Nella sua mostra personale alla Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia Matteo Messori non è solo.[1] L’artista si riveste della sua storia individuale e familiare, che offre in modo estremamente trasparente e sincero, facendone un racconto, che va incontro agli spettatori tramite oggetti ed istanti evocativi e specifici. Gli strumenti che l’artista riutilizza appartenevano in precedenza agli spazi e ai componenti della sua famiglia. Ecco che lo spettatore si trova nella campagna reggiana, con una cassetta, e dei pomodori da dividere;[2] poi, una lamiera lo rimanda ad impalcature e strumenti per un lavoro artigianale;[3] un momento dopo, due alari lo trascinano in un salotto, in una casa di famiglia – un tetto solidissimo sopra la testa.[4] Ma ad un certo punto il tetto si spezza, non resta che un mucchio di tegole spezzate. [5]
È familiare il luogo delle situazioni conosciute, prevedibili; lo sono quegli oggetti che ci restituiscono gesti ripetuti e rassicuranti, fatti da mani vicine. Visi nei quali possiamo riconoscerci. Quando tutto questo viene meno ci interfacciamo col vuoto che risulta: la nostra voce non trova più una superficie sulla quale rimbalzare e tornare da noi, facciamo esperienza di noi stessi in modo nuovo, nella solitudine. Nella corsa per la conquista del nostro spazio personale perdiamo il ritmo, e ci accorgiamo che non volevamo spazio, ma lo volevamo riempire con una voce sicura.
La crisi che l’artista evidenzia con le sue opere è la perdita del padre. Roof descrive l’equilibrio spezzato da questa scomparsa, e ciò che ha provocato ed imposto all’artista questo cambiamento. L’improvviso spaesamento che ha seguito questo evento ha costretto Messori a un riassestamento di sé nei confronti del suo mondo: come gestire e venire a patti con l’improvviso strappo che ha cambiato la sua vita? Per la comprensione e descrizione di questa perdita, l’artista si ispira alla teoria della “crisi della presenza” di Ernesto di Martino (1908 – 1965), antropologo, storico delle religioni e filosofo italiano: nel momento in cui i riferimenti domestici vengono meno, un disorientamento intenso sopraggiunge, che infine provoca una crisi profonda del sé.
Il cambiamento personale dell’artista, inteso sia come mutazione graduale che repentina – dolorosa, ma anche necessaria – assieme alla perdita dell’equilibrio sono forse gli aspetti dell’esperienza dell’artista che più si evincono dalle opere esposte. Questo stato, malfermo ed incerto, è rispecchiato dal lento mutare delle opere stesse. La lamiera di Antiforma (2019) ci spinge ad immaginare come questa superficie cambierà nel tempo, quali motivi creerà la ruggine su di essa; invece, la forma di Crisi della presenza (2021), creata con una linea di segatura, parla della transitorietà totale, sia grazie al materiale, sia grazie alla natura performativa di quest’opera. Questa infatti, dopo ogni esposizione, verrà raccolta in un piccolo contenitore, per poi essere spostata e riesposta. Questa operazione implica che briciole dell’opera andranno gradualmente perse, e che diventerà via via sempre più piccola; inoltre, le future forme di questo lavoro si dovranno adattare a nuovi spazi. Infine, il risultato del cambiamento di Messori, del suo necessario adattamento, viene espresso da Autoritratto (2020), una serie di mattonelle rotte attraversate da una linea blu. I pezzi sono stati disposti in modo da creare un quadrato: la precedente forma è persa, ma tramite i frammenti l’artista ha delineato una nuova fisionomia. Il parallelismo è chiaro: dai frantumi di una di una situazione spezzata Messori ha provato a costruire per sé un nuovo aspetto. Lo spettatore non può che accompagnare l’artista nella sua evoluzione: cambiare forma e adattarsi a nuovi luoghi sono esperienze che ci legano profondamente.
Il cambiamento e l’adattamento di questi lavori non sono solo qualità estetiche, ma anche formali. Le opere esposte, selezionate da Messori assieme al curatore Nicola Bigliardi, sono sia inedite che vecchie conoscenze: alcune di esse erano già presenti in precedenti mostre.[6]Nonostante alcune fossero già state svelate, le opere in questione riescono ad acquisire una foggia nuova, grazie ad un diverso allestimento – la capacità di cambiare ed adattarsi ricorda l’aspetto trasformativo dell’antiforma, figura che ha accompagnato l’artista per gran parte della sua carriera artistica.
L’altro tema presente in Roof è l’ecologia, da sempre aspetto fondamentale dell’approccio dell’artista. Al di fuori di sé, nella natura, Messori vede un esempio di equilibrio e di resilienza, che non ha mancato di ispirarlo nei suoi momenti più torbidi. Formastante (2019), una colonna di piccoli blocchi di tufo impilati senza l’aiuto di nessun collante, vuole ricordare la capacità della natura di trovare una sua forma ed un suo equilibrio, per quanto esso sia fragile ed in bilico, e di mantenerlo. È anche chiaro il timore dell’artista per lo stato attuale dell’ambiente. Questa preoccupazione è espressa da Catrame (2019): se da una parte gli alari presenti possono richiamare un ambiente sicuro, in questo caso – abbinati al catrame presente nell’opera – rimandano all’inesorabile riscaldamento terrestre in atto, accentuato dalle manomissioni umane ai danni dell’ambiente.
Dunque, Messori ci accoglie nel suo animo, nel bel mezzo di una crisi che lo ha eroso e cambiato, che però nasconde anche le sue soluzioni: come una natura stremata riesce a ritrovare il suo corso, così l’artista – tramite la sua narrativa autentica e commovente – forgia il suo nuovo profilo.
[1] La mostra è stata inaugurata l’11 dicembre 2021 e sarà visitabile fino al 23 gennaio 2022. È stata curata da Nicola Bigliardi, in collaborazione con i Musei Civici di Reggio Emilia. Testo critico di Alessandro Gazzotti.
[2]La cassetta in questione – che è parte dell’opera Arazzo Lunare (2020), intonaco e smalto su denim, misure variabili – veniva usata dai nonni dell’artista, quando, in campagna, i pomodori dovevano essere divisi tra le varie famiglie. Ognuna di loro possedeva una cassetta uguale, così che tutte ricevessero la stessa quantità di pomodori.
[3]L’opera alla quale mi riferisco è Antiforma (2019), pigmento su lamiera, 80×50 cm.
[4]Gli alari sono parte dell’opera Catrame (2019), intonaco, vernice, vinavil su feltro, 90×60 cm: i due sorreggono una tela, i suoi lati sono coperti da catrame, dove campeggia un’antiforma. L’opera considera anche tematiche ecologiche, alle quali l’artista è molto legato, che menzionerò in seguito.
[5]L’opera alla quale mi riferisco è Roof(2019), smalto su tegola, misure variabili, che mostra, appunto, un cumulo di tegole rotte.
[6]In particolare ad Antiforma, che ha avuto luogo presso la Galleria Ramo (Como) nel 2018, e a Status presso la galleria Nero La Factory (Pescara) nel 2020.