Intensa, simbolica e dalle mille sfaccettature. La mostra di Nadia Nespoli, Offerte di tempo, è un progetto artistico dalla forte connotazione umana. Prende avvio dal carcere di Bollate, dove l’artista ha coinvolto donne e uomini detenuti, e si conclude allo Spazio Aperto San Fedele di Milano.
Qui sono esposte, dal 14 gennaio al 15 febbraio 2022, una serie di opere di fiber art realizzate dai detenuti, che hanno offerto il loro tempo concretizzandolo in un lavoro manuale visibile e tangibile. Un processo dagli spiccati attributi simbolici, in grado di distillare i secondi, i minuti, le ore, i giorni, le settimane trascorse in carcere in fili di cotone intrecciati, allacciati, annodati fino a confondersi. Proprio come la percezione di un detenuto, terribilmente anestetizzata dallo scorrere ripetitivo dell’esistenza.
Tutto ha inizio nel 2019, quando Nadia Nespoli ha affidato a persone detenute di età, grado di istruzione ed esperienza di vita diverse delle matasse di filo di cotone, chiedendo a ciascuna di realizzare con il punto alto una tela, senza mai disfarla durante l’esecuzione. Il filo con cui le tele sono realizzate è di colori diversi: bianco, rosso, arancione, viola, giallo, verde, rosa, blu. Anche le dimensioni variano, così come le forme: rettangoli ma anche poligoni irregolari, con punti interrotti e ripresi, intervallati da nodi a vista.
L’invito dell’artista ha stimolato una vera e propria performance collettiva, dove il valore dell’opera risiede più nel processo che nel risultato. Risultato che pur rimane gradevole e suggestivo, dal momento che le opere si presentano come monocromi. Essenziali, privi di figura ma densi di significato. Come quello generato dall’investimento temporale ed emotivo dei detenuti, disposti a convogliare il loro perpetuo dialogo interiore sulla tela. Su di essa si sono raccolti i rimpianti e le ambizioni, i ricordi e i desideri, gli slanci di entusiasmo e il richiamo dell’abisso. Una miscela di sentimenti che accomuna ogni detenuto, che d’altra parte, in ultima istanza, è poi chiamato a farci i conti nella solitudine del proprio spirito.
É per questo che ogni opera è intitolata con il nome di chi l’ha realizzata, come se immediatamente volesse evocare le mani e le dita – ma anche i pieni e i vuoti, i momenti di dialogo e quelli di estrema chiusura – che le hanno realizzate. Un lavorio di pazienza e riflessione, che assorbe lo scorrere del tempo insieme alle speranze dei detenuti di costruire una nuova identità, una nuova vita.
L’iniziativa ha giovato della partecipazione di Sesta Opera San Fedele, Associazione di Volontariato Penitenziario che opera a Milano dal 1923. Le esistenze dei volontari si sono così intrecciate a quelle dei detenuti, in un dialogo tra interno ed esterno. Il filo dell’opera è diventato quindi “quel filo esile che poco può se tale resta. É come il singolo volontario che da solo può fare poco di fronte ai problemi immani del carcere”.