Questo articolo è frutto dell’operato degli studenti del Laboratorio di scrittura, iscritti al Master Post Laurea “Management della Cultura e dei Beni Artistici” di Rcs Academy”, tenuto tra dicembre 2021 e gennaio 2022 da Luca Zuccala, vicedirettore della nostra testata. La collaborazione tra ArtsLife e Rcs Academy ha dato la possibilità agli studenti partecipanti al Master, dopo le lezioni di introduzione, pianificazione e revisione dei contenuti proposti, di pubblicare il proprio elaborato sulla nostra piattaforma.
Figlia di Takashi Kono (1906-1999), importante personalità della grafica giapponese, Aoi Huber-Kono cresce in un ambiente movimentato e creativo, che stimola sin dalla tenera età il suo interesse per la grafica. Dopo il liceo artistico si diploma alla facoltà di Arte e Musica di Tokyo e nel 1960, su consiglio del padre, parte per Stoccolma dove frequenta la Konstfack, l’Università delle Arti, Artigianato e Design. L’anno successivo si trasferisce a Milano dove inizia la collaborazione col grafico Max Huber (1919-1992), che sposa nel 1962 e con cui si trasferisce a Sagno nel 1970, in Canton Ticino. Nel 1976 tiene la prima mostra personale di pittura e disegni presso la Galerie Bettina di Zurigo e nel 1995 Skira Editore pubblica la prima monografia Io, Aoi. Nel 2005 fonda il M.a.x Museo, testamento artistico di Max Huber, con la volontà di creare un’istituzione che favorisse la diffusione e la conoscenza della grafica e del design; dal 2010 il museo fa parte del patrimonio pubblico del Comune di Chiasso. Dal 1992, in seguito alla scomparsa del marito, Aoi Huber-Kono vive e lavora a Novazzano, in Canton Ticino. È proprio qui che l’abbiamo incontrata.
Esiste un processo mentale che la guida nella creazione di una nuova opera?
A dire la verità non mi sono mai posta questa domanda. Direi che è un processo piuttosto spontaneo, ma ciò non significa che la realizzazione di un’opera non comporti un lavoro di ricerca di un equilibrio formale, a livello di composizione e armonia cromatica. Questo a volte può richiedere più di un tentativo per arrivare ad un risultato che mi soddisfi pienamente. Un po’ diverso è il discorso per quanto riguarda il lavoro che svolgo su commissione: le illustrazioni, i disegni per tessuti o le decorazioni per ceramiche ad esempio. In questi casi, ovviamente, devo porre attenzione alle richieste del committente. Credo che comunque il mio lavoro in generale conservi una sua coerenza.
C’è un messaggio implicito nelle sue opere? Cosa vuole trasmettere a chi le guarda?
Non mi sono mai posta il problema di veicolare un messaggio.
Tutti i suoi lavori rappresentano un inno alle forme e ai colori, con uno stile che la rende unica e riconoscibile. Come riesce a dare forma alla sua fantasia e a creare sempre opere fresche e innovative?
Non saprei. Credo faccia parte di un mio modo di essere e di vedere il mondo che mi circonda. Nel 1994 Munari ha scritto che ho un particolare sensore nascosto tra i capelli che mi permette di capire “vedere e capire le strutture che sono nelle forme naturali” così come le texture nascoste. In un certo senso penso di avere una visione “bidimensionale” della realtà, probabilmente è per questo che mi è congeniale la dimensione astratta e grafica. Forse c’è anche una componente ereditaria che mi è stata trasmessa da mio padre Takashi, così come quella trasmessami dalla cultura giapponese.
Parliamo delle due mostre che si sono concluse da poco a Lugano e Mendrisio.
Alla galleria Doppia V di Lugano per la mostra “Nakama” (16 luglio – 13 agosto 2021) ho esposto con l’amica Victoria Diaz Saravia; i miei lavori consistevano principalmente in serigrafie ed incisioni. L’altra mostra,“Aoi Huber Kono – Acqueforti, Acrilici, Arazzi” si è tenuta invece al Museo d’Arte di Mendrisio; si è trattato di una personale realizzata in occasione dei miei 85 anni e occupava la sala più grande del museo. Entrambe le mostre hanno riscosso un buon successo. Quest’anno era presente anche un mio lavoro alla mostra “Imago 1960-1971” alla Galleria Corraini di Mantova, curata da Giorgio Camuffo (ndr ora all’ADI Design Museum Compasso d’Oro).
Per molti anni ha lavorato con Max Huber a Milano, dove entrambi avete avuto la possibilità di coltivare collaborazioni professionali che nel tempo si sono trasformate in solide amicizie (ricordiamo, tra gli altri, Achille Castiglioni, Bruno Munari, Mario Botta, Kengiro Azuma, etc.). Può raccontare qualche aneddoto che le è rimasto nel cuore?
Posso dire di aver avuto la fortuna di conoscere delle persone davvero speciali, non solo per il loro talento ma anche per la loro umanità. Così sono nate delle relazioni che si basavano su un reciproco rispetto professionale, ma anche su un profondo rapporto di amicizia che è durato molto a lungo e dura tutt’ora, nel caso di Mario Botta. Devo dire però che il rapporto con Bruno Munari – con il quale ho collaborato a partire dal 1965 per la collana Tanti bambini pubblicata da Einaudi (della quale era direttore)– è stato davvero speciale, con lui c’era un’intesa particolare. Con Achille Castiglioni, grande amico e collaboratore, ho progettato per la mostra “Mobili Italiani”, tenutasi nel 1984 a Tokyo, un tappeto con intarsio in laminato multicolore, ma già nel 1975 aveva dato il mio nome a una lampada da tavolo a luce diffusa realizzata per Flos, Aoy appunto. Non posso infine non parlare di Max, con il quale ho condiviso interessi, passioni e amicizie e dal quale ho appreso molto anche a livello professionale.
Può rivelare qualche progetto professionale che la vedrà coinvolta in futuro?
In realtà non posso ancora rivelare molto. In questo periodo collaborando con alcune aziende giapponesi e sto lavorando al progetto di due libri sul mio lavoro che spero verranno pubblicati nel 2022.
N.b. Le fotografie sono inedite e sono state gentilmente messe a disposizione dalla signora Aoi Huber Kono.