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Sono sogni nostri o stimoli altrui? Gli 11 nuovi artisti dello spazio “metropolitano” di Co_atto

Giulia Mangoni courtesy co_atto & the artist
Alessio Barchitta, Pop shop 2, 2022, farina di mais, ph. co_atto, courtesy co_atto & the artist

Viviamo i nostri sogni o sogniamo gli stimoli altrui? Fino a che punto abbiamo capacità di scelta sui nostri stessi desideri? Il tardo capitalismo ha cambiato la risposta a queste domande. Si è subdolamente appropriato delle nostre scelte, plasmandone il materialismo, addomesticando gli istinti. Pur sapendolo, tendiamo a preferire la sensazione di essere noi a scegliere, mentre qualcos’altro guida la nostra mano. Forse una pubblicità. Forse una moda. O anche solo un’abitudine, naturalmente coatta. Al cinema, la nostra mano pesca in un cestello di pop-corn. Ma cosa stiamo mangiando, perché?

Alessio Barchitta parte da questo semplice gesto per capire dove si arresta la nostra consapevolezza. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, in Italia si contavano numerose verità di mais. Gli Stati Uniti hanno importato un mais ibrido, che è presto diventato l’unico. Ma soprattutto, hanno importato il desiderio a mangiarlo, uno dei tanti strumenti di colonizzazione culturale di quegli anni. Pop show 2 mette al centro l’oggetto, il suo colore, la sua familiare forma dietro un contenitore di vetro. Un oggetto che desidera essere consumato, e che forma il calco della testa ribaltata dell’artista, esibita come alla mercé dello sguardo, rassegnata a questa logica invisibile.

Il concetto di desiderio è anche alla base della ricerca di Edoardo Manzoni, la prima (o l’ultima) vetrina che si incontra. Esponendo dei lavori appartenenti alla serie delle trappole, Manzoni innesca una tensione tra l’oggetto e lo spettatore. L’artista vuole portare alle estreme conseguenze il sentimento di attrazione e repulsione verso lo strumento di caccia, isolato come oggetto-ornamento ed esposto come scultura. Se la curiosità verso l’oggetto c’è, nel contesto piacevolmente pulito della vetrina, la distanza o l’assenza d’uso dell’esca stemperano i sentimenti verso l’oggetto, che rimane di pura contemplazione.

Ogni artista interpreta la vetrina a modo suo, dall’approccio minimal alla pienezza visiva. Giulia Mangoni, alternando wall painting a dipinti di piccole dimensioni, che andranno a sostituirsi ogni settimana, occupa tutto lo spazio offerto dalle pareti. Le figure rotonde, fiabesche e folkloristiche della sua Ciociaria riempiono lo sfondo di narrazioni, proseguendo la ricerca sulla regione già presentata alla galleria Art Noble, in occasione della recente personale Bits & Cream. Se Andrea Sparta, unico artista straniero, lavora in termini di poetica dello spazio, costellando la parete di stelle, come a voler mettere “il cielo in una stanza”, Giulio Locatelli immagina un intervento grezzo, materico, alla stregua di un cantiere. Le due nicchie che ospitano il suo intervento sono occupate da vere e proprie infrastrutture, composte di tubi e accumuli di fogli: fiabe, racconti, idee…come ad indicare l’importanza di un fondamento immateriale, fatto di idee e concetti.

Edoardo Manzoni, Senza Titolo (Fame), 2022, rami, spine, bacche, filo di ferro, pittura spray / Senza Titolo (Fame), 2022, rami, filo di ferro, plastilina, specchietti, pittura spray, ph. co_atto, courtesy co_atto & the artist

La parte editoriale ospita Luca Loreti, IO, il suo primo fumetto, mentre una versione idealizzata di sè ricambia il nostro sguardo dalla vetrina, su cui è disegnato. Lo sguardo, quello dello spettatore, non penetra invece della vetrina di Virginia Dal Magro, che attraverso l’utilizzo di una pellicola forata opacizza la superficie e offusca la trasparenza, con I can barely feel you.

Niccolò Quaresima espone, in due vetrine frontali, lavori maturati in estate, durante permanenze a Milano. Sono cartografie termiche, di corpi e di luoghi: azioni performative espresse attraverso tessuti sensibili al calore, come sindoni quotidiane. A chiudere il progetto sono le cartografie termiche di Niccolò Quaresima, azioni performative espresse attraverso tessuti termosensibili, Abecedario Meneghino di Tazi Zine e una dedica di Lucia Cristiani alla popolazione della Bosnia Erzegovina, che riprende una poesia di Adrienne Rich.

Co_atto è uno spazio difficile. Da una parte, è un luogo che sublima l’anima del mostrare qualcosa nel suo carattere più essenziale: la vetrina, l’esposizione in senso stretto. Dall’altro, la sua peculiare geografia urbana ostacola un vero dialogo e approfondimento. Lo sguardo è fugace, l’osservatore passeggero. La tentazione per l’artista a ridurre l’intervento alla valenza estetica è forte. È dunque ancora più importante trovare uno spazio di critica fuori dal rumore della stazione, nel silenzio della lettura di un articolo. Anche se, magari, sempre in metropolitana…

Giulia Mangoni courtesy co_atto & the artist

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