Tra le tante vittime dell’Olocausto c’è anche Aldo Carpi. Il pittore, sopravvissuto alla tragedia, ha raccontato la propria esperienza con la sua arte.
Il Giorno della Memoria per me non ha data. Ogni giorno dell’anno è per me testimonianza, ricordo, e consapevolezza del patrimonio di dolore indimenticabile che mi è stato assegnato dal destino. La tragedia collettiva del popolo al quale appartengo inizia in un giorno del 1942, non so bene quale, ma che importa?
Le cronache narrano che a pranzo, in una bella villa di un tranquillo paesino della Germania, si riunisce una cerchia ristretta di gerarchi nazisti. Tra una portata e l’altra, e ancora dopo aver preso il caffè, la combriccola dei convitati decide che bisogna razionalizzare lo sterminio degli ebrei. Sono troppi i costi della disorganizzazione, e troppo poche le persone eliminate. Ci vuole una soluzione che finalmente porti a compimento la gloriosa impresa di cancellare dalla terra qualunque traccia di giudaismo. Decidono dove, come, quando, e ottengono un enorme successo: sei milioni di ebrei in meno.
Io sono un sopravvissuto, e non ho bisogno di anniversari, ma sento comunque il dovere di offrire alla Memoria collettiva un contributo professionale.
Il pittore Aldo Carpi è stato ricordato nel 2018 a Parma – la sua città natale, e dove è morto nel 1973, a 86 anni – proprio il 27 gennaio. E non a caso: il nonno paterno era nato ebreo, e poi convertito per fede al cattolicesimo. Atto tecnicamente inutile per il pronipote Aldo. Per le Leggi Razziali emanate nel 1938 dal Regime Fascista non era possibile certificarlo coma appartenente alla razza ariana.
Insegnante di pittura all’Accademia delle Belle Arti di Brera, un giorno di gennaio del 1944, grazie alla delazione di un collega, viene prelevato dalle SS e deportato, prima a Mauthausen e poi a Gusen. Nella detenzione comunica spiritualmente con la moglie scrivendole lettere ovviamente mai spedite, ma conservate sino al giorno della liberazione del campo; rivelano in schizzi rapidi episodi di vita, di sofferenza, e di morte. Nel 1945 torna a Brera, dove viene acclamato Direttore.
Per la verità, è stato cristiano per tutta la vita, ma nei suoi ritratti fotografici mostra una foltissima barba che lo fa sembrare un vecchio rabbino. A futura memoria gli è stata dedicata una via di Milano.