Testa, occhio e cuore. Non sono necessarie molte presentazioni per l’incontestato maestro del fotogiornalismo Henri Cartier Bresson. Definito “l’occhio del secolo” ha immortalato, con i suoi scatti in bianco e nero, quasi cent’anni di storia. Dal 18 febbraio, nelle intime sale del Mudec Photo, è accolta la mostra “Henri Cartier-Bresson. Cina 1948-49 | 1958”, curata dallo storico Michel Frizot e Ying-Lung Su e realizzata in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson.
Le sale ospitano un prezioso e inedito corpus di fotografie, oltre 100 stampe originali, e documenti di archivio dedicati a due momenti chiave della storia cinese: la caduta del Kuomintang(1948-1949) e il “Grande balzo in avanti” di Mao Zedong (1958).
Il percorso espositivo si dirama su due reportage che restituiscono istanti unici e irripetibili, confermando l’abilità di HCB di cogliere l’“istante decisivo”.
La svolta lavorativa ha inizio nel 1948 quando la rivista Life gli commissiona un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” (prima dell’arrivo delle truppe di Mao).
Le due settimane previste di soggiorno si trasformarono in dieci lunghi mesi, trascorsi principalmente nella zona di Shanghai. Durante questo periodo, l’occhio del fotografo, senza messe in scena, è stato capace di ritagliare immagini dalla storia contemporanea cinese con una precisone e veridicitàineguagliabili: dalla caduta di Nanchino al controllo comunista di Shanghai, fino ai giorni precedenti dalla proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949).
A Nanchino, Bresson, si era recato con la volontà di incontrare le truppe comuniste e svolgere un reportage inedito, che ponesse a confronto il futuro della Repubblica con l’oramai demotivato esercito nazionalista. Gli scatti straordinari hanno sospeso nel tempo scene di quella quotidianità fatta di attese, in cui i soldati, i rifugiati e la popolazione ne erano protagonisti. A Nanchino Bresson si fermerà per un mese e mezzo, condizionato da censura e operando con una libertà artistica e documentaristica visibilmente ridotta.
Henri Cartier-Bresson è riuscito a entrare nel cuore di temi importanti, spesso tenuti nascosti dal regime cinese, con uno stile documentaristico nuovo, legato fortemente all’animo umano, all’estetica e alla poesia.
“Io, invece, mi occupo quasi esclusivamente dell’uomo. […] Mi servo di questo scenario per collocarvi i miei attori, per dar loro risalto, trattarli con il rispetto che meritano. E il mio modo di agire è basato su questo rispetto, che è anche un rispetto della realtà: non fare rumore, evitare qualsiasi ostentazione personale, essere, per quanto mi riesce, invisibile, evitare di “predisporre” o “mettere in scena”, limitarsi a esserci, avvicinarsi pian piano, a passo felpato, per non smuovere le acque” (1951)
Nel 1958, in prossimità dei dieci anni dal primo reportage che lo rese celebre e importante in tutto il mondo, Bresson intraprese un nuovo viaggio. Saranno quattro i mesi che passerà in Cina, questa volta in un clima totalmente differente. A distanza di dieci anni si tastava con mano i progressi e gli esiti della Rivoluzione: industrializzazione, complessi siderurgici, grandi dighe in costruzione, pozzi petroliferi e paesi rurali che rappresentavano il “Grande balzo in avanti” compiuto dal paese.
L’immediatezza e la veridicità del suo peculiare «Istante decisivo», in questo secondo viaggio lo portarono non solo a cogliere il lato positivo del progresso ma, soprattutto, quello meno felice. Grazie ai suoi scatti, infatti, l’occidente conoscerà lo sfruttamento, il controllo militare e l’onnipresenza della propaganda.
Dotato di un tempismo fuori dal comune, con sua Leica è stato in grado di elevare il fotogiornalismo a forma d’arte, diventandone pioniere e aprendo la strada ad un nuovo modo di approcciarsi al reale. Ma non sono solo coincidenze o intuizioni. Henri Cartier-Bresson grazie agli studi d’arte e la passione per il disegno, ha saputo sviluppare una qualità unica ed equilibrata nell’inquadratura.
Una mostra da non perdere, occasione per ripercorrere un po’ di storia non occidentale, talvolta tragica ma romanticamente umana.