La Biennale di Venezia annuncia che “non accetterà la presenza di delegazioni ufficiali, istituzioni e personalità legate al governo russo”
La Biennale di Venezia “segue con apprensione lo svolgimento della guerra in Ucraina nella speranza che la diplomazia internazionale trovi in tempi brevi una soluzione condivisa. Che metta fine ai lutti e alla sofferenza di un intero popolo e restituisca al mondo della cultura piena libertà d’azione e movimento”. Citata ripetutamente in questi giorni per le decisioni relative ai padiglioni nazionali di Ucraina e Russia, l’istituzione dice la propria ufficialmente sulle vicende legate all’aggressione in corso. Manifestando “il suo pieno sostegno a tutto il popolo ucraino e ai suoi artisti”, e anche vicinanza “a tutti coloro i quali in Russia si stanno coraggiosamente opponendo alla guerra. Fra di loro, artisti e autori di tutte le discipline, molti dei quali sono stati in passato ospiti della Biennale”.
La Biennale inoltre comunica che sta collaborando e collaborerà in ogni modo con la Partecipazione nazionale dell’Ucraina alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte, al via il 23 aprile. “Per favorire la presenza dell’artista e del suo team con la sua opera, alla cui realizzazione è fortemente impegnato nonostante la tragica situazione in Ucraina”. Inequivocabile è la “ferma condanna dell’inaccettabile aggressione militare messa in atto dalla Russia”. Seguita dall’annuncio che “non accetterà pertanto la presenza alle proprie manifestazioni di delegazioni ufficiali, istituzioni e personalità a qualunque titolo legate al governo russo”.
Qui qualche interrogativo meriterebbe chiarezza: cosa si intende per “legate al governo russo”? Valerij Gergiev, i direttore d’orchestra cacciato dalla Scala, verrebbe considerato “legato”? E le diverse fondazioni russe, che spesso finanziano mostre e padiglioni, sono “legate”? Sono “legati”, e quindi indesiderati, gli oligarchi “alla Abramovich”, che durante la Biennale portano a Venezia i loro mega yacht (e anche tanti soldi)?