indisciplinate, prive di ogni regola figurativa; tuttavia ürtumliches Bild è anche il nome con cui lo psicanalista Carl Gustav Jung nomina gli archetipi, le immagini originarie la cui carica simbolica senza tempo si manifesta nelle diverse culture. Forse che incrinando l’esattezza dell’algoritmo con le deviazioni oniriche si possa evocare questa origine? Dal cortocircuito tra l’inconscio umano e quello tecnologico nascono immagini sovversive e dirompenti; un intero immaginario autonomo, nuovo e primordiale allo stesso tempo, che si costruisce da sé al di fuori di ogni controllo.

Anche l’immaginario personale di Lidia Bianchi vacilla durante falìa*, residenza artistica presso Lozio (BS) in Val Camonica. Per amore o per essere verticale (2021) è una serie di stampe fotografiche realizzate durante questa esperienza tra le altezze delle Alpi Orobie: sono immagini delle pareti rocciose con cui l’artista si è dovuta relazionare quotidianamente. Rocce che evocano un confronto serrato con una verticalità nuova rispetto ai paesaggi famigliari all’artista, fatti di linee orizzontali e tranquillità marittime, come San Felice Circeo affacciato sul Mar Tirreno. In questa esperienza il timore iniziale si dirada progressivamente per accogliere le forme di un paesaggio inatteso, e le fotografie di Per amore testimoniano questo processo di accettazione: certezze estetiche di partenza che si scoprono provvisorie, irrimediabilmente parziali, e a partire da questa messa in discussione si integrano al territorio che prima era ostacolo e adesso è invito a vedere.

Lidia Bianchi, Sono tornate le lucciole, Paolo, stampa ai sali d’argento, dimensioni variabili, 2021, courtesy l’artista
Lidia Bianchi, Sono tornate le lucciole, Paolo, stampa ai sali d’argento, dimensioni variabili, 2021, courtesy l’artista

Ancora lo sguardo ordinario e codificato si incrina e per questo si arricchisce di nuove intuizioni estetiche, rimanendo comunque in piedi come il menhir che dà il nome a tutto il progetto. Si tratta della pietra verticale che l’ex sindaco di Lozio fece rimettere in piedi, sulla cui facciata un anziano del posto incise le parole “Per Amore”: gesto spontaneo e primario nel tentativo di dare senso e generare un avvicinamento alla materia. Secondo l’artista l’amore è la molla di questo contatto, mentre l’immagine è lo spazio per renderlo visibile mantenendone tutta la potenza. La fotografia del menhir è l’unica a essere realizzata in camera oscura – le altre sono stampe giclée su carta giapponese – come a ricordare il legame che c’è tra l’incisione con la luce e l’incisione su pietra. Bianchi si muove nell’espansione generata dal contrasto iniziale e arriva a condensare nelle immagini di Per amore il ritorno di uno sguardo arcaico, che fende il paesaggio e lo risolve in un rapporto primordiale, quasi tattile, intessuto con un’alterità misteriosa.

Questa fenditura genera analogie anche con un altro gesto, quello del raschiamento, centrale nel progetto della Bigi From dust you came (and to dust you shall return) (2019 – in corso): i corpi e le figure nelle fotografie del proprio archivio di famiglia vengono metodicamente raschiate per ottenere un nuovo pigmento impuro, ultimo strato di una catena di azioni inaugurata dall’obiettivo fotografico – prima materializzazione dell’immagine – durante i rituali familiari dell’artista degli anni precedenti. Raschiare per svuotare. Cosa? Le pose, gli scenari, e tutti i codici culturali dell’iconografia famigliare: se le immagini di Bianchi aprono l’ordinarietà del paesaggio ed evocano un ritorno dell’arcaico, la Bigi polverizza il suo archivio e tutte le dinamiche interne che lo strutturano, facendo ritornare ogni immagine all’ambiguità dell’inizio, il punto zero.

L’artista agisce in un intervallo in cui si incontrano memoria privata e immaginario collettivo, ne innesca la collisione e ne svela i legami nascosti: anche qui lo sguardo ‘normale’ si scopre ‘normativizzato’, come superficie che la Bigi pazientemente rimuove, evidenziandone la provvisorietà. Nello scavo millimetrico della superficie fotografica risiede la sensibilità geologica. Rimane la loro assenza, il loro silenzio, e allo stesso tempo il loro grido originario quando diventano delle soglie per un senso ulteriore da ricercare. D’altronde le prime immagini dell’umanità nascono a partire da pigmenti naturali, perché dalla polvere possono nascere nuove possibilità. From dust you came è questo cortocircuito: ancora una volta la precarietà della superficie presente, scopertasi in errore, attualizza un ritorno antico, così com’è per il magma inconscio di ürtumliches Bild e il mistero dell’arcaico in Per amore, o per essere verticale. L’eco del ritorno avvolge anche Sono tornate le lucciole, Paolo (2021), ultimo progetto di Bianchi realizzato in occasione della residenza Lido La Fortuna AIR presso Cartoceto (PU), organizzata dall’Associazione Culturale Lido Contemporaneo in collaborazione con il comune di Fano (PU).

Silvia Bigi, The process, still da video, 2’26’’, dalla serie From dust you came (and to dust you shall return), 2019-in corso, courtesy l’artista
Silvia Bigi, The process, still da video, 2’26’’, dalla serie From dust you came (and to dust you shall return), 2019-in corso, courtesy l’artista

Queste stampe ai sali d’argento mostrano una serie di sovversioni inaspettate: muri di sambuco in fiore, spine e ginepri incontrate dagli occhi dell’artista durante le camminate nei campi, mentre era alla ricerca di un punctum che turbasse l’ordinarietà dello sguardo prospettico, dove ogni fuga finisce in un centro sicuro. Nelle immagini di Bianchi quest’ultimo si perde, così come la profondità e gli orizzonti: la rappresentazione classica, interiorizzata, del paesaggio viene sovvertita sia linguisticamente sia sul piano fisico, nel momento in cui questi muri vegetali si ergono nei fossi artificiali tra un campo e un altro, impedendo di volta in volta la visione intera dei campi successivi. Incorporare questi ostacoli visivi alla placidità della perfezione rinascimentale significa incrinarne la matematica che ora si scopre vulnerabile, creare un gomitolo tra le linee di fuga e soprattutto fermarsi in quell’intervallo senza traiettorie dove questa presenza rende il paesaggio dialettico e contraddittorio.

Quest’ultimo conferma la sua centralità nella poetica dell’artista come spazio dell’altrove e della distanza: Sono tornate le lucciole, Paolo è questa consapevolezza che Bianchi distilla tra memoria personale e proiezione collettiva rivolgendosi sia al padre, Paolo, ricordo-paesaggio dell’ultimo incontro  con le lucciole, sia a Pier Paolo Pasolini, autore di un articolo apparso nel 1975 sul Corriere della Sera che titolava Il vuoto del potere, poi passato alla storia come “L’articolo delle lucciole”. Qui lo scrittore corsaro, senza mai un riferimento esplicito, denunciava la scomparsa di “qualcosa”. Le lucciole sparite erano forse, in quegli anni della svolta consumistica italiana, gli intellettuali, o forse le arcaicità e i misteri che fanno autenticamente tendere verso la realtà. Nelle fotografie di Bianchi ritornano, o meglio, sono viste come per la prima volta, queste lucciole – interferenze della normalità e del buio – che rendono il mondo una matassa da ripercorrere continuamente.

Quello di Bianchi e Bigi è un itinerario poetico fatto di confronti e di emersioni, ritorni e sopravvivenze, dove l’emozione del provvisorio diventa la legge della disciplina creativa: guardare all’errore come primo gesto di una geologia della realtà, del tempo e della propria storia. Questo scavo si mostra nelle immagini delle artiste, che alla superficie del mondo rispondono con la profondità del sentire. Inconscio, paure rocciose, fantasmi e lucciole sono gli slittamenti che fanno oscillare i codici delle regole e le deviazioni che possono creare storie in queste perfezioni fasulle. In questo itinerario il personale incontra il politico e la vulnerabilità diventa inizio di una sovversione quotidiana dello sguardo. La potenza tellurica dell’errore, vettore di una plasticità sempre nuova di un senso sempre nascosto, muove tutto questo, senza fermarsi mai.

. Lidia Bianchi, Per amore o per essere verticale, stampa ai sali d’argento su carta baritata, 23 x 29,5, 2021, courtesy l’artista
. Lidia Bianchi, Per amore o per essere verticale, stampa ai sali d’argento su carta baritata, 23 x 29,5, 2021, courtesy l’artista

Questo contenuto è stato realizzato da Piermario De Angelis per Forme Uniche.

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